TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Quanto conosciamo il nostro naso?

Noi non siamo bravi ad accorgerci degli odori, non siamo bravi a parlare di odori e pensiamo che non siano importanti. E tutto questo perché non conosciamo l'olfatto quanto gli altri sensi. Ne abbiamo parlato con Valentina Parma della SISSA di Trieste.

Gli odori ci comunicano più di quello che pensiamo e sono anche in grado di influenzare le nostre decisioni. Crediti immagine: Pixabay

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – L’olfatto è un senso molto complesso: ci aiuta a proteggerci dall’avvelenamento, ci avverte in caso di presenza di gas, ma è anche legato alla socialità. Serve a creare il legame madre-figlio, serve nella scelta del partner (è una cosa chiara nel mondo animale ma è importante anche nell’uomo) e infine nella comunicazione. Secondo alcuni studi gli esseri umani, non in modo consapevole ed esplicito, riescono a sapere dall’odore se una persona ha paura, se è disgustata, se è felice; ma anche se è maschio o femmina, sano o malato e, nel caso delle donne, se è nella fase ovulatoria oppure no.

In qualche modo codifichiamo tutte queste informazioni e le utilizziamo, ma in maniera del tutto implicita. Proprio il mistero di come e cosa comunichiamo con gli odori sono alla base degli studi di Valentina Parma che sta svolgendo un post dottorato indipendente alla SISSA di Trieste.

Come mai hai deciso di dedicarti allo studio dell’olfatto?

Noi non siamo bravi ad accorgerci degli odori, non siamo bravi a parlare di odori e pensiamo che non siano importanti. Spesso l’olfatto ci sembra un senso irrilevante, non ci poniamo molta attenzione e non abbiamo delle strutture linguistiche per parlarne.
Se si vuole descrivere qualcosa a livello visivo abbiamo perlomeno il lessico dei vari colori, e siamo d’accordo che il rosso sia rosso. Ma questo non succede a livello olfattivo, almeno nella maggioranza dei casi.
Quando chiedo ai miei soggetti adulti, anziani o bambini, com’è il loro senso dell’olfatto tra scarso, buono o ottimo, il 95% delle persone mi dice buono! Si capisce proprio che è una cosa alla quale non avevano mai pensato prima. E tutto questo significa che non conosciamo l’olfatto quanto gli altri sensi.

L’olfatto ha ricadute sulle nostre azioni anche quando non ce ne rendiamo conto?

Esatto, quando andiamo a mettere le persone in situazioni nelle quali l’odore può sbilanciare una decisione, di fatto ne siamo molto influenzati, anche senza saperlo. Facciamo un esempio.
In letteratura ci sono degli esperimenti classici sul comportamento delle persone di fronte a dilemmi della serie ti uccido-ti salvo: a volte prevale una prospettiva deontologica, per cui indipendentemente dalle condizioni vale il principio (“non uccidere!”)), altre volte prevale una prospettiva più utilitaristica, che si basa sulla valutazione di costi e benefici.

Assieme a Cinzia Cecchetto, ex-dottoranda della SISSA, abbiamo così deciso di investigare se gli odori delle persone sono in grado di sbilanciare le decisioni morali degli individui ripetendo la stessa tipologia di test: in un caso i soggetti dovevano prendere la decisione annusando un odore neutro (olio di legno di cedro) in un altro caso l’odore di questo deodorante neutro era mischiato all’odore di una persona.

Abbiamo visto che gli individui quando sentono solo l’odore neutro tendono a dare risposte più utilitaristiche; ma se percepiscono la presenza di una persona, attraverso l’odore, ecco che cominciano a diventare più deontologici. Questo effetto può sorprendere: in situazioni in cui pensiamo di aver tutto sotto controllo in realtà gli odori fanno da ago della bilancia.

Una delle tue linee di ricerca riguarda l’olfatto nei bambini.

Con i bambini stiamo facendo una serie di studi per capire, in generale, come annusano e che tipo di informazioni estraggono dagli odori. Generalmente si fanno esperimenti con gli adulti e poi si ripropongono ai bambini le stesse situazioni, semplificandole, ma questo approccio ha dei limiti. Stiamo invece cercando di applicare un’ottica diversa: andiamo veramente a chiedere ai bambini cosa sanno e cosa riescono a fare.

Gli studi che stiamo portando avanti al momento coinvolgono quelli che noi, in gergo, chiamiamo gli odori comuni ovvero gli odori che provengono dagli oggetti, come la rosa, l’arancia o il pesce, e vediamo come i bambini associano l’informazione olfattiva a stimoli visivi ed emozionali. In particolare voglio cercare di capire quando i bambini riescono a mettere assieme le informazioni: sento un odore piacevole/spiacevole e lo collego a una faccia contenta/disgustata. Sembra una cosa scontata ma in realtà non lo è, stiamo scoprendo che i bambini riescono a mettere assieme le informazioni olfattive con quelle visive prima di quanto non riescano a fare con altri sensi e vorrei capire le ricadute a livello sociale.

Nella pratica come realizzate i test?

Nella pratica facciamo un test molto semplice. Innanzi tutto valutiamo se e quanto i bambini percepiscono gli odori usando un test standardizzato: annusano una penna che ha un determinato odore e, tra quattro immagini, devono indicare a quale oggetto corrisponde l’odore annusato.

