SALUTE

L’attività fisica fa sempre bene? Se è lavoro, no

Chi ha un lavoro molto logorante per il corpo dovrebbe fare più attività fisica per contrastarne gli effetti negativi. I risultati di una revisione sul British Medical Journal

“Si lavora per almeno otto ore al giorno con periodi di riposo limitati, magari sollevando, facendo movimenti ripetitivi e maneggiando manualmente grossi carichi. La nostra ipotesi è che questo tipo di attività stia affaticando il sistema cardiovascolare invece di allenarlo”. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – Chi per lavoro è costretto ogni giorno a fare sforzi fisici importanti ha il 18% di rischio di morte precoce in più per tutte le cause rispetto a chi fa un lavoro più sedentario. È quello che emerge da una recente meta analisi pubblicata sul British Medical Journal, che sul tema dei lavori fisicamente usuranti ha esaminato 17 studi per più di 190 000 partecipanti.

Secondo i ricercatori dell’Università di Amsterdam il motivo di questa disparità probabilmente riflette i diversi tipi di esercizio che le persone sono costrette a fare sul lavoro rispetto al tipo di attività fisica svolta nel tempo libero. Di mezzo c’è prima di tutto lo stress, poi il fatto che l’attività fisica non è tutta uguale e non necessariamente sforzo fisico significa benessere per il corpo

Secondo gli autori bisogna fare di più in termini di promozione della salute, per incoraggiare le persone che hanno un lavoro logorante nell’esecutivo a non lasciarsi ingannare pensando di fare sufficiente attività fisica.

Le linee guida internazionali sulla salute pubblica incoraggiano tutte le persone a dedicare mezz’ora al giorno a un’attività fisica da moderata a intensa per mantenersi in salute. Ricerche precedenti hanno dimostrato che è poco probabile che chi lavora in edilizia o compie altri lavori fisicamente impegnativi si eserciti nel proprio tempo libero.

Secondo le classificazioni di INPS , sono inclusi in questa categoria i lavori in galleria, cava o miniera, i lavori notturni e la conduzione di veicoli pesanti. Ma parliamo anche dei lavoratori impegnati all’interno di un processo produttivo in serie, con ritmo determinato da misurazione di tempi, sequenze di postazioni, ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale.

In questi casi i movimenti compiuti sul lavoro non sono gli stessi che si compiono quando si fa attività fisica nel tempo libero. “Uscire per una mezz’ora nel proprio tempo libero aumenta la frequenza cardiaca facendoci stare meglio, ma sul lavoro si svolgono una serie di sforzi fisici molto diversi” spiegano gli autori a The Guardian.

“Si lavora per almeno otto ore al giorno con periodi di riposo limitati, magari sollevando, facendo movimenti ripetitivi e maneggiando manualmente grossi carichi. La nostra ipotesi è che questo tipo di attività stia affaticando il sistema cardiovascolare invece di allenarlo”. Livelli elevati di attività fisica occupazionale provocano un innalzamento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna e spesso vengono eseguiti per lunghi periodi di tempo (spesso più di 40 ore alla settimana) e con tempi di recupero insufficienti.

L’attività fisica nel tempo libero, invece, comprende per la maggior parte attività aerobiche e di moderata intensità, accompagnate da periodi di recupero molto più lunghi. Aspetti che a lungo andare fanno la differenza fra benessere e cronicità. Ad esempio, è stato dimostrato in un campione di addetti alle pulizie che, anche se altamente attivi sul lavoro, i livelli di attività fisica professionale non raggiungevano i livelli di intensità richiesti per ottenere miglioramenti di idoneità cardio-respiratoria.

Lavoratori, buongiorno. La direzione aziendale vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione. Le misure di sicurezza suggerite dall’azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina. Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che macchina più attenzione uguale produzione. Buon lavoro.
La classe operaia va in Paradiso – Regia di Elio Petri (1971)

Gli autori discutono anche l’altra faccia della medaglia, che potrebbe spiegare l’associazione tra lavori fisicamente usuranti e la maggiore prevalenza di morte precoce. Il nesso è che l’attività fisica occupazionale ad alta intensità prevale in genere tra gli operai dalle posizioni socio-economiche più basse. Come è noto, il basso status socio-economico è associato a una mortalità più elevata.

Gli ultimi dati PASSI dell’Istituto Superiore di Sanità, riferiti al triennio 2014-17, dipingono bene questo scenario. È considerato sedentario il 44% di chi ha molte difficoltà economiche, contro il 26% di chi non ha di questi problemi e il 48,2% di chi non ha alcun titolo di studio e il 38% di chi ha solo la licenza media rispetto al 25% dei laureati.

Inoltre, tendiamo a sopravvalutare i nostri sforzi. Un sedentario su cinque e la metà dei parzialmente attivi considerano sufficiente il proprio livello di attività fisica.

Sono sempre molte – e sottostimate rispetto alla reale portata del fenomeno – le denunce per malattia professionale in Italia. Secondo gli ultimi dati INAIL, nel 2016 si sono registrate 60260 denunce di malattia professionale e una su tre in media è stata accettata. Il 63% di esse (oltre 38 000 denunce) ha riguardato il sistema muscolo-scheletrico o il sistema connettivo, a cui si aggiunge un altro 11% per malattie del sistema nervoso (7046 denunce).

Si ritorna al punto di partenza: le condizioni socio-economiche si traducono in un gradiente nell’educazione e di possibilità professionali. Le persone che eseguono lavori fisicamente più logoranti appartengono in genere a gruppi sociali meno abbienti e più svantaggiati, ma allo stesso tempo sono meno portate a fare attività fisica e ad avere stili di vita sani. Il solito cane che si morde la coda.

Segui Cristina Da Rold su Twitter

Leggi anche: Malattie professionali: aumentano le denunce, ma calano quelle accettate

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.