TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Il progetto EXOTHERA e lo studio degli esosomi a Trieste

L’obiettivo è ottenere una caratterizzazione di queste vescicole nel modo più preciso possibile, provando a combinare tre anime differenti nel campo degli esosomi.

Negli ultimi anni si è scoperto che gli esosomi hanno un ruolo fondamentale nella comunicazione tra le cellule. Crediti immagine: Pixabay

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – Gli esosomi sono delle piccole vescicole prodotte e secrete dalle cellule, di dimensioni tra 30 e 150 nanometri (milionesimi di millimetro), che viaggiano nel liquido extracellulare, ovvero nei fluidi corporei, trasportando al loro interno materiale prezioso, come pezzi di RNA e proteine.
All’inizio erano state considerate come sacchetti di “spazzatura” rilasciati dalle cellule, invece, negli ultimi anni, si è scoperto che hanno un ruolo fondamentale nella comunicazione tra le cellule. Si è scoperto per esempio, che nel caso dei tumori alcune di queste vescicole possono influenzare il comportamento di cellule vicine e lontane fino a favorire la formazione delle metastasi a lunga distanza. Ne abbiamo parlato con Pietro Parisse del Nano Innovation Lab di Elettra Sincrotrone Trieste.

Perché è importante studiare gli esosomi?

L’esistenza di strutture così piccole, e con un’importante proprietà funzionale come quella di comunicazione, crea un grosso interesse per quanto riguarda il loro utilizzo in terapia, ovvero realizzare dei farmaci basati proprio sulle vescicole. Si può per esempio pensare di contrastare l’azione delle cellule tumorali che cercano di rendere “cattive” altre cellule sane attraverso il rilascio di specifici esosomi , utilizzando a nostra volta delle vescicole “costruite” per favorire il processo inverso, fornendo quindi una strategia di cura del tessuto malato.

Nome: Pietro Parisse
Nato a: L’Aquila
Formazione: fisico
Gruppo di ricerca: Nano Innovation LAB
Cosa ami di più del tuo lavoro: Nell’ ambito delle bio-nano tecnologie ci sono tantissime cose nuove da capire: è molto stimolante e devi essere sempre pronto ad aprire i tuoi orizzonti a elementi che non avevi mai considerato. L’interazione con biologi e medici mi ha aiutato molto ad ampliare i miei orizzonti!
La sfida principale del tuo ambito di ricerca: riuscire a trovare il modo per standardizzare il sistema e portare queste vescicole a livello di una vera e propria cura per i pazienti. Ci credo molto e penso che, realisticamente, questa strategia abbia ampie possibilità di successo.

 

Nonostante abbiano un ruolo così importante sembra che siano poco studiate, perché?

Negli ultimi 15 anni c’è stato un interesse crescente verso queste vescicole ma, visto che le loro dimensioni sono così piccole, è difficilissimo riuscire a evidenziare tutte le loro proprietà e caratteristiche e correlare l’origine cellulare e il materiale genetico e proteico che contengono. Basti pensare che è già difficile anche separarle nella maniera corretta, ovvero prendere le vescicole e non altre macromolecole presenti all’interno del liquido biologico da analizzare.

Parlando proprio di isolamento delle vescicole, in che modo vengono studiate?

Le vescicole si possono isolare a partire dai fluidi biologici, e in questo caso le tecniche di isolamento variano a seconda del liquido di partenza (urina, sangue, saliva etc) oppure a partire da linee cellulari.
Nei laboratori, infatti, il modo più semplice per isolarle è mettere in coltura delle linee cellulari e poi raccogliere il liquido in cui queste cellule crescono; all’interno del liquido, oltre a proteine e milioni di altre cose, sono presenti le vescicole che vogliamo studiare.

Immagini di vescicole extra cellulari depositate su una superficie di Muscovite mica acquisite mediante microscopia a forza atomica.

Una volta isolate come si procede?

Dopo l’isolamento le vescicole devono essere purificate, ovvero bisogna essere certi di aver selezionato proprio queste e non altre entità. Si tratta di uno dei nodi della ricerca perché non esistono tecniche standardizzate e ogni laboratorio usa le proprie. Uno dei goal del progetto a cui sto lavorando assieme ad altri due gruppi di ricerca, uno di Udine e uno di Salisburgo, è proprio trovare una standardizzazione metodologica, fondamentale visto che l’obiettivo è usare poi gli esosomi in ambito terapeutico.

Raccontami qualcosa in più su questo progetto.

Il progetto EXOTHERA è iniziato nel 2016 con l’invio di una proposta progettuale al primo bando di Fondi Europei di Sviluppo Regionale INTERREG V-A Italia-Austria 2014-1020, successivamente finanziata per 30 mesi a partire dal 1 febbraio 2017 con termine previsto nel luglio 2019.

