“Il senso perfetto”: cosa ci racconta l’olfatto
Intervistiamo Anna D’Errico, autrice di un libro sulle neuroscienze dell’olfatto
È una delle nostre finestre sul mondo, ma spesso ce ne dimentichiamo. L’olfatto è, tra i nostri sensi, quello che a molti sembra sacrificabile senza particolari ripercussioni sulla qualità della vita. Anzi, quando sui mezzi pubblici affollati veniamo raggiunti da sgradevoli afrori, forse ci viene anche spontaneo pensare che faremmo volentieri a meno del nostro odorato. Ma ci sbaglieremmo di grosso e un libro uscito recentemente per Codice Edizioni ha deciso di provarci perché. L’autrice è una neuroscienziata, italiana ma di base in Germania, Anna D’Errico. Da sempre interessata all’olfatto e agli aspetti scientifici di ciò che lo riguarda, gestisce il fortunato blog “Il senso perfetto”. In questo libro il discorso si fa più strutturato e sistematico e il risultato è una lettura che acuisce la sensibilità olfattiva mentre sollecita la curiosità scientifica. Per OggiScienza ho sentito l’autrice per approfondire alcuni aspetti.
Nella nostra cultura l’olfatto è un senso, come tu metti in rilievo, molto trascurato. Perché, a tuo avviso? Quanto ci perdiamo quando non teniamo conto della dimensione olfattiva?
Ci rapportiamo all’olfatto in modo molto ambivalente. Nella cultura occidentale è stato tradizionalmente bistrattato, eppure i dati del marketing, per quanto riguarda il settore fragranze, registrano fatturati in continua crescita: solo negli Stati Uniti, nelle quattro settimane di dicembre 2018 sono stati spesi circa 958 milioni di dollari (Dato NDP group). L’uso di fragranze e deodoranti per corpo e ambiente è molto diffuso e, di fatto, ci profumiamo tanto. Eppure, quando viene chiesto alle persone quale sia il senso a cui rinuncerebbero più facilmente, l’olfatto è di solito il primo a saltare. L’olfatto è un senso intimo e viscerale e, forse anche per questo, la tradizionale separazione tra “mente” e “corpo”, ha anche sempre posto vista e udito tra i sensi dell’acume e dell’intelletto, mentre ha considerato l’odorato un senso “animale” e di poco valore.
Abbiamo un po’ conservato nell’immaginario collettivo questa idea sbagliata di scissione tra corpo e mente e l’olfatto vi si presta anche perché fisiologicamente è connesso a emotività e memoria. Gli odori evocano sensazioni istintive di piacere o disgusto, inoltre, nel corso degli ultimi secoli il processo di igienizzazione di città e ambienti ha radicalmente cambiato – migliorandolo – il modo di vivere e la sua salubrità, ma ha avuto come contraccolpo una fuga da puzze e odori sgradevoli e, in qualche modo, una negazione dell’importanza dell’olfatto. Rivalutare l’odorato significa anche aprire il proprio universo sensoriale a nuove possibilità, e ci permette anche di rallentare, poiché è un senso lento, richiede attenzione e tempo.
In che senso l’olfatto è un “senso chimico”? E che cosa può raccontare l’olfatto sul nostro cervello?
L’olfatto, insieme al gusto, è un senso chimico poiché sono le molecole chimiche, emesse da corpi e sostanze, a generare la sensazione olfattiva, che poi chiamiamo odore. Una cosa importante da sottolineare è che l’odore di per sé non esiste, esistono le molecole; queste interagiscono con i nostri recettori olfattivi, l’informazione arriva al cervello, ed è lì, dopo un processo di elaborazione cognitiva di questo segnale, che si trasforma in “odore”. Lo studio di questi meccanismi rivela in modo particolarmente chiaro come, per esempio, la percezione degli stimoli sensoriali sia un fenomeno regolato e influenzato da numerosi elementi, anche soggettivi e legati al contesto. Diversi esperimenti hanno mostrato come la percezione di uno stesso odore possa cambiare completamente, anche nella stessa persona, a seconda delle aspettative e di cosa questa persona pensi di stare annusando. In un esperimento della neuropsicologa Rachel Herz, si vide, per esempio, che una stessa sostanza veniva percepita diversamente a seconda che sull’odore vi fosse riportata l’etichetta “formaggio” o “vomito”.
È vero che anche il tanto vilipeso olfatto degli esseri umani può essere comunque rivalutato?
Assolutamente sì, ci sono ormai diversi studi (tra i quali quelli del gruppo di ricerca di Noam Sobel) che mostrano come anche gli umani abbiano un buon olfatto. Ma bisognerebbe in realtà porre la domanda in un altro modo: a che tipo di odori è più sensibile il naso umano? Perché, come per tutti gli animali, si tratta di capire quale gamma di odori sia (con qualche semplificazione per capirci) al centro degli interessi biologici ed ecologici di quella specie. Insomma, non a tutti gli animali “interessano” gli stessi odori, e ciò influisce anche sulle loro sensibilità e capacità di percepire gli odori stessi. Se è vero, per esempio, che il cane ha un ottimo olfatto e delle soglie percettive molte basse – cioè, mediamente è capace di percepire un odore a bassissime concentrazioni – è anche vero che l’uomo ha aree corticali e di elaborazione delle informazioni molto più sviluppate e anche questo, secondo gli scienziati, contribuisce a dare ottime capacità nella discriminazione e nel riconoscimento degli odori. L’uomo ha soglie di percezione molto basse, per esempio, per sostanze come i mercaptani (usati, infatti, per creare il caratteristico “odore di gas”), gli odori della frutta come la banana, e, in generale, gli aromi dei cibi. Secondo diversi scienziati, tra i quali Gordon Sheperd, è anzi proprio la sensibilità agli aromi dei cibi ad aver contribuito a dare uno sprint in più al cervello umano che si evolveva.
