TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Medicina traslazionale a Trieste

Al Nano Innovation Lab si lavora con la biomedicina, per realizzare sensori e dispositivi che misurino biomarcatori di malattie come Parkinson e Alzheimer in fasi molto precoci

Sviluppiamo dei sensori basati sul DNA: creiamo un array inserendo tante sequenze di DNA diversi in grado di riconoscere particolari sequenze di materiale genetico. Crediti immagine: Nano Innovation Lab

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – La medicina traslazionale permette di trasformare risultati della ricerca di base in prodotti di mercato che abbiano il paziente come utente finale. Un esempio sono i chip diagnostici realizzati dal Nano Innovation Lab di Elettra Sincrotrone Trieste, utilizzati per la diagnosi precoce di malattie quali Alzheimer, Parkinson o alcuni tipi di cancro. Ne abbiamo parlato con Loredana Casalis, responsabile del laboratorio di nano innovazione.

Di cosa vi occupate al Nano Innovation Lab?

Ci occupiamo molto di biomedicina, ovvero della realizzazione di sensori e dispositivi che possono andare a misurare biomarcatori di malattie in fasi molto precoci. Siamo quindi interessati da un lato a capire in profondità come interagiscono le molecole e come si sviluppato determinate patologie, dall’altro lato al trasferimento tecnologico, alla costruzione di dispositivi che possono essere utili alla diagnosi.

I nostri dispositivi vengono realizzati in funzione di quella che è chiamata medicina personalizzata: le malattie, come quelle neurodegenerative o il cancro, non sono uguali per tutti. Per comprendere questa diversità bisogna ritornare alla cellula e ancora più in profondità: dobbiamo riuscire a guardare le molecole che sono oggetti grandi nanometri (miliardesimi di metro) e correlare tante informazioni tra di loro a livello di singola cellula.

Quali strumenti utilizzate per studiare l’interazione delle molecole?

Cerchiamo di avere un approccio multi-tecnica per andare a capire le interazioni tra molecole all’interno della cellula. Utilizziamo principalmente il microscopio a forza atomica, basato sul principio che due atomi, portati a distanze dell’ordine di grandezza dell’atomo o delle molecole, sentono delle interazioni tra di loro e queste interazioni sono misurabili. Con una puntina di scala nanometrica, costruita con tecniche di microfabbricazione che ormai sono standard, possiamo avvicinarci a una molecola, un oggetto biologico o una cellula, e misurare delle interazioni. Da qui otteniamo informazioni sulla chimica, sulle proprietà biomeccaniche e altre informazioni su scala molecolare.

Abbiamo anche dei microscopi ottici perché, soprattutto a livello cellulare, si cercano di unire le informazioni molecolari con informazioni di altro tipo sulla struttura della cellula, per esempio utilizzando tecniche di fluorescenza. Infine utilizziamo tantissimo, in collaborazione con i ricercatori di Elettra, altre tecniche di microscopia che sfruttano la luce di sincrotrone, ovvero raggi X ma anche infrarossi.

Che tipo di progetti seguite?

I progetti principali riguardano il campo delle malattie neurodegenerative e quello del cancro. Per esempio collaboriamo con la professoressa Ballerini della SISSA di Trieste. Abbiamo messo a punto delle strategie per creare delle foreste di nanotubi di carbonio, con proprietà controllabili, che la professoressa Ballerini utilizza per studi di crescita dei neuroni, comportamenti elettrici e scambi di informazione dei neuroni, insomma, per capire come avviene la comunicazione tra neuroni con un dettaglio molecolare.

Un’altra collaborazione è quella con il professor Legname, sempre della SISSA, nel campo di malattie legate alla proteina prionica e malattie dovute alla proteina legata al parkinson. In entrambi i casi la biologia coinvolta in queste malattie è molto complessa, quindi è utile modellizzare i sistemi: creiamo dei modelli di membrana cellulare in cui mischiamo le molecole giuste e loro formano spontaneamente delle strutture simili a quelle della membrana di una cellula; a questo punto cambiamo i parametri fisiologici per capire come le proteine interagiscono sulla membrana cellulare. Per esempio, cosa succede se si esprimono troppe proteine? Magari sulla membrana della cellula si formano dei cluster; questi cluster trasmettono dei segnali? Di che tipo? E così via.