L’obiettivo è ottenere una caratterizzazione struttura/funzione di queste vescicole nel modo più preciso possibile, provando a combinare tre anime differenti nel campo degli esosomi. Il nostro gruppo si occupa di studiare le proprietà biochimiche e biofisiche delle vescicole per vedere se ci sono delle proprietà meccaniche, o di carica superficiale, che ci permettano di separare le vescicole “buone” da quelle “cattive”, per poi isolarle e studiarle meglio.
C’è poi il gruppo dell’Università di Udine, guidato dalla dottoressa Daniela Cesselli, che lavora da moltissimi anni sia nell’ambito della medicina rigenerativa che, soprattutto, in ambito oncologico sul glioblastoma. Hanno molte linee cellulari derivanti da pazienti e stanno testando la possibilità di utilizzare opportune sottopopolazioni di queste vescicole, individuate anche grazie alla nostra caratterizzazione, sia come fattori prognostici, ovvero per cercare di capire quale sarà il decorso della malattia, sia terapeutico, per cercare di invertire il fato cellulare. Studi analoghi vengono portati avanti anche dal terzo partner di progetto, il Centro per il Recupero delle Lesioni al Midollo Spinale a Salisburgo, presso la Paracelsus Medical University, sulla patologia di loro interesse.

I partner beneficiari sono questi tre ma ci sono anche tre partner associati che non prendono fondi ma supervisionano il nostro lavoro: Neurochirurgia e Anatomia Patologica dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, un gruppo di Sierologia e Medicina Trasfusionale della clinica di Salisburgo e la Clinica Neurologica dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, interessati alla parte legata alle lesioni spinali. Uno sviluppo futuro, infatti, è proprio studiare le vescicole in ambito neurodegenerativo.

Che differenze ci sono tra i tre gruppi?

Sia noi che il gruppo di Udine lavoriamo su scala di laboratorio. Per poter ampliare un po’ i nostri orizzonti c’è il partner di Salisburgo che possiede strutture per la produzione di vescicole ad uso clinico (strutture cosiddette GMP, good manifactury practice), laboratori simili a quelli delle case farmaceutiche e che servono per produrre, in un ambiente molto controllato, i farmaci o, nel nostro caso, le vescicole.
La differenza fondamentale è che in una struttura GMP non si parte da una capsula di Petri con un milione di cellule ma si lavora con volumi molto maggiori, anche sei litri di materiale al giorno. È per questo fondamentale riuscire a trovare un metodo standardizzato per individuare e isolare le vescicole, e anche nel modo più rapido possibile.

In che modo studiate le vescicole qui a Elettra?

Quello che stiamo provando a fare è costruire una piattaforma tecnologica, per riuscire a investigare le vescicole con tutti i metodi attualmente a nostra disposizione che ci consentano di osservare oggetti così piccoli.
Ad Elettra integriamo tecniche di laboratorio più standard per l’analisi delle vescicole con altre più avanzate, come per esempio il Microscopio a Forza Atomica. Si tratta di una tecnica a scansione di sonda in cui, con una punta di 5-10 nanometri, andiamo a toccare gli oggetti, riuscendo a ricostruire la loro superficie con una risoluzione del nanometro. Questa tecnica, che ci permette di studiare la singola vescicola, dà quindi informazioni morfologiche ma anche meccaniche: con la punta andiamo a schiacciare le vescicole per vedere se quelle derivate da un tumore o quelle di un paziente sano hanno una diversa risposta meccanica. Riusciamo poi ad avere informazioni strutturali a partire dallo scattering di raggi X, ottenuti dal nostro Sincrotrone. Con questa tecnica è infatti possibile risalire alla forma tridimensionale dell’oggetto in soluzione e ottenere informazioni sulla membrana che lo protegge (quanto è spessa, se e quante proteine ci sono al suo interno e così via). Infine, con la linea ad infrarosso SISSI di Elettra otteniamo informazioni chimiche, andiamo quindi a studiare che legami chimici ci sono dentro le vescicole per capire meglio come classificare le varie sottopopolazioni di vescicole.

Che formazione hanno i ricercatori del tuo gruppo?

Io per esempio di formazione sono fisico delle superfici e ho cominciato studiando materiali organici. Dalla fine del 2008 sono in questo laboratorio dove ho iniziato ad affacciarmi alla biofisica e, pian piano, mi sono avvicinato sempre più alla parte biologica e biomedicale. Per questo, per me, è importante avere collaboratori biologi o medici, come nel caso dei partner di questo progetto, che comunque conoscano molto bene la parte biologica: avere un team interdisciplinare è fondamentale per avere risultati spendibili nel mondo reale!

Che risultati avete avuto in questo primo anno di progetto?

Poche settimane fa abbiamo fatto il primo meeting del progetto a Salisburgo e direi di essere soddisfatto dei risultati fin qua ottenuti. La nostra caratterizzazione delle vescicole infatti ha già dato informazioni agli altri partner su come definire le tecniche di isolamento per poter proseguire con la parte più biomedicale. Ciascun partner finora ha pubblicato separatamente i risultati delle proprie ricerche scientifiche. Da questo momento stiamo lavorando tutti assieme in modo più integrato con l’idea è arrivare, alla fine del progetto, con vescicole da usare in un vero e proprio trial clinico.

Secondo te fra quanto tempo si potranno applicare questi risultati ai pazienti?

A livello mondiale ci sono già dei gruppi che stanno iniziando dei trial clinici ma ritengo che questo sia un po’ prematuro perché, almeno dai dati in letteratura, sono ancora molte le discordanze.
Per quanto riguarda noi, se le cose vanno come prevediamo, il primo trial si potrà fare all’inizio del 2020. Quindi, considerando due o tre anni per il trial, possiamo immaginare un utilizzo delle nostre vescicole in terapia tra circa una decina di anni.

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.