Giornata Mondiale per l’Ambiente: l’attenzione è sulle microplastiche
Quando frammentata in piccole particelle, la plastica può essere ingerita dagli organismi acquatici. I ricercatori si interrogano sui possibili effetti per la salute umana
ATTUALITÀ – In rete o sui giornali, sono centinaia le fotografie che ritraggono albatros con lo stomaco pieno di rifiuti in plastica, tartarughe deformate dalla costrizione causata da lacci in plastica, foche e pesci soffocati dalla plastica. Ritraggono, in sostanza, gli effetti di questo materiale sugli ecosistemi. Effetti che, pur essendo noti ormai da anni, non hanno limitato la produzione di rifiuti in plastica che finiscono nel mare e sulle spiagge, dei quali il 70 per cento è costituito da prodotti monouso: cotton-fiock, aste per palloncini, cannucce, posate e piatti di plastica…
Ecco perché pochi giorni fa la Commissione Europea ha introdotto una serie di nuove regole riguardanti questi prodotti, che vanno dal completo divieto di commercializzazione, all’obbligo per i produttori di coprire i costi di gestione e bonifica. Per questo il tema scelto quest’anno dall’ONU per la Giornata Mondiale per l’Ambiente è “Lotta alle plastiche monouso”.
Le immagini della sofferenza degli animali, siano pesci, volatili o mammiferi, rappresentano in modo eclatante ciò che i nostri rifiuti mal gestiti fanno all’ambiente. Ma c’è anche un problema più subdolo, perché meno evidente, che riguarda l’inquinamento da plastica: si tratta delle microplastiche, un termine che indica genericamente particelle le cui dimensioni sono inferiori ai 5 millimetri e che entrano nell’ambiente sia per produzione diretta (si trovano, ad esempio, in alcuni cosmetici), sia attraverso la degradazione di pezzi più grandi per effetto della luce ultravioletta e dell’azione meccanica del moto ondoso e del vento. Abbiamo approfondito il tema con due ricercatori del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano che, per il 5 giugno, ha organizzato una conferenza per raccontare da una parte i processi che stanno dietro alla produzione di questo materiale, del suo smaltimento e riciclo, e dall’altra i problemi legati all’inquinamento.
“Gli effetti delle macroplastiche sugli organismi sono diretti”, spiega Marco Parolini, ricercatore di ecologia all’Università di Milano. “Gli animali possono restarvi aggrovigliati e finire immobilizzati o soffocati; oppure possono mangiarla per errore, con la conseguenza di non riuscire più a nutrirsi. Per quanto riguarda le microplastiche, invece, la situazione è più complessa: moltissimi studi hanno dimostrato che possono essere ingerite dagli organismi acquatici ed essere poi ritrovate nel loro tratto digerente. Ciò può avere ripercussioni sull’accrescimento dell’animale, sulla sua riproduzione e capacità di nutrirsi. Tutti questi lavori sono però stati condotti in laboratorio con particelle di forma e dimensione ben definite e a concentrazioni estremamente elevate, mentre sono di difficile valutazione gli effetti causati sugli organismi nel loro ambiente naturale”.
Come per molte altre sostanze inquinanti, anche per le microplastiche è difficile capire l’effetto in ambiente, dove sono mischiate ad altri contaminanti. “Non si può parlare di una vera e propria tossicità, perché la plastica, di per sé, è inerte” – continua il ricercatore -“il problema è che può assorbire e fare da trasportatore per altri inquinanti e, quando un animale ingerisce la plastica, le sostanze tossiche si possono ridistribuire nel suo organismo”. Tra queste sostanze vi sono ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici, che derivano dalla combustione incompleta dei combustibili fossili e hanno effetti cancerogeni, oppure ritardanti di fiamma come i polibromo difenileteri, che agiscono da interferenti endocrini, ossia alterano la normale funzionalità ormonale.
Sono molti, ormai, gli studi che documentano la presenza di microplastiche all’interno degli organismi marini, dal bivalve al pesce. I rischi connessi allo loro presenza, quindi, ci riguardano direttamente, poiché consumiamo la loro carne. Secondo un report pubblicato dalla FAO nel 2017, la quantità di microplastiche che possiamo assimilare mangiando il pesce e gli altri animali marini è tutto sommato trascurabile. Lo stesso report sottolinea però che la quantità di microplastiche non potrà che aumentare, a causa della degradazione della plastica attualmente presente in mare e di quella che vi verrà rilasciata in futuro. Inoltre, l’inquinamento da microplastiche potrebbe essere più diffuso di quanto si pensi: due indagini dell’organizzazione giornalistica no-profit OrbMedia indicano che anche nell’acqua di rubinetto e in quella in bottiglia sono contenute microplastiche. Per ora, comunque, gli effetti sull’uomo non sono ancora chiari.
“A oggi non abbiamo dimostrazioni dell’effetto delle microplastiche sulla salute umana”, spiega Caterina La Porta, professoressa associata di Patologia Generale e membro del comitato direttivo del Center for Complexity and Biosystems all’Università di Milano. “Per noi gli effetti tossici sono quelli diretti dovuti agli additivi aggiunti alle plastiche per dotarle di determinate caratteristiche, come gli ftalati utilizzati per renderle più malleabili. Si tratta di sostanze con cui possiamo entrare continuamente in contatto, perché la plastica è ovunque, dalla bottiglietta in cui beviamo al giocattolo per bambini. Per quanto riguarda le microplastiche, invece, abbiamo solo delle indicazioni indirette dagli studi dei loro effetti sugli animali, che sembrano comunque suggerire che un effetto possa esserci anche sull’uomo. Come sottolinea anche un editoriale della rivista Lancet Planet Health pubblicato a ottobre dello scorso anno, abbiamo bisogno di più informazioni, anche a livello epidemiologico”.
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