Squali, razze, chimere: il Mediterraneo è un hotspot di estinzione
A livello globale la tutela dei pesci cartilaginei, squali in particolare, è una sfida. Ma il bacino del Mediterraneo è un punto critico, soprattutto a causa delle catture accidentali.
SPECIALE APRILE – Sul pianeta esistono più di 500 specie di squali, dall’enorme squalo balena (il pesce più grande del mondo) fino al minuscolo squalo lanterna nano, con un corpo non più lungo di 20 centimetri e organi luminescenti per attrarre le prede. Ma anche creature che sembrano quasi mitologiche come il longevo squalo della Groenlandia, che può vivere anche oltre 400 anni.
Non tutte queste specie godono di protezione internazionale, alcune come mako e verdesche sono state a lungo pescate senza limiti e, tutt’oggi, molti squali a rischio di estinzione vengono ancora pescati illegalmente. Tra i vertebrati, gli squali e i loro parenti rappresentano alcuni dei gruppi più in pericolo: secondo la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) il 24% delle specie sono minacciate. La crescente richiesta di carne di squalo, specialmente dal mercato asiatico, non aiuta.
Una delle minacce più gravi per questi straordinari predatori è il bycatch, la pesca “accidentale”, che li vede finire imprigionati in reti che erano state calate per catturare altre specie come tonni e pesci spada. Secondo un report di Oceana del 2014, il bycatch negli Stati Uniti rappresenta una grossa fetta delle catture totali (fino al 40%) e non è raro che il pescato ributtato a mare sia più di quanto torna a riva con i pescherecci. Ma ottenere dati precisi è molto complicato: secondo le stime il bycatch annuale USA supera le 900 tonnellate, ovvero l’equivalente del pescato di altre piccole nazioni.
Se sull’immaginario collettivo pesano ancora le immagini del film Lo squalo, la realtà della convivenza negli oceani, dove ci sentiamo i padroni che non siamo, è molto diversa
More humans are bitten by other humans on the NYC subway each year then are bitten by sharks in the whole world.
— Biotweeps – Nina (@biotweeps) April 11, 2017
Ma come stanno gli squali, e i pesci cartilaginei in generale, nel Mediterraneo? Secondo un recente rapporto stilato dalla IUCN, questo mare è un vero e proprio hotspot chiave per l’estinzione dei condroitti. A oltre dieci anni dalla prima valutazione estensiva, non c’è traccia di miglioramenti. Delle 27 famiglie presenti, più della metà comprende specie che sono tutte a rischio nella Mediterranean Sea Red List. Tra queste ci sono i cosiddetti squali volpe (gli alopidi), gli squali angelo e i pesci chitarra.
Su un totale di 73 specie di condroitti monitorate, oltre la metà (39) è a rischio di estinzione a livello regionale: 31 sono minacciate o gravemente minacciate.
Un punto debole rimane però la mancanza di dati per 13 specie di condroitti, uno status di incertezza (data deficient, DD) che si fa sentire specialmente lungo le coste settentrionali dell’Africa, un altro hotspot importante per la biodiversità nel quale mancano valutazioni scientifiche accurate e che permettano di monitorare l’andamento delle popolazioni nel corso del tempo. Anche assumendo che queste specie DD non siano già a rischio, la stima degli scienziati è che almeno il 53% dei pesci cartilaginei del Mediterraneo sia in pericolo. Una percentuale che, con un approccio meno ottimistico che le includa, potrebbe toccare il 65% o anche il 71%.
Nel 2007 la IUCN aveva condotto una prima ampia valutazione con la Mediterranean Sea Red List e la speranza era di trovare, dieci anni dopo e con molte conoscenze in più, una situazione se non migliorata almeno stabile. Al contrario, 11 specie hanno “guadagnato” almeno un grado di minaccia nella Lista Rossa.
