Rospi invasivi in Madagascar: le specie locali sono quasi tutte vulnerabili
Introdotti nei primi anni 2000, i rospi asiatici sono una specie invasiva da manuale. Fecondi, versatili e resistenti, rappresentano una grave minaccia per la biodiversità malgascia
ANIMALI- Una specie invasiva è un problema grave, ma lo è ancora di più se si diffonde in un luogo tra i più ricchi di biodiversità del pianeta. I protagonisti di questa storia sono il rospo asiatico Duttaphrynus melanostictus e il Madagascar, grande isola al largo della costa Sud-orientale africana e scrigno di un’immensa ricchezza biologica e numerose specie endemiche tra anfibi, rettili, uccelli, invertebrati e i famosi lemuri.
Secondo le analisi genetiche questi anfibi arrivano da Thailandia, Vietnam oppure Cambogia e gli abitanti di Tamatave, seconda città del Madagascar e suo porto più importante, li vedono in giro almeno dal 2010. Ma il rospo ha attirato l’attenzione degli scienziati appena nel 2014 e i conservazionisti hanno iniziato a realizzare il potenziale distruttivo della specie sulla fauna locale: D. melanostictus non è solo resistente, versatile e fecondo (le femmine depongono fino a 40 000 uova due/ tre volte l’anno) ma spruzza pericolose tossine difensive. Se un serpente o un lemure dovesse provare a mangiarsi questo rospo, potrebbe essere il suo ultimo pasto.
Resistere alle tossine
L’ultima novità è uno studio pubblicato su Current Biology, che conferma la vulnerabilità delle specie del Madagascar alla tossina. Il rospo, scrivono gli autori, ha il potenziale di fare stragi, perché virtualmente tutti i suoi predatori dell’isola vi sono sensibili. Secondo Wolfgang Wüster dell’Università di Bangor, autore senior dello studio, i predatori che si nutrono spesso di rospi e che non dovessero apprendere rapidamente a evitarli diventeranno sempre più rari o si estingueranno.
Le tossine, i bufadienolidi, agiscono inibendo la pompa sodio-potassio o Na+/K+-ATPasi, un enzima delle membrane cellulare animali che trasporta attivamente ioni Na+ dall’interno all’esterno della cellula e ioni potassio K+ con il percorso inverso, dall’esterno verso l’interno. Analizzando sequenze del gene che codifica per la Na+/K+-ATPasi in 77 specie, da serpenti e lucertole fino a rane, mammiferi e uccelli, gli scienziati hanno avuto la conferma che tutti sono potenzialmente vulnerabili a un “attacco” da parte delle tossine.
Solo un piccolo roditore fortunato, l’antsangy dalla coda bianca (Brachytarsomys albicauda), mostra una resistenza al bufadienolide del rospo asiatico. Secondo Frank Glaw, co-autore e specialista di anfibi presso la Bavarian State Collection of Zoology, anche i girini del rospo costituiscono una potenziale minaccia ai danni delle larve di libellula, di crostacei acquatici, pesci endemici e coleotteri acquatici.
In altre circostanze, rettili, anfibi e mammiferi sono riusciti a evolvere una resistenza alle tossine e iniziato a mangiare i rospi senza conseguenze negative per la salute. Le specie resistenti, precisano gli autori, sono differenti dal punto di vista filogenetico. Eppure gli adattamenti che hanno permesso loro di diventare resistenti sono estremamente consistenti e rappresentano un esempio affascinante di evoluzione molecolare convergente: necessità ambientali simili hanno portato organismi filogeneticamente distanti tra loro a sviluppare la stessa strategia.
La prima conferma genetica
Finora tutti i conservazionisti avevano dato per scontato il pericolo, ma dall’analisi genetica arriva la vera conferma. Se questo aiuterà la tutela della biodiversità malgascia, favorendo l’allocazione di più fondi e nuovi progetti di conservazione, non possiamo ancora saperlo. Il rospo è una minaccia, eppure “Da parte della comunità conservazionista internazionale non c’è stata una risposta unitaria e soprattutto non di carattere economico”, racconta a OggiScienza lo zoologo Franco Andreone del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, tra gli autori dello studio ed esperto degli anfibi del Madagascar.
