Connessioni neurali e intelligenza: meno è meglio
Una nuova scoperta per certi versi inaspettata: più una persona è intelligente, meno connessioni si trovano all’interno della sua corteccia cerebrale.
SCOPERTE – L’intelligenza, intesa come abilità nell’affrontare e superare situazioni problematiche attraverso l’applicazione della risposta comportamentale più efficace, è uno degli strumenti più utili per affrontare l’eterna lotta della sopravvivenza e della selezione naturale. Non a caso la specie umana, sicuramente inferiore a molte altre per quanto riguarda dimensioni, forza, “armi naturali” (come denti e artigli), si è affermata nel corso dei millenni come quella dominante.
Per diversi secoli si è quindi pensato, in accordo con la concezione antropocentrica che permeava la cultura -scientifica e non- di allora, che l’intelligenza fosse prerogativa assoluta del genere umano; negli ultimi decenni sono invece moltissimi gli studi che hanno dimostrato indiscutibilmente come essa sia condivisa con moltissime specie animali, siano esse le più vicini a noi dal punto di vista evolutivo (primati e, in generale, mammiferi), o altre filogeneticamente più lontane (come uccelli e rettili).
Si è così dato il via a un nuovo filone di ricerca volto a identificare i fattori che determinano l’intelligenza, rendendo una specie più intelligente dell’altra (e di conseguenza, a livello molto più fine, un essere umano più intelligente degli altri). L’ipotesi delle pure dimensioni è stata quasi subito scartata; non è detto, infatti, che un cervello molto grande (come ad esempio quello di balene ed elefanti) possa generare un’intelligenza particolarmente pronunciata. Parafrasando un’iconica pubblicità degli anni ’90, insomma, “non ci vuole un cervello grande, ma un grande cervello”. Cosa crea, allora, un grande cervello? Appurato dunque che ciò che conta non è il numero complessivo di neuroni, gruppi di ricerca di tutto il mondo si sono concentrati sul modo in cui le cellule del cervello sono organizzate (anatomia e architettura cerebrale), come esse lavorano (organizzazione in aree e circuiti attivati in sincronia) e comunicano tra loro (lo studio, cioè, delle sinapsi).
È proprio su quest’ultimo punto che si è concentrato un gruppo di ricerca internazionale, che ha analizzato il rapporto tra numero di dendriti – le fibre minori che, originando dal soma del neurone, permettono la captazione del segnale, in arrivo da altri neuroni o dagli organi di senso – e intelligenza. Il team, afferente all’Università di Bochum, del New Mexico, della Humboldt University di Berlino e di un istituto di ricerca di Albuquerque, è giunta a una conclusione per certi versi inaspettata: più una persona è intelligente, meno connessioni si trovano all’interno della sua corteccia cerebrale. I ricercatori hanno analizzato i dati provenienti da oltre 250 volontari, utilizzando una speciale tecnica di neuroimaging in grado di caratterizzare a un livello microscopico la quantità, l’organizzazione, l’orientamento e la densità dei dendriti. Questi dati sono poi stati correlati con quelli ottenuti dai partecipanti in un test che misurava il QI.
Infine, il team di ricerca ha confermato questi risultati estendendo l’analisi a un database indipendente, pubblico, contenente i dati di oltre 500 persone che avevano aderito al Progetto Connettoma Umano.
Nel loro studio, apparso sulle pagine di Nature Communications, i ricercatori sostengono di fornire così una spiegazione a molti dei risultati incongruenti emersi nel corso degli anni nell’ambito della ricerca sull’intelligenza; fra tutti, quelli legati alle dimensioni del cervello, che sono diverse da una persona all’altra: alcuni studi hanno infatti indicato che individui intelligenti tendono ad avere cervelli più grandi (perché possiedono una capacità computazionale, ossia una potenza di calcolo, maggiore), e nello specifico tale differenza sembra essere particolarmente significativa quando si analizzano le aree parieto-frontali della corteccia cerebrale.
D’altro canto, altre ricerche hanno indicato che i cervelli di chi ha un alto QI sono meno attivi, rispetto a quelli delle persone meno intelligenti, quando stanno eseguendo un test di intelligenza. “Crediamo che ciò accada perché le persone intelligenti possiedono connessioni neurali più efficienti, anche se meno numerose – spiega Erhan Genç, primo autore dello studio- e riescono quindi ad ottenere performance cognitive ottimali a un livello di attività neurale relativamente basso”.
Sembra infatti che un aumento eccessivo di sinapsi possa causare un elevato numero di errori nell’esecuzione di in un compito che, per i neuroni, è fondamentale: quello di differenziare il segnale dal rumore di fondo. Se ciò non accade, l’efficienza del network neurale diminuisce, con conseguente perdita di energia e velocità di calcolo. Nelle persone più intelligenti ciò non avviene: le connessioni si attivano con timing perfetto, senza sprechi di tempo e risorse, come in una catena di montaggio ben coordinata in cui pochi operai specializzati e ben organizzati svolgono il compito nel modo più efficiente.
Segui Marcello Turconi su Twitter
Leggi anche: L’intelligenza delle api
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.