Delle 32 specie di razze che vivono nel Mediterraneo, almeno la metà è ad alto rischio di estinzione. Alcune, come Raja radula (minacciata) e Leucoraja melitensis (gravemente minacciata), sono endemiche: non vivono in nessun altro mare al mondo. Si salva con uno status di “minore preoccupazione” solo l’unica specie di chimera presente, Chimaera monstrosa, un pesce abissale dal muso simile a quello di un coniglio – in inglese è infatti chiamata rabbit fish o rat fish – che può arrivare a 1,5 metri di lunghezza.
Un pozzo senza fondo: bycatch nel Mediterraneo
Anche nell’area mediterranea il bycatch è un punto critico, ma spesso gli squali catturati con reti destinate a tonni e pesci spada (la cui pesca è stata ulteriormente regolamentata) vengono tenuti, si legge sul rapporto IUCN, e considerati pescato sì accidentale ma di valore. Anche le razze non sono immuni alla pesca accidentale, soprattutto per mano del palamito.
Nel 2002 l’Unione Europea ha messo al bando l’utilizzo delle reti da posta derivanti, una decisione difficile per le conseguenze sull’industria ittica ma necessaria per salvaguardare le risorse marine. Dopo 15 anni questo divieto viene ancora largamente ignorato, prosegue il rapporto, specialmente da Italia, Turchia, Marocco e Algeria che continuano a usare le reti pelagiche causando un impatto gravissimo quanto “nascosto” alle popolazioni di squali locali.
Le reti derivanti più usate in Italia comprendono le ferrettare, lunghe non più di 2,5 chilometri, con altezza generalmente tra i 20 e i 30 metri e con maglie di circa 18 centimetri. Si tratta di reti non selettive, “affidate” alle correnti e dunque responsabili di innumerevoli catture accidentali.
Le normative italiane nel tempo sono cambiate, riducendo la dimensione delle maglie (10 centimetri) e la distanza dalla costa dove è consentito usare le reti, non oltre le tre miglia. Le ferrettare vengono calate e tenute sul pelo dell’acqua – o subito sotto la superficie – da galleggianti, mentre alcuni pesi sulla parte inferiore le mantengono in verticale.
In Italia possiamo ricordare le ingarbugliate vicende legate alla pesca con reti derivanti che hanno circondato per esempio l’isola di Ponza, considerate uno scandalo che si ripete ogni anno dalle associazioni ambientaliste come Legambiente, WWF e Marevivo. Nel ricorso al TAR, riportava Il Corriere nel 2011,
l’avvocato del Comune di Ponza, Mario Occhipinti, scrive che la colpa di tutto risiede nei mancati controlli da parte delle autorità preposte: «Si evince in maniera incontrovertibile che la procedura d’infrazione è conseguenza dell’omesso controllo da parte delle autorità italiane […]».
Per cetacei, tartarughe e squali finiti in trappola, dunque, in Italia oltre al danno c’è stata la beffa. Nonostante l’inaccettabile tasso di bycatch provocato dalle ferrettare, infatti, la matassa della “salvaguardia della pesca tradizionale” non è affatto caduta nel dimenticatoio.
Il politico italiano Remo Sernagiotto ha anche presentato un’interrogazione al riguardo alla Commissione Europea, per chiedere di autorizzare nuovamente ferrettare con maglie da 18 centimetri e “assicurare la sostenibilità socio-economica ed ambientale del comparto ferrettare in Italia […], non solo la continuità di questo tipo di pesca, ma anche la salvaguardia di mestieri e saperi tradizionali”.
Le conclusioni della valutazione IUCN, che fornisce uno sguardo d’insieme poco incoraggiante, non sono positive. Nonostante la situazione di sovra-sfruttamento nel bacino del Mediterraneo sia ormai nota e compresa, non sono mai state prese misure gestionali dedicate ai condroitti. Le valutazioni sugli stock ittici sono, appunto, solo valutazioni; ma dovrebbero essere il punto di partenza per limitare la pesca di quelle specie più produttive che, con i giusti provvedimenti, sono ancora in grado di riprendersi. Con benefici per la biodiversità ma anche di un’industria ittica sostenibile e dell’economia a essa legata.
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