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Fact-checking the network: le più interessanti ricerche sui social media del 2018

Le ricerche selezionate dal Nieman Lab su comunicazione digitale e giornalismo tra fake news, analisi del pubblico, prospettive della realtà virtuale e fact-checking

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Interagire con il proprio pubblico migliora la percezione che quest’ultimo ha del giornalista e dei media in generale. Crediti immagine: Pixabay

APPROFONDIMENTO – Nei giorni scorsi il Nieman Lab – un progetto che studia l’evoluzione dei media nell’era di Internet-  ha presentato una selezione di studi pubblicati nei primi quattro mesi del 2018 su come i giornalisti e le redazioni usino i social media. Sia per quanto riguarda il controllo delle notizie false che per interagire con il proprio pubblico. Risorse importanti per capire che direzione sta prendendo il mondo dell’informazione e fare mea culpa su alcuni grossi errori.

Quando i cittadini e giornalisti interagiscono su Twitter: Le aspettative sulle performance dei giornalisti sui social e le percezioni della parzialità dei media

Questo studio, pubblicato da ricercatori dell’Università di Vienna e della Universidad Diego Portales, esamina come i social media influenzano le percezioni del pubblico sulla serietà dei media. I risultati hanno mostrato chiaramente che interagire con il proprio pubblico su Twitter migliora la percezione del giornalista e dei media in generale.

Le persone che si aspettavano di interagire maggiormente con i giornalisti in modo positivo, contribuendo ad esempio a contestualizzare gli eventi di cronaca, erano più propense a interagire con loro su Twitter. Nel complesso, una maggiore relazione con i giornalisti su Twitter è associata a meno pregiudizi nei confronti dei media.

Fact-checking politico su Twitter: quando le correzioni hanno un effetto?

Questo articolo edito da un team di ricercatori della Cornell University, della Northeastern University e dell’università Hamad Bin Khalifa, indaga se e come le relazioni sui social possono contribuire a contenere il flusso di informazioni errate, anche qui considerando le interazioni su Twitter.

Risultato: gli utenti di Twitter sono più propensi ad accettare correzioni da parte di amici e individui che li seguono, meno se si tratta di affermazioni relative alla politica rispetto a qualsiasi altro argomento.

Gli autori hanno esaminato in due studi il modo in cui gli utenti di Twitter si correggono a vicenda. Per il primo, il team ha analizzato i tweet inviati tra gennaio 2012 e aprile 2014 a un utente che aveva fatto una dichiarazione errata sulla politica statunitense. I ricercatori si sono concentrati su come hanno risposto le persone che hanno visualizzato questi tweet. Spesso hanno segnalato l’errore e hanno fatto riferimento a un sito di fact-checking.

Nel secondo studio hanno setacciato manualmente Twitter cercando tweet pubblicati tra il 31 ottobre 2015 e il 3 febbraio 2016 che contenessero riferimenti link al sito di fact-checking Snopes.com. Hanno esaminato le interazioni tra gli utenti di Twitter che avevano fatto affermazioni imprecise e quelli che hanno segnalato errori.

La scienza delle fake news

In questo articolo pubblicato su Science, un gruppo di accademici delle più prestigiose università americane mette nero su bianco una possibile strategia per comprendere e limitare la diffusione delle cosiddette “fake news”. L’idea di fondo è elaborare una scienza delle fake news, che spieghi come si originano e diffondono le notizie false in internet. Così potremmo capirne il tallone d’Achille da una prospettiva tecnologica e di educazione dell’utente.

Gli studiosi si concentrano su due interventi: aiutare le persone a riconoscere le notizie false e proporre cambiamenti strutturali che riducano l’esposizione del pubblico a contenuti falsi.

L’articolo è un invito all’azione e sollecita le piattaforme a lavorare con chi fa ricerca su questi temi. “C’è poca ricerca focalizzata sulle fake news e nessun sistema completo di raccolta dati per fornire una comprensione dinamica di come i sistemi pervasivi di fornitura di notizie false si stiano evolvendo”, scrivono gli autori.

“Ci sono sfide da cogliere nell’ambito della collaborazione scientifica fra industria e mondo accademico. Tuttavia esiste una responsabilità etica e sociale che trascende le forze del mercato e deve far sì che le piattaforme contribuiscano in modo univoco all’elaborazione di una scienza delle fake news”.