Gli odori e la loro classificazione sono un tema affascinante e sfuggente anche per gli scienziati. Ci puoi fare qualche esempio?
Prendiamo, per esempio, la molecola chiamata carvone. Ce ne sono due forme, una speculare all’altra. Una forma, chiamata “L-carvone”, sa di menta, l’altra, chiamata “D-carvone”, ha un odore speziato, di cumino dei prati. Il fatto che due molecole quasi identiche possano avere odori tanto diversi, mostra il cuore del problema della classificazione degli odori. A oggi, non si è ancora trovato un modo valido per classificare e ordinare gli odori in modo analogo a ciò che si fa con la scala cromatica dei colori o con le frequenze per i suoni. Non c’è un criterio per mettere “in fila” gli odori, poiché molecole molto simili tra loro possono avere odori completamente differenti, e molecole a volte molto diverse tra loro hanno odori simili. Esistono per esempio delle “famiglie” aromatiche, come in profumeria, dove gli odori vengono classificati come “legni” (per esempio il sandalo) o “agrumati ed esperidati”, ma, di nuovo, nella stessa categoria si trovano spesso molecole molto diverse tra loro e perché queste abbiano odori simili gli scienziati non lo hanno ancora capito.
L’olfatto e la sua connessione con temi come la lingua, la memoria, la fantasia, l’amore è uno tra gli argomenti che affronti. A che punto sono le nostre conoscenze in materia e quanto resta da indagare?
Si dice spesso che per descrivere un odore non si riescano mai a trovare le parole, oppure che quel nome “stia proprio lì sulla punta del naso”. E, tradizionalmente, si è sempre pensato che le nostre abilità linguistiche siano disconnesse da quelle dell’olfatto. Invece, le ricerche più recenti sfatano questo mito (i lavori di Asfa Majid, per esempio). Il fatto che si sia più o meno abili a descrivere le proprie percezioni olfattive, così come l’esistenza di linguaggi precisi e accurati per descrivere gli odori è, prima di tutto, un fatto culturale: studi transculturali, condotti presso diversi popoli, hanno rivelato come l’incapacità di attribuire nomi e descrittori agli odori non sia universale e costitutiva del cervello umano. L’ambiente socioculturale, la lingua usata e l’allenamento fanno una grossa differenza.
Il senso dell’olfatto ha connessioni dirette con le aree limbiche del cervello: le informazioni odorose arrivano direttamente all’amigdala (coinvolta nelle emozioni) e all’ippocampo (coinvolto nella memoria) e ciò fa sì che la reazione emotiva all’odore sia spiccata. Questo processo, se non vi si è abituati, determina alcune difficoltà nella verbalizzazione. D’altra parte, quante volte proviamo emozioni che non sappiamo bene come tradurre in parole?
Le informazioni olfattive vanno poi alle regioni orbitofrontali del cervello, quelle in realtà “più avanzate” cognitivamente e responsabili anche delle risposte “mi piace / non mi piace”. Ecco perché gli odori hanno anche una componente edonistica così forte e, spesso, prima ancora di capire razionalmente cosa stiamo annusando ne facciamo una valutazione in base al fatto che ci piaccia o meno. Questa valutazione, inoltre, dipende anche dalle nostre esperienze, dai nostri ricordi e dalle nostre aspettative. Il risultato? Lo stesso odore può provocare reazioni diverse su diverse persone: a qualcuno può piacere e ad altri dare la nausea. Perfino l’odore di letame nei campi per qualcuno potrà essere piacevole, perché magari evocherà ricordi di infanzia in campagna. Tuttavia, su come avvenga a livello fisiologico il meccanismo che fa scattare tali reazioni con odori specifici c’è ancora molto da studiare. D’altronde la scienza dell’olfatto è ancora molto giovane e la maggior parte delle scoperte è stata fatta negli ultimi 25-30 anni.
Come vorresti che la lettura del tuo libro influisse sulla percezione del lettore?
Nel libro ho voluto dare una visione d’insieme dell’olfatto e del suo mondo, cercando di raccontare fatti scientifici e curiosità che mettano in luce quanto gli odori intervengano in molti aspetti della nostra vita quotidiana, del nostro modo di sentire e percepire ambiente e persone intorno a noi. Il desiderio è di aiutare ad avere un po’ più di consapevolezza di questo senso senza cadere in falsi miti, ma soprattutto è un invito allo “sniffo libero”: fermarsi e annusare liberamente ciò che cattura la propria attenzione, lasciar andare un po’ il freno di ciò che è considerato “consono” o meno, rallentare, emozionarsi.
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