TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Luce di sincrotrone e inquinanti ambientali

Questa settimana Alessandra Gianoncelli ci racconta di una particolare linea di luce a Elettra Sincrotrone Trieste: TwinMic.

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – Di imaging con luce di Sincrotrone ci siamo già occupati in altre occasioni (per esempio qui e qui) ma, questa settimana, Alessandra Gianoncelli ci racconta di una particolare linea di luce a Elettra Sincrotrone Trieste: TwinMic. Si tratta di una linea di microscopia a raggi x applicata alle scienze della vita e alle scienze ambientali.
Alessandra ha seguito un percorso particolare perché ha cominciato studiando ingegneria elettronica e, in particolare, i rivelatori di raggi x applicati ai beni culturali. Prima di arrivare a Elettra ha lavorato al Louvre, sviluppando nuovi strumenti e tecniche per studiare statue e dipinti.

Che cos’è TwinMic?

È una linea di microscopia a raggi x: utilizziamo i raggi x prodotti dall’anello e li monocromatizziamo, ovvero scegliamo un’energia adatta per l’esperimento che stiamo conducendo, e li focalizziamo sul campione. Illuminando il campione con i raggi x otteniamo delle micro radiografie ad alta risoluzione. È simile alle radiografie che si ottengono in campo ospedaliero ma con una risoluzione spaziale più alta: si vedono dei dettagli più piccoli.

Oltre alle immagini, che restituiscono la morfologia dei campioni, possiamo anche ottenere delle informazioni chimiche tramite il fenomeno della fluorescenza x: quando illuminiamo il campione con i raggi x, il campione a sua volta emette dei raggi x caratteristici e, a partire da questi, possiamo dire quali sono gli elementi chimici presenti nel campione.

Quindi, di ogni campione analizzato, otteniamo l’immagine morfologica e un’immagine chimica e queste due informazioni vanno combinate. Se per esempio abbiamo studiato una cellula possiamo capire come sono distribuiti al suo interno l’ossigeno, il carbonio, il ferro.

Nome: Alessandra Gianoncelli
Nata a: Sondrio
Formazione: ingegnere elettronico
Gruppo di ricerca: linea TwinMic, Elettra Sincrotrone Trieste
Cosa ami di più del tuo lavoro: una delle cose che mi piace molto è che non è noioso, c’è sempre qualcosa di nuovo da affrontare o da sviluppare e siamo sempre a contatto con diversi gruppi di ricerca, nuovi utenti, nuove applicazioni di cui non sempre sono esperta. Per questo bisogna dialogare con gli utenti, cercare di capire di cos’hanno bisogno e interpretare la loro ricerca. Da questo nascono molte collaborazioni e ricerche interessanti.
La sfida principale del tuo ambito di ricerca: bisogna essere sempre aggiornati, essere in grado di proporre qualcosa di nuovo che magari in altri sincrotroni non c’è e riuscire ad attirare gli utenti.

Di cosa ti occupi in particolare?

Io sono la responsabile della linea quindi il mio compito principale è quello di mettere in funzionamento la linea, sviluppare nuove tecniche di imaging o spettroscopia e applicarle a diversi campi. Queste tecniche le applichiamo soprattutto alle scienze della vita e alle scienze ambientali, proprio per il range energetico a cui lavoriamo. Per questo spesso analizziamo cellule, tessuti, sezioni di piante, radici, con l’idea di andare a vedere la presenza di inquinanti depositati o di nano-materiali ai quali sono stati esposti i campioni in precedenza. Per esempio abbiamo analizzato i tessuti di polmoni di pazienti esposti all’amianto e quindi nano-fibre di silicati.

Il microscopio, poi, è aperto agli utenti esterni quindi possiamo portare avanti anche altri genere di studi. Per esempio abbiamo lavorato ad applicazioni ai beni culturali, scienze dei materiali, per esempio uno studio sulle celle a combustibile per capirne la corrosione e vedere se materiali meno costosi possono rimpiazzare materiali costosi usati oggi per batterie più economiche e più durature.

In che modo usate la microscopia per studiare gli inquinanti ambientali?

La microscopia a raggi x permette di andare a osservare a livello microscopico, cellulare e sub cellulare, ovvero con una risoluzione micrometrica o anche sotto il micron. Dall’immagine risultante si può per esempio capire se l’esposizione a un inquinante ha alterato la morfologia del campione rispetto a un campione di controllo poi, tramite la fluorescenza x, possiamo andare a studiare dove sono concentrati gli inquinanti all’interno dell’area analizzata: sono stati assorbiti? Sono nelle pareti cellulari oppure all’interno? E così via.

È infatti noto che la pianta del te assorbe l’alluminio dal terreno, ma è importante capire se l’alluminio rimane nelle radici, nel fusto, nelle foglie e via dicendo. Crediti immagine: Pixabay

Uno degli studi più recenti riguarda le foglie di tè, di cosa si tratta?

Lo studio è stato condotto da ricercatori della facoltà di biotecnologie dell’Università di Lubiana, si tratta di biologi che lavorano su vari tipi di piante: in particolare erano interessati a capire come la pianta del tè assorbe l’alluminio del terreno. È infatti noto che questo assorbimento avvenga, ma è importante capire se l’alluminio rimanga nelle radici, nel fusto, nelle foglie e via dicendo.

