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Rischio cardiovascolare: quanto pesa davvero avere il colesterolo alto

Guardare il colesterolo non basta. Una valutazione completa del rischio cardiovascolare passa per il confronto di diversi parametri, come la pressione, il sesso e se si è fumatori.

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I valori di colesterolo “cattivo” non sono gli unici parametri da tenere in considerazione per valutare il nostro rischio cardiovascolare. Crediti immagine: Tannim101, Wikimedia Commons

SALUTE – È l’incubo di tutti noi quando ritiriamo le nostre analisi del sangue: avrò il colesterolo entro i limiti? E quello buono è sufficientemente alto da contrastare gli effetti di quello cattivo? Poi puntualmente se i valori risultano nella norma allora ci sentiamo tranquilli che il nostro cuore naviga in acque serene e che per il momento non dobbiamo preoccuparci. Le cose però in realtà non sono così semplici: il colesterolo non è infatti il principale parametro per la valutazione del rischio cardiovascolare, o per meglio dire, non possiamo pensare di avere una risposta sulla nostra situazione cardiovascolare considerando questo valore da solo.

Si tratta di un parametro che va incrociato con altri valori altrettanto importanti, come la pressione arteriosa, l’età, il sesso, l’essere o meno fumatori, la presenza di diabete, di malattie renali e respiratorie. Insomma, preoccuparsi solamente di colesterolo alto è assai riduttivo, tanto che in alcuni casi, nonostante valori di colesterolo totale superiori al valore soglia indicato, non è appropriato nessun intervento terapeutico. Al contrario, in situazioni particolarmente compromesse, come nel caso di chi ha già avuto episodi di infarto o ictus, il valore soglia per il cosiddetto colesterolo cattivo (LDL) non è 115 mg/dL come per la popolazione generale, ma 70 mg/dL.

Bombardati da innumerevoli messaggi, specie da parte dei media, e da qualche tempo anche dalle campagne pubblicitarie di alimenti o integratori alimentari che si focalizzano sul problema dell’ipercolesterolemia più che su altri importanti fattori di rischio – tra i quali l’eccesso di peso, la sedentarietà e il fumo – dobbiamo quindi stare attenti a non pensare alla nostra salute cardiovascolare solamente in termini di colesterolo.

Che cosa si intende dunque per rischio cardiovascolare, e come valutarlo nella sua complessità? Ne abbiamo parlato con Roberto Tramarin, Direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia Perioperatoria e Riabilitativa dell’Istituto Scientifico Policlinico San Donato di Milano.

I fattori di rischio sono molteplici, in primis l’ipertensione

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Un modo per rendersi conto rapidamente del reale peso dell’ipercolesterolemia è osservare le carte di rischio cardiovascolare, che sono realizzate dalle società scientifiche a livello mondiale e aggiornate periodicamente. Queste tabelle, come nel caso dello SCORE elaborato dalla Società Europea di Cardiologia, descrivono il rischio in percentuale di morte per un evento cardiovascolare nei successivi 10 anni, a seconda di età, sesso, essere fumatori oppure no, pressione arteriosa (asse verticale) e infine colesterolo (asse orizzontale).

“Balza subito all’occhio che l’ipercolesterolemia incide di meno rispetto all’ipertensione (ancora oggi non diagnosticata in un soggetto su tre) o all’essere o meno fumatori”, spiega Tramarin. “Prendiamo il caso di un uomo di 60 anni non fumatore con un valore di colesterolo totale di 190, e quindi apparentemente normale: il suo rischio aumenta dal 2% in assenza di ipertensione (cioè con pressione arteriosa sistolica di circa 120-140 mmHg) al 4% se la pressione è intorno a 160 fino al 6% se la pressione tocca i 180: il suo rischio cardiovascolare risulta quindi triplicato.”

Per contro, se il suddetto sessantenne ha una pressione stabile a 120 mmHg, il suo rischio cardiovascolare passa dal 2%, se il colesterolo è inferiore o uguale a 200 mg/dL, al 3% se è intorno a 250 mg/dl e rimane tale anche se i suoi valori di colesterolo arrivassero a 300 mg/dL, valori che identificano una grave ipercolesterolemia. Insomma, se il paziente non soffre di ipertensione e non fuma, il colesterolo incide molto meno sul suo rischio cardiovascolare rispetto alla stessa ipercolesterolemia in un paziente iperteso e/o fumatore. Se oltre tutto il paziente è fumatore, all’aumentare di ipertensione e colesterolo il rischio è ancora maggiore. Altrimenti detto: il colesterolo alto da solo ci dice relativamente poco. “Nella definizione accurata del reale rischio cardiovascolare dobbiamo quindi valutare i vari fattori di rischio non individualmente, ma nella loro globalità – precisa Tramarin – anche per evitare pericolosi e fuorvianti fai-da-te.”

Colesterolo buono e cattivo: vanno valutati entrambi

Facciamo un passo indietro. Il colesterolo che va tenuto sotto controllo è in realtà quello “cattivo” cioè quello che nelle nostre analisi del sangue viene definito LDL, e che è molto pericoloso perché è quello che tende ad accumularsi nei nostri vasi sanguigni. “Non basta però l’indicazione di questo colesterolo cattivo per valutare il nostro reale rischio cardiovascolare” spiega Tramarin. “Le analisi del sangue devono contenere almeno cinque parametri, che permettono al nostro medico di valutare la nostra situazione, e sono, oltre alla glicemia che indica la presenza di diabete, il colesterolo totale (il cui valore, non “normale”, ma “desiderabile” è indicato come inferiore a 190 mg/dl), il colesterolo “buono (HDL), considerato buono perché contribuisce a eliminare il colesterolo presente nelle arterie, quello cattivo cioè LDL, e i trigliceridi. È indispensabile quindi disporre di tutti questi cinque valori. Infatti una persona con valori di colesterolo totale e cattivo accettabilmente bassi potrebbe in realtà avere, in presenza di valori di colesterolo HDL (quello buono) particolarmente bassi, un elevato profilo di rischio cardiovascolare.

Alimentazione sana e attività fisica e il rischio diminuisce

“Il concetto chiave di cui dobbiamo convincerci è che le malattie cardiovascolari si possono prevenire attraverso una dieta sana e uno stile di vita che comprenda un po’ di attività fisica eseguita con costanza”, conclude Tramarin. “Secondo le più recenti evidenze scientifiche la mortalità per malattie cardiovascolari potrebbe essere dimezzata solo attraverso modeste riduzione dei rischi connessi all’alimentazione e alla sedentarietà. Sembra il solito mantra trito e ritrito, ma non è così: un’alimentazione sana, basata sulla dieta mediterranea ricca di carboidrati, frutta e verdura e povera di grassi di origine animale, il non fumare, e camminare a passo sostenuto 30 minuti al giorno possono salvarci la vita, non solo attraverso il loro contributo alla riduzione del colesterolo, ma anche attraverso la loro azione benefica sulla riduzione della l’ipertensione, sul miglior controllo di un eventuale diabete, e sul mantenimento di un buon peso forma. Questo significa fare davvero prevenzione delle malattie cardiovascolari”.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.