Il pesce giusto: la salute dei mari passa dagli acquisti sostenibili
Sapreste scegliere il pesce "di stagione" come fate con la frutta o la verdura? Una app vi viene in aiuto e, con una semplice foto, vi dice se il pesce che avete acquistato è sostenibile o meno
Se dovessero domandarvi quali sono i frutti e le verdure di stagione, in questo caldo luglio, è probabile che non avreste grosse difficoltà a rispondere. Ci sono pesche, pesche noci e tabacchiere, angurie e meloni, prugne, pomodori e cetrioli a volontà… ma sareste altrettanto pronti se la domanda riguardasse il pesce? Se vi trovaste di fronte al banco pescheria, e doveste scegliere la specie il cui acquisto in questo momento è più sostenibile?
La risposta è… che può aiutarvi un’app. Perché quando si parla di specie ittiche risalire allo status di conservazione non è semplice, ma allo stesso tempo la richiesta dei consumatori guida l’offerta, il che significa che è in nostro potere fare la differenza quando compriamo. Questa app si chiama Il pesce giusto ed è il progetto di dottorato di una ricercatrice, Flavia Bartoccioni, condotto presso l’Università di Tor Vergata: non solo vi fornisce informazioni riguardo alla sostenibilità delle varie specie più vendute, ma valuta anche in tempo reale il pesce che avete appena acquistato, attraverso una semplice foto scattata con lo smartphone.
Se volessimo consultare subito l’applicazione (qui per il download, per iOS e Android) ci direbbe che per pranzo possiamo comprarci un bello sgombro o una costardella, mentre a estate inoltrata sarà la volta di un bel piatto a base di seppia. No invece, in estate, a triglie di fango e ai popolari calamari.
“Abbiamo iniziato il progetto perché volevamo trovare un canale per parlare di educazione sostenibile e di un aspetto ‘nuovo’ legato all’ecologia, ovvero l’alimentazione”, racconta a OggiScienza Bartoccioni. “Spesso se ne parla in termini sociali, culturali, igienico-sanitari, ma quando si tratta di pesce, o meglio di risorse marine, l’aspetto ambientale passa in secondo piano”.
Il metodo scelto è quello della citizen science, perché “è perfetta”, prosegue la ricercatrice. “Da un lato ti permette di raccogliere dati e dall’altro sei tu scienziato a fornire informazioni preziose ai cittadini, in modo semplice e facilmente fruibile. Di guide e siti sull’alimentazione sostenibile ce ne sono tanti, in rete le informazioni non mancano, ma spesso per arrivare a quelle che davvero ti servono serve troppo tempo. Così abbiamo scelto di realizzare l’app, che è stata creata da Lorenzo Vinci dell’Università di Bologna”.
Scarichiamo ora la app e guardiamo cosa possiamo fare. Troviamo dieci specie, quelle che più spesso si incontrano in pescheria: gambero rosa, nasello e acciuga, ma anche sardina, sogliola, seppia, sgombro, triglia di fango, calamaro, costardella. Cinque sono verdi, consumabili secondo tre criteri – che approfondiremo tra poco – e cinque sono gialle, da mangiare con molta attenzione perché già sovrasfruttate. Per ognuna c’è una carta d’identità che ci spiega qual è la taglia minima, quando andrebbe comprata e qual è lo status di sfruttamento. Per alcune, come lo sgombro, che è considerato non pienamente sfruttato (ovvero, la pesca intensiva ancora non mette a rischio la specie) ci sono ricette proposte da uno chef. Perché fatto l’acquisto del “pesce giusto” arriva poi il momento di goderselo.
