In ritardo sulle STEM: una sfida che comincia a scuola (e si può vincere)
Secondo i dati del ministero, solo una studentessa su tre prosegue gli studi superiori puntando alle discipline STEM: Science, Tecnology, Engeneering, Mathemathic
ATTUALITÀ – È notizia delle ultime settimane l’iniziativa del MIUR di finanziare interventi mirati per incentivare le iscrizioni femminili alle lauree scientifiche. Secondo i dati del ministero, le studentesse che scelgono di proseguire gli studi superiori puntando alle discipline STEM (acronimo di Science, Tecnology, Engeneering, Mathemathic) sono appena un terzo del totale, con un picco particolarmente basso del 15% se si tratta di scienze informatiche. Sebbene arrivi in un momento in cui abbondano promesse elettorali sul futuro dell’università e del lavoro in Italia, il decreto firmato a fine dicembre dal ministro Fedeli che prevede un fondo di 3 milioni di euro per favorire l’accesso delle studentesse alle lauree scientifiche risponde a un’esigenza reale e sempre più pressante a livello globale. Basta consultare le più documentate statistiche sull’argomento per rendersi conto che la disparità tra domanda e offerta di competenze STEM continua ad allargarsi.
Il McKinsey Global Institute è una think thank che monitora lo stato di salute dell’industria a vari livelli, nella dimensione sia micro che macro-economica, e ne studia l’andamento fornendo delle previsioni utili sia al pubblico che al privato. Uno degli ultimi report dell’MGI, ad esempio, segnala che in meno di dieci anni la richiesta dei lavori STEM triplicherà rispetto ai lavori tradizionali. Secondo queste previsioni, è molto probabile inoltre che nello stesso periodo, robot e sistemi automatizzati di vario genere avranno sostituito diversi milioni di lavoratori. I dati del McKinsey Institute si vanno ad aggiungere a una produzione già piuttosto abbondante sulla diffusione e richiesta delle competenze STEM. Lo scenario che ne emerge è di un rallentamento generale nella corsa all’aggiornamento delle competenze, con una reazione di cronica lentezza nei paesi che hanno storicamente un rapporto difficile con le materie scientifiche: a fronte di proiezioni che prevedono per un futuro non troppo lontano nuovi posti di lavoro per chi studia materie tecnico-scientifiche, anche meglio retribuiti, gli studenti europei risultano ad oggi impreparati a cogliere queste opportunità.
Poca attrattiva, disparità. E l’Italia indietro (non solo sulle STEM)…
Nel caso italiano, la situazione è inoltre aggravata da un calo generale di laureati e di iscritti all’università, ben al di sotto della media UE. L’ultimo rapporto OCSE “Education at Glance 2017/Uno sguardo sull’educazione” parla chiaro: solo il 18% degli italiani è laureato e in discipline poco legate ai bisogni attuali e futuri dell’economia. La classifica stilata dall’OCSE catapulta l’Italia in penultima posizione, davanti solo al Messico, mentre la media dei 35 paesi più influenti è del 37% di laureati – anche se con un deficit generale sulle STEM, appunto. Osservatori ed esperti del settore risultano concordi nell’individuare la radice principale di questo problema all’assetto dei sistemi scolastici, ancora non adeguatamente attrezzati a stimolare l’interesse per le discipline STEM.
In base a uno studio prodotto dall’Institution of Engeneering and Technology, per esempio, una mancata consapevolezza dei vantaggi delle STEM è registrata in generale a livello globale, con attitudini diverse che variano in base al livello di crescita tecnologica dell’ambiente in cui crescono gli studenti. Sono i ragazzi dei paesi in via di sviluppo ad essere più affascinati e fiduciosi nelle STEM, e ad avere inoltre poca diffidenza verso gli scienziati, visti anzi spesso come dei veri e propri idoli, alla stregua di supereroi. Viceversa, proprio dove le tecnologie sono più pervasive, ovvero nei paesi più industrializzati, nelle nostre comunità occidentali dove l’educazione non è un lusso o un privilegio, si è radicalizzata l’idea fuorviante che chi lavora nelle scienze è un soggetto ai margini della società, quasi un freak di cui diffidare.
Questo tipo di stereotipo si manifesta già nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria, ed è il frutto di influenze negative sia scolastiche che extrascolastiche. A scuola, è innanzitutto la mancanza di una informazione corretta sulle prospettive di carriera e spegnere sul nascere eventuali entusiasmi, unita a una difficoltà dello studio teorico troppo spesso non compensata da esperienze pratiche. C’è poi da considerare il persistente gap di gender nella scelta degli studi, che secondo uno studio condotto dall’Università del Nord Texas si misura in una popolazione di studenti maschi tripla rispetto alle studentesse, generalmente convinte che le STEM non siano utili per le loro vite professionali. Tuttavia, quando la scelta viene fatta seguendo la vocazione delle STEM, sono in realtà le donne ad avere maggiore convinzione e coerenza nel percorso seguito rispetto ai colleghi uomini. Il differente atteggiamento delle donne non è però sufficiente ad evitare le disparità di collocamento in aziende ad alto contenuto tecnologico e i fenomeni di discriminazione subiti anche da minoranze etniche negli stessi contesti, come messo in luce da uno studio del Pew Research Center .
