Quale destino per la neutralità di rete?
Lo scorso dicembre la Fcc ha cancellato le modifiche, approvate sotto la presidenza di Barack Obama, che imponevano l'obbligo di non violare la net neutrality. Ma qual è la situazione in Europa e in Italia?
TECNOLOGIA – Antefatto: nel giugno del 2015 Tom Wheeler, allora presidente della Commissione federale per le comunicazioni (FCC) degli Stati Uniti, riclassificava l’accesso alla banda larga come servizio di telecomunicazioni, equiparando i fornitori di accesso a internet agli operatori telefonici. AT&T e gli altri colossi erano dunque assoggettati alle leggi che governano i cosiddetti vettori comuni, cioè servizi di trasporto di persone o beni obbligati a fornire servizi al pubblico senza discriminazioni. Questa misura, fortemente voluta dall’amministrazione Obama per rafforzare la net neutrality e al contempo aumentare il controllo del governo sul settore è stata abrogata lo scorso 14 dicembre dalla nuova commissione guidata dal repubblicano Ajit Pai. La vigilanza sui provider è stata dunque trasferita alla Commissione federale per il commercio (FTC). Nell’ultimo mese si è letto e scritto tanto sulle conseguenze di una decisione capace di scuotere tutti, dai semplici utenti agli imperi digitali di Amazon, Google e Microsoft.
Che cos’è la neutralità di rete?
È il principio su cui si basa l’internet che noi tutti conosciamo. Da computer o smartphone non fa differenza: per connetterci alla rete serve un provider, un servizio che fornisca l’accesso a un centro dati che a sua volta permette la connessione a qualsiasi sito web nel mondo. «La net neutrality obbliga il provider a lasciarti libero nella fruizione dei contenuti senza applicare alcuna priorità tra chi per esempio, sta guardando un film in alta definizione e chi magari accede rapidamente a un social network» chiarisce Andrea Visentin, ingegnere informatico presso l’Insight Centre for Data Analytics a Cork. In altri termini, i fornitori non possono escludere siti web o piattaforme specifiche e non possono rallentare il flusso di dati in base alla tipologia di contenuto. L’accesso paritario alla rete ha permesso ad aziende giovani come Amazon e Google di competere ad armi pari contro realtà inizialmente più floride e strutturate. Ma meno innovative.
Cosa accade in assenza di neutralità?
«La rete nasce libera ed equa, non fa favoritismi. In assenza di neutralità la rete diverrebbe proprietà di chi offre di più ai provider in cambio di corsie preferenziali» prosegue Visentin. Per l’attuale amministrazione Trump internet ha dunque smesso di essere una pubblica utilità per divenire un bene di consumo qualsiasi. Venuto meno il controllo della FCC, i provider saranno dunque tenuti a ottemperare ai soli obblighi di trasparenza, indicando nelle formule contrattuali quali contenuti promuovono e quali invece escludono. Gli effetti pratici sono davanti agli occhi di tutti: qualora un concorrente di Netflix presenti un’offerta migliore al provider, ai suoi contenuti sarebbe assegnata una priorità maggiore. Nei momenti di maggiore traffico il vostro streaming potrebbe diventare un calvario. Tanto da convincervi a stracciare il vostro vecchio abbonamento in favore del nuovo arrivato. E alla lunga, costringere Netflix a presentare un’offerta migliore al provider, scaricando verosimilmente parte del costo sull’utente finale. Un’evenienza tutt’altro che remota visto il contenzioso del 2014 tra Netflix e il provider Comcast riguardo le tariffe di connessione. Tra le vittime di questo scenario potrebbero esserci anche i social network. «I provider potrebbero imporre pacchetti di connessione dedicata, per esempio per Facebook. Sarebbe assurdo pagare per poter fruire un servizio gratuito» commenta l’ingegnere, ricordando che i fornitori potrebbero inoltre decidere di bloccare alcuni tipi di traffico come quello generato da Tor, un sistema di navigazione anonimo. L’assenza di neutralità favorirebbe ovviamente i monopoli: difficilmente le piccole aziende potranno permettersi la stessa connessione di competitori già affermati. Non è da escludersi nemmeno un uso ostruzionistico: i servizi di streaming potrebbero pagare i provider per bloccare o rallentare siti di streaming illegale o torrent.
Cosa cambia in Italia e in Europa?
Nell’Unione Europea la neutralità della rete è regolamentata dalla direttiva 2015/2120. Oltre ad aver sancito l’abolizione delle tariffe di roaming tra i diversi Paesi, questa direttiva prevede il divieto di bloccare, rallentare sistematicamente o discriminare alcuni contenuti rispetto ad altri. La sua applicazione è tuttavia demandata alle singole autorità nazionali, tanto che alcuni Paesi come il Portogallo, limitatamente alla rete mobile, hanno deciso di assegnare priorità ad alcuni contenuti. Nel nostro Paese, dal 2015 è inoltre in vigore la Dichiarazione dei Diritti di Internet, dove si ribadisce che “il diritto a un accesso neutrale a Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona”. Secondo alcuni osservatori, il mancato rispetto della neutralità della rete nel nostro Paese è (al momento) una possibilità remota, grazie anche all’attenta vigilanza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, tra le più rigorose a livello continentale.
Una rete non neutrale
Sia chiaro, la rinuncia alla neutralità della rete porterebbe in dote anche alcuni vantaggi. «Tra applicazioni, streaming, social network e download il traffico dati è in crescita esponenziale mettendo a dura prova la rete. Soprattutto quella italiana che è tra le più lente dell’Unione Europea» spiega Visentin. I sostenitori del libero mercato sostengono che la sua abolizione spingerà i provider a investire in infrastrutture e innovazione. In linea teorica, la diversificazione del costo potrebbe inoltre avvantaggiare gli utenti che utilizzano servizi a basso consumo di dati. «C’è da dire che la creazione di corsie preferenziali non è necessariamente un male: servizi molto diversi come lo streaming e la messaggistica istantanea possono tranquillamente funzionare a velocità differenti» prosegue l’ingegnere. La possibilità di assegnare livelli diversi permetterebbe in un mondo ideale di assegnare priorità maggiore alle connessioni dei sistemi di sicurezza rispetto a quelle utilizzate per postare foto di gattini. «Sicuramente questo non è l’interesse dei provider che premono per l’abolizione della neutralità. La vera incognita è rappresentata dal chi analizzerà il contenuto dei dati in transito per assegnare le priorità. I provider li sfrutterebbero unicamente per ragioni commerciali» conclude l’ingegnere.
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