“Se acquisti uno di questi dieci pesci puoi fargli una foto vicino a una moneta, ad esempio da 50 centesimi, 1 o 2€, per le proporzioni. Scattata la foto apparirà una schermata con due righelli, uno verticale che va trascinato con il dito sul ‘naso’ del pesce e uno che invece va posizionato sulla punta della coda. In automatico uscirà anche un piccolo cerchietto, che va spostato sempre con le dita per sovrapporlo alla moneta”, spiega Bartoccioni. Inviata la foto, avremo subito il nostro responso e sapremo se il pesce è abbastanza grande (taglia minima) e se è sostenibile in base al periodo. Se non lo è, troveremo anche dei consigli per gli acquisti alternativi.
Ma cosa intendiamo con pesce sostenibile e di stagione?
“Abbiamo seguito le indicazioni il più autorevoli possibile e scelto tre criteri. La taglia minima, stabilita da decreto ministeriale, lo stato di sfruttamento secondo la Food and Agriculture Organization (FAO) e il periodo riproduttivo. Perché è questo che intendiamo con stagionalità: se andiamo dal pescivendolo e chiediamo un pesce di stagione, generalmente ci suggerirà il ‘suo’ pesce di stagione, ovvero la specie che in quel periodo costa meno perché è più presente. Ma per le seppie, come anche per varie specie ittiche, quando sono molto presenti in un’area e si raggruppano è perché vanno lì a riprodursi. Se economicamente risparmi e ottieni pesce fresco, allo stesso tempo stai causando un danno ambientale”.
Mediterraneo agli sgoccioli
Nel Mediterraneo l’83% delle risorse verte in uno stato di sovrasfruttamento (50%) e sfruttamento completo (33%). “Soltanto il 17% delle risorse è sottoutilizzato”, prosegue la ricercatrice. “A livello globale, invece, il 57% delle risorse ittiche è sovrasfruttato e il 30% sfuttato completamente. Solo il 13% è sottoutilizzato”.
Definire se una specie è già oltre il limite di sfruttamento non è semplice e, di fronte a informazioni spesso contrastanti, si finisce per essere ancor più disorientati e scoraggiarsi. Raccogliendo i dati per il progetto, infatti, “è emerso che in molte liste verdi destinate ai consumatori vengono proposte specie ittiche che la FAO considera sovrasfruttate, come il pagello, Pagellus erythrinus, o lo spratto, Sprattus sprattus, o ancora il rombo chiodato, Psetta maxima. La stessa FAO riesce ancora a dare una classificazione dello stato di sfruttamento di solo il 20% delle specie”.
Spesso questi dati sono discordanti con quelli dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che ha classificazione per metà delle specie ittiche ma “scende al 20% quando parliamo del territorio nazionale. Come se non bastasse, una specie sovrasfruttata per la FAO può essere a rischio minimo (least concern) per la IUCN. Ci siamo messi nei panni di un consumatore, visto che le Liste Rosse IUCN sono note. Come orientarsi di fronte a dati così discordanti e parametri tanto diversi per stabilire la sostenibilità?”.
La raccolta dei dati è iniziata a giugno, quindi è presto per trarre conclusioni. Ma tramite la citizen science si apre la possibilità di capire meglio i consumi degli italiani, dunque di individuare possibili canali per un consumo più sostenibile ed eventuali criticità.
“Vorremmo sensibilizzare i cittadini, ma sarebbe interessante anche mappare i consumi: con tante segnalazioni da diverse regioni potremmo capire perché in alcune il consumo è più o meno sostenibile. Si tratta di consumatori attenti, perché sono già state fatte campagne di sensibilizzazione, o di poca scelta perché la proposta dei banchi del pesce è ridotta, poco sostenibile e si vende solo ciò che costa poco?”.
Di fronte a quella che all’apparenza è una piccola cosa, ovvero scegliere consapevolmente quello che portiamo in tavola, ci sentiamo abbastanza impotenti. Che differenza potrà mai fare il mio pranzo sulla salute del mare? Ma è non facendoci domande che “abbiamo svuotato il Mediterraneo. E io credo che, soprattutto in ambito ecologico, sia fondamentale mettere il luce quello che può fare anche il singolo cittadino”.
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