SCOPERTE

Si può svelare la personalità di chi soffre di ADHD tramite i social media

Il linguaggio, gli argomenti e la frequenza dei post su Twitter potrebbero venire in aiuto agli specialisti per comprendere le sfaccettature della sindrome.

SCOPERTE – Twitto, dunque sono: secondo i ricercatori Sharath Chandra Guntuku e Lyle Ungar della University of Pennsylvania, riguardo a chi soffre di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) dicono più i social media delle sessioni di 30 o 60 minuti con il medico specialista. Nel loro articolo, pubblicato su Journal of Attention Disorders, riportano come le persone con ADHD su Twitter postino più spesso e usando più negazioni e imprecazioni. I tweet sono legati alla mancanza di concentrazione, all’autocontrollo, a intenzioni e insuccessi, così come a espressioni di esaurimento mentale, fisico ed emotivo. Un modello di apprendimento automatico può prevedere quali di questi utenti soffrono di ADHD tramite controlli a campione, con un’accuratezza significativa.

Chi soffre di ADHD ha più sbalzi di umore e tende a essere più negativo, oltre ad avere difficoltà di autocontrollo. È la presenza di un feedback immediato a spingere queste persone a postare: il tweet giusto, o con un buon tempismo, può portare a una risposta positiva nel giro di pochi minuti. Per cercare di capire di cosa parlano le persone con ADHD, i ricercatori hanno analizzato 1,3 milioni di tweet, disponibili online, scritti da 1399 utenti che avevano autodichiarato una diagnosi di ADHD, confrontandoli con quelli di un gruppo di controllo, costituito da persone che per età, genere e durata dell’attività sui social media corrispondessero a quelle del gruppo osservato. A quel punto sono stati esaminati fattori come la personalità e la frequenza dei post.

Chi soffre di ADHD scrive più spesso su Twitter durante le ore notturne, tra mezzanotte e le sei.

Chi soffre di questo disturbo utilizza parole come “odio”, “deluso”, “piangere” e “triste” molto più frequentemente rispetto al gruppo di controllo, e spesso pubblicha i post tra la mezzanotte e le sei del mattino, mentre tutti dormono. Alcune delle conclusioni sono in linea con altri studi: gli utenti del gruppo osservato parlano sovente dell’uso di marijuana a fini terapeutici, cosa che avviene spesso anche nelle conversazioni medico-paziente.

I ricercatori hanno dovuto riconoscere, tuttavia, che questo studio presenta alcuni limiti: gli utenti considerati nella ricerca autoriportavano una diagnosi di ADHD, che non era stata però verificata dalle cartelle cliniche o tramite un incontro con un medico. Inoltre, realizzare due gruppi della stessa entità, uno per chi soffre di ADHD e uno di controllo, non corrisponde alla realtà: per quanto riguarda gli Stati Uniti, circa l’8% delle persone presenta questo disordine, secondo il National Institute of Mental Health. In più, queste analisi potrebbero rivelare involontariamente anche altri tratti della personalità, solo basandosi sulle parole pubblicate su Twitter.

Malgrado ciò, questa ricerca contribuisce a fornire un ausilio ai medici per la comprensione delle diverse manifestazioni di questo tipo di disturbo, permettendo di avere un riscontro complementare. Si può pensare a un futuro in cui i ricercatori e gli specialisti facciano uso dei social media per comprendere meglio i sintomi e le conseguenze di un disturbo mentale. I dati ricavati da Twitter, poi, potrebbero fornire alcuni spunti per facilitare trattamenti più efficaci, per esempio elaborando nuove app specifiche, in grado di tener conto delle sfaccettature degli individui, delle diverse personalità e del livello di gravità del disturbo, così come delle cause scatenanti di alcuni sintomi, non solo per l’ADHD, ma anche per lo stress, l’ansia, la depressione e la dipendenza da oppioidi.

@giuliavnegri89

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.