Il sosia del sistema solare scoperto dalle intelligenze artificiali
Se l’intelligenza artificiale arriva là dove si ferma l’occhio umano. Gli algoritmi di “machine learning” delle AI di Google hanno analizzato i dati della missione Kepler della NASA e scoperto un sistema planetario sosia del nostro sistema solare a 2545 anni luce da noi
SCOPERTE – Prendete una intelligenza artificiale, insegnatele degli algoritmi di machine learning, o apprendimento automatico, per individuare anche i più deboli segnali di esopianeti in transito davanti alla loro stella e fornitegli una enorme quantità di dati. Questa è la “ricetta” che gli astronomi della missione Kepler della NASA hanno seguito per scoprire l’ottavo pianeta del sistema solare Kepler-90, un pianeta roccioso e bollente per il sistema che fin troppo somiglia a quello in cui viviamo.
Proprio come il nostro sistema solare, dove 8 pianeti orbitano intorno al Sole, anche il sistema Kepler-90 è costituito da 8 pianeti che orbitano intorno alla loro stella che si trova a 2545 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Dragone. Il pianeta più vicino alla stella, chiamato Kepler-90i, è largo almeno il 30 percento in più del nostro pianeta, orbita intorno alla sua stella in appena 14.4 giorni e ha una temperatura superficiale media di oltre 427 gradi Celsius, simile al nostro Mercurio. Il pianeta più esterno del sistema appena scoperto invece, chiamato Kepler-90h, orbita a una distanza dalla stella pari a quella tra la Terra e il Sole. Andrew Vanderburg, astronomo dell’università del Texas a Austin e ricercatore della NASA, ha spiegato:
“Il sistema stellare Kepler-90 è come una mini versione del nostro sistema solare. Hai piccoli pianeti all’interno e grandi pianeti all’esterno, ma è tutto molto più vicino”.
La vera novità della scoperta annunciata alle 19 del 14 dicembre, ora italiana, dalla NASA è il modo in cui questo ottavo pianeta sia stato individuato, cioè utilizzando le intelligenze artificiali sviluppate dagli ingegneri informatici di Google del team Google AI. I ricercatori dello studio, che sarà pubblicato sulla rivista scientifica The Astronomical Journal, hanno letteralmente insegnato ai computer come identificare esopianeti, cioè i pianeti al di fuori del sistema solare, tra i deboli segnali registrati dal telescopio della missione spaziale Kepler utilizzando gli algoritmi di machine learning. Paul Hertz, direttore della divisione di astrofisica della NASA, ha spiegato:
“Proprio come ci aspettavamo, ci sono interessanti scoperte nascoste nei dati archiviati di Kepler, che aspettano solo il giusto strumento o la tecnologia più adatta per svelarli. La scoperta dimostra che i nostri dati sono un tesoro inesplorato a disposizione dei futuri ricercatori negli anni a venire”.
L’importante studio oltre che a Vanderburg si deve anche a Christopher Shallue, ingegnere informatico che ha avuto l’intuizione di insegnare ai suoi computer come dare la caccia agli esopianeti. L’idea gli è venuta dopo aver capito che l’astronomia, come anche negli altri rami della scienza, deve spesso districarsi tra una quantità di dati tali da sommergerla, questo mentre le moderne sonde spaziali continuano ad acquisire quantità sempre maggiori di dati in poco tempo. Shallue ha spiegato:
“Così nel mio tempo libero ho iniziato a cercare su Google ‘trovare esopianeti con grandi set di dati’ e ho scoperto la missione Kepler e l’enorme data set disponibile. Una situazione ideale per il machine learning, che brilla in situazioni dove il numero di dati è tale che l’uomo non è in grado di districarsi da solo nella ricerca”.
In 4 anni di osservazione del cielo la missione Kepler ha registrato 35mila possibili segnali planetari. Questi segnali vengono scremati con modelli automatici, e a volte direttamente dall’occhio umano, in modo da valutare quali siano i candidati più interessanti. Alcuni dei segnali, però, a volte sono così deboli da venire scartati, ma tra questi potrebbero trovarsi altri esopianeti.
Era dunque necessario trovare una sorta di setaccio dalla trama più fine e che fosse in grado di individuare anche tra i segnali più deboli quelli emessi da potenziali esopianeti. Insieme a Vanderburg, Shallue ha insegnato ai suoi computer come leggere anche le più deboli variazioni di luce tipiche del fenomeno del transito, cioè del passaggio di un pianeta davanti alla sua stella. Proprio come una rete neurale di un cervello umano, l’intelligenza artificiale è stata prima allenata a riconoscere le variazioni di luce di esopianeti da un catalogo della missione Kepler di 15mila dati già controllati.
Il risultato è stato eccezionale: la rete neurale ha identificato i veri esopianeti, distinguendoli dai falsi positivi, nel 96 percento dei casi. Una volta che le reti neurali hanno imparato a rivelare il modello di un esopianeta transitante, i ricercatori gli hanno sottoposto i dati relativi a 670 sistemi stellari in cui erano stato scoperti già dei pianeti. Questo perché i sistemi multi-planetari rappresentano il posto migliore per dare la caccia ad altri esopianeti. Vanderburg ha spiegato:
“Abbiamo avuto molti falsi positivi, ma anche potenzialmente più pianeti reali. È come setacciare le rocce a caccia di gemme preziose. Se ha un setaccio più fine, prenderai più rocce ma potresti anche trovare più gemme”.
Kepler-90i non è stato l’unico gioiello che questa rete neurale ha individuato. Ad esempio, nel sistema stellare Kepler-80 le intelligenze artificiali hanno individuato un sesto pianeta, con dimensioni simili alla Terra, che insieme agli altri quattro a lui più vicini forma una catena di risonanza, cioè i quattro corpi celesti sotto l’effetto della loro mutua gravità sono incastrati in una ritmica danza orbitale, che ha come risultato un sistema incredibilmente stabile, come quello dei sette pianeti che compongono il sistema TRAPPIST-1.
Quello compiuto dal machine learning rappresenta dunque solo un antipasto di quello che queste reti neurali possono fare se applicati a un set di dati incredibile come quello di Kepler, che comprende oltre 150mila stelle e che è destinato a scoprirne molte altre. Se in 4 anni la sonda spaziale della NASA ha dato la caccia agli esopianeti guardando sempre alla stessa porzione di cielo, ora la missione si sta espandendo, con il campo visivo che ogni 80 giorni viene ampliato e fotografato. Jassie Dotson, project scientist di Kepler alla NASA, ha concluso:
“I risultati che abbiamo ottenuto dimostrano tutto il valore della missione Kepler, una missione duratura. E questo nuovo modo di guardare ai dati, che è solo una prima fase dall’applicazione del machine learning ai nostri dati, è un promettente inizio per la comprensione dei sistemi planetari intorno ad altre stelle. Sono sicura che ci sono altre novità là fuori che sono solo in attesa di qualcuno che le scopra”.
E passo dopo passo, gli scienziati e le intelligenze artificiali, si avvicinano sempre di più ai sosia del nostro sistema solare e del nostro pianeta.
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