Tra Mediterraneo e Sudafrica: le verità sullo squalo bianco
Alessandro De Maddalena, docente all’Università Bicocca di Milano e ricercatore sul campo in Sudafrica ci racconta la sua esperienza con gli squali
ANIMALI – È il più grande predatore al mondo. Modellato da millenni di evoluzione, è una macchina da caccia perfetta. Le sue acrobazie, le sue fauci, tutto di lui affascina il pubblico, rendendolo uno degli attori principali nel cast del regno animale. Se pensiamo allo squalo bianco, Carcharodon carcharias, abbiamo in mente le baie di oceani lontani ma se lo associamo al Mediterraneo la parola d’ordine è “sporadico, occasionale”. Niente di più falso.
Alessandro De Maddalena, è tra i ricercatori di squalo bianco più importanti al mondo. Docente all’Università Bicocca di Milano, ricercatore sul campo in Sudafrica e divulgatore in giro per il mondo. In 7 anni, in un tour di 80 conferenze – con migliaia di spettatori – rappresenta la voce fuori dal coro che lotta contro gli stereotipi che affliggono gli squali.
“È una specie cosmopolita, domina tutte le acque del pianeta e anche il Mediterraneo è la sua casa ideale. Era diffuso nell’alto Tirreno, in Croazia, Sicilia, Tunisia, golfo del Leone, isole Baleari, tanto è vero che la specie fu descritta dai primi naturalisti sulla base di esemplari mediterranei: i campioni più grandi al mondo, di squali lunghi 6 metri e 60, sono stati reperiti a Malta e Marsiglia. Siamo noi ad averlo quasi estinto. Ha cominciato a diminuire in Mediterraneo agli inizi del 900, negli ultimi 30 anni abbiamo perso più del 40% della popolazione ma rispetto alle stime antiche è diminuito di oltre il 90%” spiega De Maddalena.
Eppure tutte le volte che abbiano una segnalazione, come quella avvenuta lo scorso inverno nell’Adriatico, sembra sempre una novità, un avvistamento inedito. È l’uomo che ha perso il contatto con lo squalo bianco e, negli occhi di De Maddalena, c’è la speranza che un giorno possa tornare perché “un predatore di vertice è indice di ottima salute per l’ecosistema, regola tutta la rete trofica”.
Un suo ritorno non sembra possibile perché, senza le sue prede, ovvero tonni, pesci spada, delfini, il Mare nostrum gli è inospitale. E a giudicare dal terrore con il quale i media accolgono le sue comparse non sembra affatto desiderato.
“La paura per l’attacco da squalo è ingiustificata perché qualunque causa di decesso, anche la più assurda, sarà sempre maggiore della mortalità da squalo. In Sudafrica, principale territorio di caccia al mondo, dove gli squali nuotano a 20 minuti dalla costa e in estate si avvicinano a 2 metri d’acqua tra migliaia di turisti, abbiamo solo 1 attacco all’anno, non mortale”.
Bisogna considerare che lo squalo vale più da vivo che da morto: se una carcassa può arrivare a una decina di euro, in vita vale 25mila volte di più. Il progetto di conservazione più efficace è riuscire a convincere la popolazione che esso è una risorsa. E così nelle aree geografiche dove gli squali bianchi sono ancora diffusi – California, Messico, Giappone, Australia, Sudafrica – lo sharkdiving è un motore per l’economia.
Bisogna però scegliere bene. “C’è un turismo sostenibile, non invasivo, condotto da buoni operatori e ci sono gli irrispettosi operatori da rodeo, che mal gestiscono la distanza delle esche e fanno sbattere di proposito gli squali contro le sbarre delle gabbie, quando gli animali neanche si avvicinerebbero. Su 500 specie di squali esistenti solo l’immersione con lo squalo bianco è illegale senza gabbia, ed è giusto così: è vergognoso che ci siano turisti incoscienti disposti a pagare di più per stare senza”.
Appassionato fin da bambino, in oltre vent’anni di studi De Maddalena ha realizzato 30 spedizioni sugli squali bianco e ha messo in piedi l’archivio storico più completo sulla presenza di C. carcharias in Mediterraneo, con oltre 600 segnalazioni in due secoli e da 7 anni vive in Sudafrica. Nella False bay, a Seal Island, si raggruppano le otarie orsine del Capo (Arctocephalus pusillus) e, a ogni alba, si contano fino a 30 attacchi di squali. I cuccioli inesperti, nati a dicembre e già ben svezzati in primavera, sono il pasto preferito dagli squali. “L’attacco in superficie è una specificità dello squalo in Sudafrica, è un comportamento – o meglio una vera e propria cultura – che ha appreso per evitare le acque torbide del luogo”.
Dopo tanti anni di osservazioni, arriva una smentita: “la teoria che lo squalo attacchi i surfisti perché li confonda con otarie è infondata, come può un animale che caccia da 400 milioni di anni non saper riconoscere una tavola da un animale vero? Con l’ausilio di otarie finte abbiamo dimostrato che gli squali non saltano. Mentre quello che si osserva con i surfisti, ovvero un attacco senza morsi, si riscontra anche coi pinguini e le lontre marine. Questo si spiega con due ragioni, da una parte gli squali fanno pratiche di caccia, come il gatto che gioca con la mano come se fosse il topo: allenarsi è istinto. Dall’altra, sono curiosi, portano oggetti alla bocca per esplorare, come i bambini”.
Ma questo animale, che il ricercatore definisce “la forma d’arte più bella esistente” è in serio declino. Protetto solo sulla carta, è minacciato dalla caccia diretta, dal finning, dalle catture accidentali (bycatch). E non solo il mercato cinese, anche l’Italia assieme alla Spagna si configura tra i principali importatori di carne di squalo al mondo. Nei nostri piatti ci finiscono lo smeriglio, la verdesca e il mako.
I media e il cinema hanno enormi responsabilità. “La paura vende, i bravi documentaristi hanno le mani legate. Siamo rimasti ai tempi de Lo squalo di Spielberg. Anzi siamo peggiorati, perché se prima tante cose non si sapevano, adesso si mente spudoratamente e negli ultimi 10 anni i documentari hanno raggiunto un livello infimo, possono avere aspetti positivi ma sono talmente infarciti di terrore che il risultato è un messaggio confuso”.
Crediti immagine galleria fotografica: Alessandro De Maddalena
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