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La clamidia sta cambiando

Secondo un articolo su The Lancet c'è un gap fra i modelli matematici dei ricercatori e l’effettiva prevalenza della malattia.

Inclusioni di C. trachomatis in coltura cellulare. Crediti immagine: Wikimedia Commons

APPROFONDIMENTO – Qualche settimana fa The Lancet ha pubblicato un editoriale a firma di Nicola Low, dell’Istituto di Medicina Sociale e Preventiva dell’Università di Berna, che racconta come si sta evolvendo la prevalenza della clamidia, causata dal batterio Clamydia trachomatis, che si trasmette durante i rapporti sessuali e per via materno-fetale, fra la popolazione e sulle conseguenti difficoltà di trattare i casi in maniera adeguata.

Nella donna se non curata, la clamidia può provocare importanti conseguenze, tra cui possibili danni alle tube di Falloppio, malattia infiammatoria pelvica, gravidanza extrauterina e insorgenza di infertilità. Nell’uomo invece si possono manifestare infezioni dell’epididimo (il tubicino che consente il passaggio dello sperma), danni ai testicoli e infezioni alla prostata.

L’autore annovera tre punti su cui la medicina preventiva dovrebbe focalizzarsi: primo, sono state introdotte raccomandazioni per lo screening della clamidia senza prove randomizzate e controllate dei benefici effettivi dello screening sulla diminuzione della prevalenza. Anzi, a quanto sembra dagli ultimi studi condotti su questo tema in Gran Bretagna, siamo ancora davanti a un gap fra ciò che predicono i modelli matematici utilizzati dai ricercatori e l’effettiva prevalenza della malattia.

Secondo, la maggior parte delle infezioni da clamidia sono asintomatiche, quindi non esiste alcun segnale affidabile nei dati di sorveglianza che distingua tra i cambiamenti nell’incidenza e nei test.

Infine, anche volendole fare, le indagini di prevalenza annuali con copertura e precisione adeguate sarebbero finanziariamente irrealizzabili.

Pochi casi in Italia, ma numeri in crescita

Secondo quanto emerge da un recente rapporto dell’ECDC, nel 2015 sono stati segnalati 394.163 casi di infezione da clamidia in 27 Stati membri dell’Unione Europea, per un tasso di notifica complessivo di 173 casi su 100.000 persone, per la maggior parte fra giovani donne con meno di 25 anni ed eterosessuali. La differenza geografica è comunque molto elevata: nel paese con i tassi più alti, il numero di casi era più di 5000 volte superiore a quelli del paese con i tassi più bassi.

L’Italia è uno dei paesi dove la clamidia è meno diffusa. Nel 2015 sono stati notificati 776 casi di clamidia, in leggero calo rispetto agli anni appena precedenti e molti meno rispetto a paesi come il Regno Unito che nel 2015 ha registrato 226.809 casi, la Danimarca che ha contato 31,782 casi o la Francia che ne ha contati oltre 14 mila, o l’Olanda più di 18 mila.

Si tratta però di dati poco significativi per un paese come l’Italia. Solo 21 paesi europei hanno un sistema di sorveglianza “comprensivo”, mentre sette (fra cui noi) si servono di un “sistema sentinella” che conteggia i casi su un campione di operatori sul territorio nazionale. Nel caso dell’Italia il sistema sentinella è coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità: il risultato è che dobbiamo accontentarci di una sottostima.

In ogni caso, il più recente bollettino dell’ISS sulle infezioni sessualmente trasmesse ci racconta che il numero dei casi è aumentato costantemente dal 2008, indicando la necessità di favorire la diagnosi precoce attraverso l’offerta del test per Chlamydia trachomatis in donne giovani anche se asintomatiche.

Nell’intero periodo (aprile 2009-dicembre 2015), la prevalenza complessiva è risultata pari al 3,4% (3.199 casi): in particolare, 7,9% fra gli uomini e 2,6% fra le donne. I valori più elevati di prevalenza si sono registrati nel 2014, a cui è seguita una lieve riduzione nel 2015. Il fattore età anche in Italia è cruciale. La prevalenza diminuisce al crescere dell’età, passando dall’8,6% tra i 15-24 enni, al 3,6% fra i 25-34 enni, all’1,9% tra i soggetti di età superiore ai 34 anni.

Come riconoscerla

Infine, per quanto riguarda i sintomi, dei 3.199 soggetti positivi alla clamidia fra il 2009 e il 2015 (il 3,4% degli oltre 94 mila individui testati) più di un terzo (il 33,9%) non presentava sintomi genito-urinari al momento del prelievo del campione, e la quota di asintomatici è risultata maggiore tra le donne rispetto agli uomini e tra le donne gravide rispetto alle non gravide. Inoltre, la prevalenza della clamidia è risultata più elevata tra gli individui provenienti dai centri per le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) rispetto al totale dei soggetti (12% vs 2,9%).

In alcuni casi possiamo invece accorgerci dell’infezione in corso se si presentano i seguenti sintomi: dolore mentre si urina, macchie arrossate sui genitali, dolori al basso ventre o senso di peso, prurito genitale e pubico, perdite vaginali nelle donne, rapporti sessuali dolorosi nelle donne, dolore ai testicoli negli uomini,dolore rettale nell’uomo e nella donne, ingrossamento dei linfonodi inguinali.

Tuttavia, sebbene la clamidia sia un’infezione che se correttamente diagnosticata si cura con antibiotici, ma l’arma vincente è sempre la prevenzione.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.