Un dettagliatissimo rapporto del 2015 ha valutato l possibilità di eradicazione del rospo e stimato i costi per il primo anno di attività a quasi 400 000 dollari. La possibilità di un simile progetto su larga scala è rimasta tale. Nel rapporto i ricercatori evidenziavano anche i possibili canali di arrivo del rospo nei primi anni 2000 attraverso le compagnie che importano o esportano beni dal porto di Tamatave. Una delle opzioni più gettonate erano i container diretti ad Ambatovy, quella che mira a diventare la più grande miniera e sito di raffinazione di nichel del mondo ed è anche casa di una folta popolazione di rospi asiatici.
Anche a seguito del rapporto “Tutti si sono dichiarati disponibili per un supporto dal punto di vista teorico, ma da quello pratico non c’è stato un vero coinvolgimento tranne che per situazioni molto limitate”, prosegue Andreone. “A livello di autorità governative l’attivazione è stata molto eterogenea e soprattutto sulla base di fondi allocati dalla compagnia Sherritt International”, operatrice della Ambatovy Joint Venture.
“La comunità conservazionista internazionale, anche attraverso la IUCN, ha lavorato affinché fosse riconosciuto il loro ruolo nell’introduzione del rospo. Loro non si sono di fatto assunti una responsabilità, ma hanno allocato una piccola somma, circa 50 000 $, spalmati su diversi attori malgasci. Hanno pagato le persone del luogo per fare delle eradicazioni puntuali che però non hanno avuto alcun effetto”.
I conservazionisti attivi in Madagascar, anche attraverso lo IUCN Amphibian Specialist Group, avevano sconsigliato di intraprendere un’azione di questo tipo. “Ma non è servito. Di fatto si è creato uno scompenso tra le autorità centrali e quelle locali, così tutto si è bloccato. I fondi non sono stati rinnovati e una sorta di comitato che avrebbe dovuto occuparsene non è stato istituito, così il progetto di eradicazione o controllo non è mai davvero iniziato. E già due anni fa sarebbe stato utopico pensare di riuscire a eradicare il rospo. Non riusciamo a fare le eradicazioni in Italia, figuriamoci spendere milioni di dollari per un rospo in un Paese dove il primo problema è riuscire a vivere con meno di due dollari al giorno”.
E adesso?
Il rischio legato al rospo tocca la biodiversità ma anche la salute umana, perché le tossine danneggiano occhi e mucose. Per i villaggi in cui si vive di caccia e raccolta spesso gli anfibi sono parte della dieta, e il rischio di avvelenamento in questo caso è alto. Nel 2007 uno studio ha documentato i casi di due bambini del Laos che avevano mangiato la carne di D. melanostictus: uno era morto, l’altro aveva sviluppato gravi problemi cardiaci.
Sullo sfondo c’è il monito di altre situazioni simili, con protagonista una specie invasiva. Come il rospo delle canne Rhinella marina, una specie americana introdotta in Australia per controllare gli scarafaggi che infestavano le piantagioni di canna da zucchero. Risultato? Ben poca efficacia sugli scarafaggi, ma estrema nel diventare una formidabile specie invasiva. Dai circa 3 000 esemplari introdotti nel Queensland nel 1935 oggi se ne contano milioni, in tutta l’Australia Nord-orientale. In quel caso, ha vinto la specie invasiva. Ma cosa attende il Madagascar?
“La Sherritt ha da poco un nuovo responsabile scientifico, che potrebbe essere più interessato a collaborare sul fronte del rospo. Hanno anticipato l’intenzione di investire una risorsa di circa un milione di dollari, per un progetto di due anni che miri a contenere la specie e tenerla lontana perlomeno dalle aree protette vicino a Tamatave, dove la biodiversità è enorme”, conclude Andreone. “Vedremo se sarà davvero così”.
segui Eleonora Degano su Twitter
Leggi anche: Clima che cambia, un’ulteriore minaccia per i lemuri del Madagascar
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.