SALUTE

Disparità nel trattamento dell’infarto, e le donne muoiono di più

I risultati di un ampio studio svedese mostrano che troppo spesso si tende a minimizzare l'infarto fra la popolazione femminile. Ragione in più per investire sempre di più sulla medicina di genere.

Le differenze fra uomini e donne in termini medici sono fuori discussione, sia in termini strutturali che di metabolismo e a livello di sistema immunitario, e non a caso negli ultimi decenni ha preso piede una branca della medicina nota come “medicina di genere”. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – Uno studio condotto fra Svezia e Regno Unito e pubblicato sul Journal of the American Heart Association, che ha esaminato per 10 anni 180.368 pazienti svedesi che avevano avuto un infarto miocardico acuto, ha osservato che all’interno di questo ampio campione le donne mostrano una mortalità più elevata rispetto agli uomini, che diventava simile a quella maschile nei gruppi di donne che erano state trattate con i medesimi trattamenti indicati della linea guida per il trattamento d’urgenza dell’infarto miocardico acuto (angioplastica entro poche ore dall’infarto/ stent cardiaci/sostituzione delle valvole). Inoltre, le donne avevano due volte più probabilità di morire per un secondo infarto grave entro un anno dal primo attacco.

Secondo i ricercatori del prestigioso Karolinska Institute e dell’Università di Leeds, i dati parlano chiaro: le donne non hanno un rischio “insito” di morire di più di infarto: se questo avviene è perché esse vengono tendenzialmente trattate più tardi e con maggiore “leggerezza” – in media – rispetto ai pazienti uomini, per i quali si tende a sospettare subito l’infarto, con tempi di trattamento più brevi.
Nello studio, le donne che avevano avuto un infarto miocardico acuto avevano il 34% di probabilità in meno di ricevere procedure che disostruiscono le arterie bloccate, come la chirurgia di bypass e gli stent cardiaci (cioè l’introduzione di speciali protesi all’interno delle arterie coronariche per evitarne la riocclusione). Le donne avevano anche il 24% di probabilità in meno ricevere terapie farmacologiche che aiutano a prevenire un secondo infarto e il 16% in meno di probabilità che venga loro prescritto l’acido acetilsalicilico, il che aiuta a prevenire la formazione di nuovi coaguli di sangue.

“In genere, quando pensiamo a un paziente con un attacco di cuore, vediamo un uomo di mezza età, magari in sovrappeso, che soffre di diabete e fumatore, ma dobbiamo riconoscere che questo è solo uno stereotipo: gli attacchi di cuore colpiscono lo spettro più ampio della popolazione, comprese le donne” ha dichiarato alla BBC Chris Gale, dell’Università di Leeds e coautore dello studio.
“Già al primo contatto con gli operatori sanitari, le donne hanno meno probabilità di ricevere gli stessi test diagnostici, portandole ad avere il 50% in più di probabilità di essere inizialmente diagnosticate erroneamente, finendo per inficiare l’intero percorso di cura”.

Le differenze fra uomini e donne in termini medici sono fuori discussione, sia in termini strutturali che di metabolismo e a livello di sistema immunitario, e non a caso negli ultimi decenni ha preso piede una branca della medicina nota come “medicina di genere”, che è fra gli obiettivi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità da vent’anni, e dal 2005 fra i progetti del Ministero della Salute per la salute della donna. Non è strano a pensarci: con l’evoluzione della specie uomini e donne hanno giocato ruoli diversi, e nella donna la maternità e l’allattamento hanno richiesto strategie metaboliche diverse al corpo femminile rispetto a quello maschile. Anche in ambito cardiologico, le differenze sono molte: le donne hanno mediamente vasi sanguigni più sottili e calcifici rispetto agli uomini, una massa muscolare cardiaca e il volume del cuore più piccoli.
Eppure la medicina che si è sviluppata nel corso degli ultimi 150 anni è stata per lo più basata su trial clinici dove la partecipazione delle donne era esigua. Alla base del concetto di Medicina di genere vi è dunque la necessità di studiare percorsi differenziati per gli uomini e per le donne, sia per quanto riguarda le terapie che i dosaggi dei medicinali, adattando i risultati scientifici sempre di più alle esigenze delle donne.

Le donne inoltre tendono a presentare problemi cardiaci una decina d’anni più tardi rispetto agli uomini, verso i 60-65 anni, e quindi nel momento in cui accade un evento acuto come un infarto, spesso soffrono di altre patologie correlate, come l’osteoporosi, che dà dei dolori che possono essere confusi con quelli di un infarto e che la donna sente abitualmente.

Per diversi motivi (non da ultima la maggiore abitudine in media della donna a convivere con piccoli dolori e acciacchi senza preoccuparsi) le donne tendono a presentarsi più tardi in Pronto Soccorso e quindi ricevere più tardi i trattamenti.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.