Attacchi di squali, l’allarmismo non serve
Un recente caso di cronaca fa leva su un timore vecchio di un secolo. Ma ad avere paura dovrebbero essere gli squali: ne sterminiamo più di 100 milioni ogni anno.
ANIMALI – In Costa Rica, negli ultimi 400 anni, sono stati confermati solo cinque attacchi di squali. Eppure la tragica morte di una turista americana, attaccata da uno squalo tigre durante un’immersione al largo di Isla del Coco, in un parco nazionale, ha già fatto il giro del mondo.
Insieme alla sua guida, la newyorkese Rohina Bhandari stava nuotando verso un punto di ritrovo ed era quasi alla fine della sua immersione. Quando lo squalo si è avvicinato la guida ha provato ad allontanarlo, riportando varie ferite, ma non è riuscito a impedire che afferrasse la gamba di Bhandari, morta poco dopo in base al rapporto dei medici del parco. Anche l’uomo alla guida del motoscafo che li accompagnava è rimasto ferito nel tentativo di scacciare lo squalo.
Quanti sono gli attacchi di squali nel mondo?
L’incidente richiama alla mente uno scenario da film Lo squalo, ma gli esperti ribadiscono: non c’è motivo di farsi prendere dal panico per gli attacchi di squali. Nella maggioranza dei casi questi animali evitano il contatto con gli umani e non si avvicinano né attaccano se non provocati.
Secondo i conservazionisti del parco, lo squalo tigre (Galeocerdo cuvier) era stato assente dalle acque di Isla del Coco per varie decine di anni, e ha fatto il suo ritorno di recente. Nel 2012 ne sono stati identificati cinque ma è la prima volta che si verifica un incidente simile.
È così facile essere vittima degli attacchi di squali? No: è molto più probabile essere colpiti da un fulmine. Tra il 1959 e il 2010, negli Stati Uniti, i fulmini hanno ucciso quasi 40 persone l’anno, per un totale di 1970 morti. Gli squali hanno causato solo 26 decessi, nemmeno uno all’anno. Eppure continuiamo a temerli come se gli attacchi fatali fossero all’ordine del giorno. Per di più continuare a parlare di acque “infestate dagli squali” non aiuta. Quelle acque non le infestano, è casa loro.
Nel 2016, in tutto il mondo, ci sono stati 84 attacchi di squali a umani senza che gli animali venissero provocati. Per unprovoked attacks si intendono tutte quelle circostanze in cui la vittima dell’attacco non sembra avere responsabilità. Gli attacchi provoked comprendono quelli ai danni di pescatori con arpioni, di subacquei che hanno provato a toccare, afferrare o nutrire gli squali e via dicendo.
Il numero di interazioni di ogni anno è correlato direttamente al tempo che la nostra specie trascorre in mare. Mentre la popolazione mondiale continua ad aumentare, e insieme a essa cresce l’interesse per le attività in acqua, è normale prevedere che gli attacchi di squali potrebbero aumentare.
Questo se il numero di squali aumenterà o rimarrà stabile, quando in realtà sta calando in molte aree del mondo a causa della perdita di habitat e della pesca intensiva. A livello globale la tutela di questi animali è una sfida, e il bacino del Mediterraneo ne è la prova. Soprattutto a causa delle catture accidentali, su un totale di 73 specie di condroitti monitorate oltre la metà è a rischio di estinzione a livello regionale. Trentuno sono minacciate o gravemente minacciate. La loro biologia li rende ancora più delicati. Gli squali raggiungono la maturità sessuale quando sono già “adulti”, hanno lunghi periodi di gestazione e fanno un piccolo ogni paio d’anni.
Secondo la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) il 24% delle specie di squali totali (sul pianeta ne esistono oltre 500) è minacciato, soprattutto a causa dell’enorme richiesta della loro carne da parte del mercato asiatico. Ogni anno ne uccidiamo almeno 100 milioni nei modi più efferati, tra i quali spicca il finning. I pescatori issano gli squali, tagliano loro le pinne – che verranno vendute essiccate per fare la zuppa – e li ributtano in mare ancora vivi, destinati a sprofondare e morire sui fondali perché non più in grado di nuotare.
Negli anni Ottanta del secolo scorso il mercato delle pinne si è impennato e per i pescatori si trattava di uno dei prodotti più redditizi. “[…] non devi tenerle al caldo né congelarle, basta lasciarle da qualche parte sul ponte della nave, perché verranno essiccate e spedite in Asia”, spiega in una bella intervista George Burgess, ittiologo e biologo esperto di squali, che dirige il Florida Program for Shark Research.
Burgess coordina anche l’International Shark Attack File (ISAF) del Florida Museum of Natural History. Iniziato nel 1580, è il più antico database che raccoglie i dati sugli attacchi di squali, l’unico globale e gestito da un ente scientifico. Oltre a fornire il quadro completo sulla situazione, i ricercatori danno consigli su come comportarsi in presenza di uno squalo, oltre a mettere in prospettiva gli attacchi. Se sembrano tanti, è perché noi umani continuiamo a fagocitare e frequentare con le nostre attività ogni possibile centimetro di oceano.
Come è nato il “mito” degli attacchi di squali?
Nel giugno 2016 è caduto il centenario di un evento che ha cambiato per sempre la nostra percezione degli attacchi di squali. Lo stesso che ha ispirato l’omonima pellicola di Steven Spielberg tratta dal libro del giornalista Peter Benchley.
Si tratta degli attacchi da parte di uno squalo verificatisi sulla costa statunitense del New Jersey, la famosa Jersey Shore. Quattro persone rimasero ferite e una uccisa in un’estate che (se non fosse stato per lo squalo) sarebbe passata alla storia per il caldo torrido e un’epidemia di poliomielite. Furono proprio questi due fattori, in base alle ricostruzioni storiche, a spingere un gran numero di persone verso la costa del New Jersey. E a far impennare il numero di bagnanti a mollo.
Gli esperti discussero a lungo per identificare lo squalo responsabile e tuttora non c’è unanimità al riguardo. Nello stomaco di uno squalo bianco pescato vicino alla costa, tuttavia, furono trovati dei resti umani. Il che mise a tacere il dibattito, ma le basi per un secolo di panico erano state gettate. Arrivati al 1975, il film di Spielberg avrebbe cementato la nostra idea degli attacchi di squali come eventi possibili o addirittura comuni, e forgiato il loro ruolo di “temibili predatori”.
Per usare le parole di Burgess, “L’inizio della fine è stato Lo squalo. La fine della fine è stata la pesca commerciale”.
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