Quando il videogioco è come una droga
Nel mondo sta crescendo in maniera preoccupante il numero di gamer che assume, nei confronti dei videogiochi, un pattern comportamentale riconducibile alle dipendenze.
APPROFONDIMENTO – Una partita, poi un’altra, e un’altra ancora, “no aspetta ancora un livello”, “batto questo record e poi spengo”. E in un attimo è passato il pomeriggio, senza che si riesca a spegnere il computer o la console. Sono moltissime le persone (auto-ammissione di colpa da parte di chi scrive) che si sono trovate in questa situazione almeno una volta nella vita.
Come nel caso dell’uso di alcol, o di sostanze stupefacenti, non basta tuttavia un singolo eccesso per definire uno stato di dipendenza. Nel mondo, però, sta crescendo in maniera preoccupante il numero di gamer che assume, nei confronti dei videogiochi, un pattern comportamentale riconducibile alle dipendenze. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sta valutando l’ipotesi di inserire la dipendenza da videogiochi nella prossima edizione dell’International Classification of Diseases, la lista delle patologie ufficialmente riconosciute.
Partendo da questo spunto, abbiamo già discusso in un precedente approfondimento l’evoluzione del concetto di dipendenza, e di come per certi versi essa attualmente non sia considerata una patologia nel senso più stretto del termine. È tuttavia importante sottolineare che questo non pregiudica in alcun modo la severità di una problematica che, se da un lato fortunatamente non riguarda la stragrande maggioranza di giocatori, dall’altro può influire pesantemente sulla vita, e sulla salute psico-fisica, di alcune persone.
Risulta quindi innanzitutto utile identificare i fattori sintomatici, indicatori di una situazione che necessita di un intervento terapeutico, e per fare ciò generalmente si considerano due assi di riferimento: la prevalenza di un comportamento e il cosiddetto funzionamento: “Nelle dipendenze comportamentali gli oggetti (in questo caso il gaming) divengono un aspetto centrale della vita dell’individuo sia in termini di tempo sia di pensiero, che diviene costantemente focalizzato su questo aspetto- spiega ad Oggiscienza il Professor Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute mentale dell’ASST Fatebenefratelli – Sacco di Milano – Inoltre essere dipendenti altera il funzionamento socio-relazionale e accademico, modificando le modalità con cui i ragazzi vivono nel loro contesto. Ad esempio possono modificare il ritmo sonno-veglia, ridurre le altre attività fino all’estremo di richiudersi in casa, avere drastici peggioramenti scolastici. Infine oltre a questi assi nelle dipendenze ci sono reazioni psichiche non congrue se l’oggetto in questione, quindi in questo caso il videogioco, non è accessibile: ansia, irritabilità, insonnia”.
La dipendenza da alcol, così come quella da sostanze stupefacenti e quelle comportamentali (legate ad esempio al gioco d’azzardo o alla eccessiva attività sessuale), agiscono sugli stessi meccanismi neurali, afferenti al circuito della ricompensa e dell’apprendimento: esse vanno a rinforzare (attraverso la modulazione di specifici neurotrasmettitori) le associazioni positive tra l’oggetto della dipendenza e lo stato di benessere di chi ne usufruisce, e questi rinforzi portano la persona dipendente a reiterare i comportamenti tesi a fruire nuovamente dell’oggetto della dipendenza. Presumibilmente ciò avviene anche per la dipendenza da videogame, aspetto che quantomeno indirizza lo sviluppo di percorsi terapeutici mirati; tuttavia bisogna sempre seguire alcune raccomandazioni specifiche: “Gli interventi terapeutici devono avere un approccio simile a quello di un occhiale bifocale – prosegue infatti Mencacci – da un lato devono conoscere gli aspetti neurobiologici della dipendenza (che risultano simili tra le varie dipendenze) e della sostanza che la crea; dall’altro devono considerare gli aspetti psichici che le favoriscono (come ad esempio l’aspetto personologico e eventuali disturbi psichici non trattati)”.
Il rischio è infatti quello di sviluppare una sorta di comorbidità psichiatrica, in cui le nuove tecnologie rivestono un ruolo cruciale nella definizione di questi nuovi processi patologici: “C’è una grossa fascia di utilizzatori di videogame che, pur non essendo dipendenti, ne fa un utilizzo eccessivo e potenzialmente a rischio. Per quanto riguarda l’utilizzo di internet, ad esempio, è stato coniato un termine specifico: problematic internet use”.
Le armi più efficienti a disposizione di ricercatori e clinici sono, come spesso accade, il monitoraggio e la prevenzione: “le dipendenze non sono come un’influenza, non si verificano improvvisamente, ma seguono generalmente un percorso in cui prestare poca attenzione ai segnali d’allarme o non riconoscere i rischi è estremamente pericoloso”.
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