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Se il cancro al seno si risveglia dopo 30 anni

Al via allo IEO di Milano un progetto di ricerca, per capire cosa differenzia queste pazienti da quelle che non sviluppano metastasi tardive

“In termini di terapia, dobbiamo pensare come impedire il risveglio delle cellule dormienti oppure come distruggerle mentre dormono.” Crediti immagine: Wikimedia Commons

RICERCA – Un database dell’Università di Oxford che raccoglie i dati di oltre 300 mila donne operate di tumore mammario negli ultimi decenni, ha mostrato che il 10% di queste donne, nonostante la guarigione dal cancro in termini clinici, rimane a rischio di metastasi tardive per tutta la vita. In alcuni casi la metastasi si attiva anche a distanza di 30 anni dalla guarigione.

Capire quali pazienti sono a rischio recidiva a lungo termine è dunque una sfida importante in oncologia. Un tema che ha occupato recentemente le pagine di Nature. Un articolo a firma di un gruppo di ricercatori italiani dell’Istituto Italiano di Oncologia (IEO) di Milano, coordinato da Giuseppe Curigliano, ha commentato per la prima volta questi dati, affrontando il tema del “letargo e risveglio delle cellule tumorali”. Il gruppo ha aperto un progetto per studiare i meccanismi che fanno sì che in alcune pazienti un gruppo di cellule tumorali sopravviva ai trattamenti annidandosi in una nicchia, dove rimangono dormienti per decenni, per poi improvvisamente risvegliarsi e scatenare la metastasi.

“Abbiamo osservato che questi casi di recidiva tardiva riguardano donne trattate per cancro al seno ormono-responsivo, cioè tumori sensibili alle terapie ormonali. Si tratta ora di procedere con l’analisi delle biopsie sulla sede di metastasi per capire che cosa differenzia queste pazienti da quelle che non sviluppano metastasi tardive” spiega a Oggiscienza Giuseppe Curigliano. “La nostra conoscenza della biologia delle cellule residue dormienti dopo terapia adiuvante tuttavia è ancora assai limitata e la strategia vincente è pensare il contesto in termini multidimensionali.”

La prima dimensione comprende lo studio dei fattori genetici ed epigenetici che favoriscono il letargo cellulare. La seconda dimensione è legata alla vascolarizzazione: la mancanza di vasi nell’area tumorale causa una mancanza di ossigeno e nutrienti, che a sua volta causa l’inattività della cellula. La terza dimensione è infine quella mediata dal sistema immunitario, che avrebbe il compito di eliminare le cellule tumorali che si formano nel nostro organismo, ma che in questo caso sembra non funzionare. Centrale sarà quindi studiare il microambiente in cui si annidano queste cellule tumorali, dove non vengono riconosciute dal sistema immunitario. “Un ruolo importante lo giocano anche le cellule del sistema osseo in questo microambiente, poiché abbiamo osservato che tendenzialmente le metastasi tardive colpiscono le ossa.”

L’aspetto rilevante espresso in questo studio è dunque aver capito che le metastasi dormienti esistono e che ci sono meccanismi che le determinano su cui possiamo agire. “In termini di terapia, dobbiamo pensare come impedire il risveglio delle cellule dormienti oppure come distruggerle mentre dormono, e secondo noi sarà cruciale comprendere come avvengono gli scambi fra queste cellule tumorali dormienti, le cellule che le circondano nel loro microambiente e il sistema immunitario. Dobbiamo infine esplorare la possibilità che le cellule dormienti subiscano uno o più processi che le portano a uno stato di inattività simile a quello delle cellule staminali.”

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.