…ma vince alcune battaglie: il successo del progetto MoM
Anche se il “caso STEM” si fa sentire particolarmente nel nostro Paese, come confermato da uno studio del Centre for European Policy Studies, questo non significa che le istituzioni italiane siano del tutto all’oscuro di questa realtà. Il “mese delle STEM” o l’”Ora del codice” sono alcune delle risposte degli ultimi anni a questi richiami, per provare in particolare a risolvere quel “problema di genere” emerso con tutte le sue contraddizioni. Queste iniziative sono tuttavia ristrette in un tempo relativamente limitato, e diventa così più difficile valutarne gli effetti positivi sul lungo termine. Un impatto diverso si registra invece per progetti calibrati ad hoc sul sistema scolastico, come è successo per il progetto europeo MoM – Matters of Matter (di cui abbiamo già parlato qui), chiuso da poco registrando un bilancio di successo con risvolti positivi in parte inattesi.
Gli intenti del progetto hanno infatti superato i confini delle aule e dei laboratori, trovando delle eccezionali occasioni di crescita in contesti extra-scolastici e internazionali. Lo scorso dicembre, si è tenuta a Roma la quinta edizione della Makers Faire, dove si danno appuntamento esperti del fai da te e dell’innovazione tecnologica di ogni età e provenienza. Alla fiera di Roma era presente anche un componente di MoM, il rappresentate delle scuole portoghesi, che ha così raddoppiato l’esperienza dell’edizione precedente, un caso unico per un evento come la Makers Faire e una novità assoluta anche per un progetto educativo scolastico, sebbene per sua natura già di respiro internazionale. Insieme all’esperienza di Scientix, la Makers Faire di Roma è stata un’occasione straordinaria di incontro e scambio per i partecipanti a MoM, che hanno per esempio potuto intrecciare una collaborazione con una scuola Norvegese, fornendo materiali e dispositivi realizzati in classe utili per la progettazione di una costruzione sostenibile.
Nell’ambito di MoM, tutti i prodotti sviluppati in questi anni, non solo per la Makers Faire, sono stati ad un livello tecnologico molto avanzato, ben al di sopra della media delle comuni esperienze di laboratorio. I portoghesi presenti a Roma, ad esempio, hanno presentato un sistema automatizzato per l’irrigazione controllato da un circuito Arduino; lo stesso sistema di controllo, economico e popolare tra i makers e non solo, è stato sfruttato in diversi momenti del progetto in aula per la realizzazione di sensori low cost e nella messa a punto di altri dispositivi pensati per applicazioni all’esterno, come un’insegna termoluminescente dotata di un sensore di prossimità utile per ridurre l’inquinamento luminoso notturno; i gruppi di lavoro si sono rivelati creativi proprio in tema sostenibilità, con la progettazione inoltre di materiali termocromici e polimeri superassorbenti per lo studio di nicchie ecologiche. Il progetto MoM, insomma, ha consentito quel passo in avanti tra teoria e pratica, in questo caso sui materiali innovativi, indispensabile per comprendere vantaggi e criticità delle discipline STEM e in definitiva per aumentarne il fascino agli occhi degli studenti.
“Durante il progetto abbiamo avuto l’opportunità anche di comprendere le differenze tra i vari sistemi scolastici europei” spiega Annamaria Lisotti “Noi italiani abbiamo certamente una certa predisposizione per un approccio di tipo sperimentale, di cui siamo forse poco consapevoli, che è la base per fare buona ricerca, mentre altre scuole in Nord Europa prediligono un taglio più pratico, finalizzato alla produzione industriale”. Insieme agli alunni, sono gli insegnanti ad aver raccolto grandi benefici dall’esperienza di MoM “L’insegnate curioso ha certamente una marcia in più quando si tratta di portare innovazione nei programmi scolastici. I materiali offerti dal progetto MoM, dal kit ai report finali (consultabili sul sito del progetto) crediamo e ci auguriamo che funzioneranno bene per una formazione continua, a vantaggio anche di altri docenti che intendono aggiornarsi e perfezionarsi in queste discipline”.
La richiesta di queste competenze si fa pressante, i successi di MoM con i suoi supporti pratici arrivano giusto in tempo.
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