ATTUALITÀ

Un algoritmo per accogliere i rifugiati

La capacità dei rifugiati di integrarsi nel nuovo contesto dipende dalla zona del paese nella quale vengono ricollocati.

Imparare una nuova lingua o trovare una semplice occupazione possono risultare sfide insormontabili per i rifugiati, una delle fasce più deboli della popolazione, spesso relegata ai margini dell’economia e della società del paese ospitante. Ma secondo una ricerca realizzata dall’Immigration Policy Lab (IPL) della Stanford University e dal Politecnico federale (ETH) di Zurigo, in associazione con il Dartmouth College, la capacità di integrarsi nel nuovo contesto dipende da un fattore finora ignorato: la zona del paese nella quale i migranti vengono ricollocati. In base al profilo di ogni individuo, la nuova città potrebbe rappresentare un ostacolo o una rampa di lancio per la successiva integrazione: individuare la corrispondenza giusta può fare una grande differenza nell’aiutare il rifugiato a trovare lavoro e a mettere radici in quel territorio.

Lo studio pubblicato su Science ha preso in considerazione la situazione negli Stati Uniti e in Svizzera. Negli Stati Uniti, i rifugiati vengono assegnati alle città che hanno maggiore disponibilità al momento dell’arrivo. In altri paesi, come per esempio in Svizzera, i titolari di protezione sussidiaria sono ricollocati nelle diverse regioni in modo casuale e proporzionale (in Italia l’assegnazione tende a rispettare il criterio di una percentuale sul numero di residenti). Per entrambi i paesi oggetto dello studio, sono disponibili informazioni sulle condizioni economiche dei rifugiati nel periodo successivo all’arrivo, ma questi dati non sono mai stati utilizzati per ottimizzare le ricollocazioni seguenti.

L’algoritmo sviluppato dall’IPL potrebbe proprio svolgere questa funzione. Immaginiamo di avere due rifugiati provenienti dallo stesso paese, della stessa età, con le stesse abilità e origine etnica. Quando sono ricollocati in diversi paesi, uno ha difficoltà nel trovare lavoro, mentre l’altro riesce facilmente a trovare un’occupazione. Le ragioni per le quali il loro percorso segue strade diverse sono difficili da capire, ma se queste informazioni sono incorporate nell’algoritmo, possono servire a migliorare le ricollocazioni future. Al momento di assegnare una destinazione a un nuovo rifugiato che ha le stesse caratteristiche dei precedenti, infatti, l’algoritmo sarà in grado di identificare la destinazione migliore tra quelle disponibili.

Per sviluppare l’algoritmo, i ricercatori hanno utilizzato i dati riguardanti 30.000 rifugiati di età compresa tra i 18 e i 64 anni, che erano stati ricollocati negli Stati Uniti tra il 2011 al 2016. Tramite il nuovo metodo sviluppato, hanno assegnato la destinazione “ottimale” ai rifugiati arrivati alla fine del 2016. I risultati sono stati notevoli: nella città scelta dall’algoritmo, ogni rifugiato avrebbe una probabilità di trovare lavoro pari al doppio rispetto a quella ricavata dai dati storici. Quando il metodo è stato testato con i dati svizzeri, i risultati si sono rivelati ancora più sorprendenti: il tasso di occupazione è risultato pari al 26%, contro il 15% osservato nella realtà, con un possibile aumento del 73%.

L’assegnazione tramite algoritmo è una procedura semplice che potrebbe portare a grandi miglioramenti, a costi quasi nulli. L’obiettivo dei ricercatori – spiega Kirk Bansak dell’IPL – è stato quello di sviluppare un sistema che potesse essere facilmente implementato nel mondo reale. Migliorare un processo esistente utilizzando dati già disponibili, permette infatti di evitare il carico finanziario e amministrativo che spesso ostacola altri tipi di politiche innovative.

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.