Nella seconda parte del test i bambini annusano una penna che può essere senza odore, sapere di rosa o di pesce, poi sul monitor di un computer appaiono due volti, uno felice e uno disgustato; a quel punto chiediamo ai bambini di scegliere uno dei due volti e valutiamo qual è la probabilità che loro scelgano la faccia felice rispetto a quella disgustata in ciascuna delle condizioni olfattive.

Sembra banale ma i bambini piccoli non sono in grado di fare questa associazione e solo a partire dai cinque anni riescono a capire che queste due informazioni sono collegate tra loro.
Siccome le informazioni che codificano dal punto di vista visivo sono dei volti, ovvero l’indicatore sociale per eccellenza, stiamo cercando di capire se e come l’odore può facilitare la comprensione di tale informazione sociale.

Quali sono invece i tuoi studi che riguardano autismo e olfatto?

Durante il mio dottorato abbiamo scoperto che, in alcune condizioni specifiche, l’odore della mamma facilita le interazioni sociali dei bambini autistici.
Chiedevamo ai bambini di fare un compito di imitazione automatica: i bambini sedevano da un lato del tavolo e dall’altro vedevano la madre o la madre di un altro bambino. Dovevano fare un movimento di “reach to grasp”, ovvero avvicinarsi a un bicchiere per prenderlo.

L’esperimento è basato su una teoria, legata ai neuroni specchio, secondo la quale se osservo l’azione di qualcuno, il mio sistema motorio si prepara a eseguire la stessa azione.
Se mi viene richiesto di eseguire quell’azione, avendola vista, sarò più rapido e più preciso nell’eseguirla.

Questo è vero per il bambino con sviluppo tipico ma nell’autismo non succede. Abbiamo però provato a ripetere l’esperimento facendo sentire al bambino l’odore della madre o della madre di un altro e abbiamo notato che, nel caso in cui senta l’odore della propria madre, il bambino riesce ad avere lo stesso vantaggio nell’esecuzione del movimento.
Abbiamo quindi ipotizzato che l’odore della mamma permetta di elaborare delle informazioni sociali visive che altrimenti andrebbero perse.

In che modo?

Partiamo dall’idea che, nell’autismo, il processamento sensoriale è anomalo ma lo è anche concentrarsi sull’olfatto!
Ipotizziamo che questa capacità di cogliere le informazioni visive (ovvero il modello che compie l’azione) nel caso in cui si senta l’odore della madre sia legato al rilassamento. È possibile che il bambino avverte un segnale di sicurezza legato all’odore della madre, che quindi risulta particolarmente calmante.
Quello che vogliamo studiare ora è se l’odore della mamma, ovvero quello che il bambino ha esperito più a lungo, già a livello uterino, possa essere usato come calmante. Se così fosse questo ci darebbe delle possibilità in termini di trattamento.

In che modo pensate di studiare questo effetto calmante?

Stiamo iniziando uno studio, con il Karolinska Institutet di Stoccolma e con l’Università dell’Aquila, in cui valuteremo se i bambini con autismo traggono beneficio dal dormire annusando l’odore della mamma, sia in termini di qualità del sonno che di comportamenti durante la giornata. L’ipotesi è che se il bambino è più rilassato allora dorme meglio, se dorme meglio è meno stressato e il giorno seguente ha più risorse.

Oltre all’olfatto ti occupi di autismo anche in altri contesti?

Gli altri studi di cui mi sto occupando si indirizzano verso lo studio di fattori che permettono la diagnosi precoce dell’autismo.
I marcatori dell’autismo, infatti, sono comportamentali e per questo la diagnosi avviene verso i tre anni. Vogliamo però anticipare il momento della diagnosi, per esempio con dei test olfattivi post natali precoci oppure con l’analisi dei movimenti fetali, in modo tale da poter valutare già prima della nascita se il bambino potrà ricevere una diagnosi di autismo. In uno studio recente che abbiamo realizzato in collaborazione con il Prof. Castiello dell’Università di Padova, l’analisi della cinematica fetale ci permette di capire se il bambino sarà mancino o destrorso con un’accuratezza fino al 100%. Un’analisi così fine del movimento mi fa ben sperare di trovare dei marcatori che ci guidino nella valutazione dell’autismo ancor prima della nascita.

In questi giorni, a Trieste, Valentina Parma è impegnata con la settimana dell’olfatto. Per tutta la settimana lei e altri ricercatori della SISSA accoglieranno tutte le persone curiose a proposito del misterioso mondo degli odori!

CARTA D’IDENTITÀ

Nome: Valentina Parma
Nata a: Treviso
Lavoro a: SISSA
Formazione: Laurea in psicobiologia e scienze cognitive, specialistica in neuroscienze cognitive e dottorato in psicologia sperimentale
Cosa amo più del mio lavoro: Capire i meccanismi alla base del comportamento. Mi piace capire perché la gente fa quello che fa e la percezione sta alla base di tutto.
La sfida principale del mio ambito di ricerca: Ne posso dire due, uno nel campo dell’olfatto e uno nel campo dell’autismo. Di tutti i sensi sappiamo come la percezione è mappata a livello biologico ma non dell’olfatto perché è un senso molto complesso. È una delle sfide delle neuroscienze dei prossimi anni e secondo me chi ci arriverà vincerà il Nobel! L’altra cosa invece è cercare di spostare la precocità della diagnosi: capire fin dal livello uterino, attraverso meccanismi di base motori o sensoriali, come possiamo favorire una diagnosi e un trattamento precoce.

Leggi anche: Ricerche più flessibili grazie ai glider

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.