Abbiamo preso delle sezioni di foglie e le abbiamo analizzate. Abbiamo osservato che l’alluminio si deposita su quella che viene chiamata epidermide della foglia, il suo strato più esterno, e questo permette di capire come avviene il processo di assorbimento.
Visto che l’alluminio crea problemi a livello di salute, conoscendo il processo di assorbimento, è possibile rallentare l’assorbimento o trovare una soluzione.

Avete studiato anche altri inquinanti ambientali?

Uno studio riguardava le radici della pianta di soia e lo abbiamo condotto con un gruppo australiano che è venuto appositamente per usare il nostro microscopio. È noto da più di cento anni che la presenza di alluminio solubile nei terreni acidi impedisce alle piante di crescere come dovrebbero e il 30% del suolo terrestre, più o meno, è acido. Per cui se in questo terreno è presente dell’alluminio solubile è un problema dal punto di vista economico e agricolo.

La tossicità dell’alluminio, in questo tipo di terreno, si vede macroscopicamente: più è alta la concentrazione di alluminio e meno la pianta cresce, con una radice spesso deforme.

Quello che abbiamo fatto è prendere le radici, sezionarle e scansionarle dal bordo fino al centro per osservare la distribuzione dell’alluminio. Abbiamo visto che il metallo si trova preferenzialmente nella parte esterna ma tende a penetrare all’interno della radice e va a depositarsi nelle pareti cellulari. Più è alta la concentrazione di alluminio nel suolo e più alto è il tempo di esposizione e più questo fenomeno di tossicità è evidente.

Sembra che l’alluminio si leghi alle pareti cellulari e impedisca l’elongazione che le cellule dovrebbero avere per far si che la radice cresca in modo uniforme e armonico: si creano così delle crepe sulla radice.

L’università di Lubiana e i ricercatori australiani sono venuti qui proprio per gli strumenti caratteristici della vostra linea, ma lavorate sempre con enti esterni o portate avanti anche degli studi vostri?

La linea al 70 % del tempo è a disposizione di utenti esterni: fanno domanda due volte all’anno e chiedono di poter condurre un certo tipo di ricerca, specificando perché hanno bisogno proprio di TwinMic e non va bene un altro microscopio. A questo punto devono passare una selezione condotta da un comitato internazionale esterno che decide quali proposte sono più valide e importanti.

Il restante 30% del tempo è usato internamente, sia per aggiornamento della strumentazione sia per fare ricerca, anche tramite collaborazioni con altri gruppi qui in Area Science Park. In realtà, il tempo a disposizione è sempre poco perché c’è sempre qualcosa da sistemare.

Tra le ricerche che portiamo avanti internamente, anche in collaborazione con il collega Pietro Parisse (LINK), ce n’è una che riguarda la quantificazione del danno indotto dalla radiazione sui campioni biologici una volta che vengono analizzati. A volte, infatti, si vede anche a occhio nudo che l’area analizzata con le nostre tecniche diventa un po’ giallina, sembra bruciacchiata, e l’idea è cercare di capire cosa provoca la radiazione sul campione e se può alterare le misure, o ancora che cosa succede nel campione una volta esposto.

Al momento su che progetti state lavorando?

Recentemente, con un gruppo francese e brasiliano, abbiamo analizzato il guscio di un seme esposto a nano-particelle di rame per vedere se il seme le assorbe.
Oppure abbiamo studiato qual è il comportamento di nanotubi di carbonio una volta che le cellule vengono esposte a questi materiali: abbiamo visto che alcuni nanotubi hanno un comportamento simile a nanomateriali come l’amianto.

Progetti futuri anche a lungo termine?
È stato approvato l’upgrade dell’acceleratore, Elettra 2, che avrà nuove proprietà: un flusso maggiore di fotoni x, una coerenza maggiore. Vogliamo sfruttare questa opportunità per migliorare anche il nostro microscopio, in particolare vorremmo sviluppare una tecnica che si chiama XANES, spettroscopia di assorbimento, grazie alla quale, oltre a vedere dove sono localizzati gli elementi chimici si possono individuare anche lo stato di ossidazione o la speciazione dell’elemento. In questo modo avremo anche informazioni su come questi elementi si legano al resto del campione e capire meglio certi processi biochimici.

Vorremmo poi sviluppare una tecnica di imaging che si chiama ptychography che permette di vedere i campioni a una risoluzione ancora più alta.

Tra quanto è previsto l’upgrade del sincrotrone?

Tutti gli acceleratori dopo un certo numero di anni vengono aggiornati, sia perché la machina invecchia e non si trova tutta la componentistica per eventuali riparazioni, ma anche per muoversi in direzioni e tecniche di ricerca nuove, aprire nuovi campi di applicazioni, nuovi partner e così via. Nel nostro caso non è ancora chiaro quando cominceranno le modifiche ma l’aggiornamento è stato approvato, comunque diciamo nei prossimi cinque o sei anni.

Leggi anche: Il progetto EXOTHERA e lo studio degli esosomi a Trieste

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.