Esposizione selettiva alla disinformazione: prove delle notizie false nella Campagna Presidenziale negli Stati Uniti del 2016

Un aspetto poco conosciuto della diffusione delle fake news riguarda gli utenti che frequentano i siti web che le diffondono. Questo documento esamina due fonti di dati: i risultati di un sondaggio online su un campione di 2.525 americani e il traffico web di dati raccolti dai ricercatori nelle settimane precedenti e subito dopo le elezioni del 2016.

I risultati sono notevoli: circa un americano adulto su quattro ha visitato un sito di notizie false, principalmente sostenitori di Donald Trump in cerca di contenuti pro-Trump. Si stima invece che il 15% dei sostenitori di Hillary Clinton abbia letto almeno un articolo da un sito web di notizie false su Clinton.
Il punto nodale della faccenda è che quasi mai queste persone sono state raggiunte da siti o articoli di fact-checking su queste stesse fake news.

Camminare virtualmente nei panni di un altro: le video-storie a 360 gradi generano empatia negli spettatori?

Il Tow’s Center for Digital Journalism della Columbia studia come la tecnologia stia cambiando il modo in cui i giornalisti presentano le notizie. Questo white paper offre importanti spunti su come il pubblico reagisce ai video a 360°, dove si “vive” la storia assumendo con un visore la prospettiva del personaggio. L’obiettivo era capire se la realtà virtuale può spingere gli utenti a provare empatia.

La risposta è affermativa: queste storie hanno indotto il campione esaminato (giovani dal 18 ai 34 anni) a provare maggiore empatia nei confronti dei soggetti rispetto a un semplice testo scritto.

Populismo, giornalismo, e i limiti della riflessività: il caso di Donald J. Trump

Accademici e giornalisti spesso non concordano sul ruolo dei media nell’ascesa di Donald Trump alla presidenza americana. McDevitt e Ferrucci hanno condotto un’analisi testuale per confrontare i discorsi degli accademici da una parte e dei professionisti dei media dall’altra, nei giorni successivi alle elezioni del 2016.

Sono stati analizzati i commenti di 86 accademici che hanno contribuito a un volume dal titolo US Election Analysis 2016: Media, Voters and the Campaign e 212 articoli pubblicati sui principali giornali che hanno discusso il ruolo della stampa nelle elezioni.

Da una parte il discorso giornalistico ha affermato che la vittoria di Trump è stata causata dall’analfabetismo funzionale del pubblico e ha permesso la propagazione nei social media di notizie false. La stampa ha fallito nel comprendere le dimensioni della rabbia degli elettori. Allo stesso tempo gli studiosi ritengono che l’ascesa di Trump fosse in realtà prevedibile, proprio se si consideravano le abitudini consolidate della stampa e l’incomprensione dei giornalisti sia del pubblico che del populismo.

Quantificazione del pubblico nella produzione di notizie: una sintesi e un programma di ricerca

Qui si esamina se e come la crescente attenzione delle redazioni verso l’analisi della propria audience abbia influenzato la produzione di notizie. Vengono prese in considerazione cinque aree chiave, tra cui le notizie, l’etica dei media e il comportamento delle redazioni.

Stiamo entrando in una nuova era, dove è necessario saper utilizzare la tecnologia per quantificare meglio le preferenze del pubblico e i loro comportamenti, distinguendo fra audience analytics (sistemi che catturano informazioni) e audience metrics (misurazioni che si ottengono come output da questi sistemi).

Ma le redazioni, dicono gli autori, sono poco ricettive in questo senso e molte domande restano senza risposta. Ad esempio: i giornalisti che fanno molto affidamento su analisi e dati vedono il loro pubblico come più o meno intelligente, partecipativo, razionale, ragionevole?

Infine, poiché le modifiche apportate alle notizie stanno rendendo sempre meno importanti le home page di giornali e siti, come influiscono queste nuove metriche sul modo in cui i contenuti vengono presentati nelle app, nelle chat o promossi attraverso i social media?

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Leggi anche: Il debunking a toni forti non funziona. Che fare?

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.