All’inizio ha accennato ai dispositivi di medicina personalizzata, di cosa si tratta in pratica?

Prendiamo il caso delle malattie neurodegenerative: al momento nella maggior parte dei casi la diagnosi avviene quando si presentano i sintomi clinici e, in questo tipo di malattie, è già troppo tardi. L’idea è quindi trovare un modo per verificare la presenza della malattia il prima possibile, magari in base alla quantità di una determinata proteina nelle cellule o in base a come queste proteine si aggregano in 3d perché la forma delle proteine conferisce loro la funzione e una forma sbagliata può essere associata a uno stato patologico. Una volta trovate queste proteine andiamo a studiare un modo per misurarle direttamente dal sangue e anticipare le diagnosi.

Come sono questi dispositivi?

Sviluppiamo dei sensori basati sul DNA: creiamo un array inserendo tante sequenze di DNA diversi in grado di riconoscere particolari sequenze di materiale genetico. Utilizziamo il DNA come una specie di codice a barre, un’etichetta che ci dice che in una certa posizione ho legato quel determinato anticorpo e così via.

A che punto sono gli studi?

Al momento lavoriamo in vitro su campioni biologici provenienti da pazienti. Il primo test su questo tipo di dispositivi, infatti, è esporli a proteine che conosci e vedere se si comportano come ci si aspetta; poi si vanno a studiare materiali biologici da pazienti di cui si conosce la storia clinica e, solo alla fine, si può andare a osservare qualcosa di ignoto. Per ora non abbiamo fatto brevetti e abbiamo pubblicato tutto ma abbiamo delle nuove idee che si sposteranno su una lettura di tipo elettrico. Non cambierà il modo di generare la superficie attiva per andare a catturare la proteina o il biomarcatore ma cambierà il modo di leggere il segnale e per queste punteremo sul brevetto.

Quali le prospettive future?

Quello che stiamo provando è trovare dei sensori più facilmente traslabili in un prodotto di mercato. Finora abbiamo usato microscopi a forza atomica ma stiamo cercando di sganciarci da strumenti così complessi per poter utilizzare tecniche elettriche o elettrochimiche di più facile implementazione. Per noi lo sviluppo futuro è la medicina traslazionale ovvero il trasformare risultati della ricerca di base in prodotti di mercato che abbiano il paziente come utente finale: a basso costo, sensibili, di facile utilizzo.

SCHEDA DELLA RICERCATRICE
Nome: Loredana Casalis
Nata a: Piombino, Livorno
Lavoro a: Elettra Sincrotrone Trieste
Formazione: Fisica con dottorato in fisica della materia
Il mio gruppo di ricerca: è un gruppo di formazione molto varia, costituito da un ricercatore e da studenti di dottorato o di laurea magistrale. Il nostro lavoro è multidisciplinare e questo si riflette nel gruppo: ci sono biologi, biotecnologi, fisici, ingegneri biomedici e in passato ci sono stati anche ragazzi di formazione chimica.
Cosa amo di più del mio lavoro: mi interessa la ricerca di base ma mi piace anche l’aspetto traslazionale, ovvero vedere i risultati delle ricerche applicati a tecnologie che possono essere di utilità sociale. Un altro aspetto che mi piace del lavoro è la formazione: avere molti contatti con gli studenti permette di avere un ambiente che si rinnova in continuazione.
La sfida principale del mio ambito di ricerca: Riuscire a capire i meccanismi molecolari e traslarli in dispositivi che misurino dei livelli di espressione dei biomarcatori per capire come procedono determinate malattie. È una sfida che necessita collaborazione, sia all’interno del gruppo sia tra gruppi diversi!

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.