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Perché in tanti scappano dal Sudan

Zero libertà di stampa, arresti di attivisti e impossibilità di fare opposizione. Un paese in ginocchio, dove quattro persone su 10 sono malnutrite e la metà non ha accesso all'acqua potabile.

Un campo per i rifugiati del Darfur a 56 chilometri dal confine del Sudan. Fotografia European Commission DG ECHO, CC BY-SA 2.0

APPROFONDIMENTO – Una cartina di tornasole del benessere di un popolo è la sua libertà di stampa ed espressione. Il Sudan è il terzo paese di partenza dei migranti che sono arrivati in Italia dal 1 gennaio a oggi (1595 persone) e da questo punto di vista non se la passa per niente bene.

Nel 2018 il Sudan è stato classificato al 174mo posto nel mondo su 180 paesi per la libertà di stampa. Basta leggere la cronaca locale o seguire l’account Twitter del network dei giornalisti sudanesi, il Sudanese Journalists Network, che riporta continue censure da parte del governo di Omar al Bashir su giornali e giornalisti. A maggio scorso una direttiva spedita ai direttori dei giornali da parte dei Servizi di Sicurezza Nazionale (NISS) – riporta Nigrizia – proibiva la diffusione di notizie relative alla crisi del carburante, comprese quelle sulle proteste organizzate contro il governo nelle zone interessate dalla scarsità di combustibile.

Secondo Amnesty International, nella seconda metà del 2017 le autorità hanno confiscato le tirature di sei giornali in 26 episodi. E non si tratta solo di confische, ma di violenza come quella che ha dovuto subire Hanadi Alsiddig, caporedattrice del quotidiano Akhbar Alwatan, fermata e percossa da agenti del Niss per aver pubblicato notizie riguardanti dispute sulla terra.

Zero diritti umani

Le violazioni di diritti umani sono all’ordine del giorno. Nonostante la separazione ufficiale dal Sud Sudan nel 2011, dopo decenni di guerra civile, in Sudan non si è mai smesso di combattere. Lo Human Right Watch riporta conflitti armati a bassa intensità tra gli stati del Darfur, del Kordofan meridionale e del Nilo Blu.

Nonostante il cessate il fuoco unilaterale del governo e la riduzione dei combattimenti in tutte e tre le zone, le forze governative e le milizie alleate hanno attaccato i civili durante tutto il corso del 2017, sfollati compresi. L’agenzia per la Sicurezza Nazionale ha perseguito e spesso arrestato attivisti e studenti, difensori dei diritti umani come Mudawi Ibrahim Adam liberato dopo mesi di detenzione, membri di partiti di opposizione e giornalisti.

Negli ultimi anni, le forze governative hanno attaccato, ucciso e violentato i civili. Hanno saccheggiato e distrutto le loro proprietà, costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle loro case. Quasi un terzo della popolazione del Darfur vive ancora in campi per sfollati o come rifugiati in Ciad e altrove. In tutto il paese le autorità detengono arbitrariamente attivisti politici e li torturano, usano una forza ingiustificata contro i manifestanti anti-governativi, censurano i media e limitano le libertà religiose.

La religione prevalente del Sudan è l’Islam, al contrario del Sudan del Sud, dove oltre a una grossa fetta di popolazione che segue religioni animiste è maggiormente presente la religione cristiana.

Per le organizzazioni è difficile respirare

Sempre secondo Amnesty International, fare opposizione attraverso un partito è cosa quasi impossibile in Sudan. Ad aprile è stata interrotta una commemorazione organizzata dal partito d’opposizione Congresso sudanese, in memoria di un suo membro di partito, e un evento pubblico promosso dall’iniziativa “No all’oppressione delle donne” in programma all’università di Al-Ahfad. Non sono state date spiegazioni sulle ragioni alla base di questa decisione.

“A giugno la commissione per gli aiuti umanitari (Humanitarian Aid Commission – HAC) ha sospeso le attività di Shari Al-Hawadith, un’associazione di volontariato che fornisce servizi medico-sanitari nello stato di Kassala”, riporta Amnesty International.

I servizi di sicurezza e intelligence nazionale hanno continuato a intervenire anche per impedire l’organizzazione di eventi organizzati dalla società civile. Il 17 febbraio il NISS ha vietato un incontro del Comitato centrale degli insegnanti, presso gli uffici del Partito nazionale Umma, nella città di Omdurman. Un mese dopo, il 18 marzo, ha bloccato un raduno pubblico del Partito nazionale Umma a Wad Madani, nello stato di Al Jazeera. E ancora, ad aprile ha impedito lo svolgimento di un evento pubblico organizzato dal Comitato dei drammaturghi sudanesi.

Insomma: in Sudan è difficile respirare.

Al penultimo posto nell’Indice di Sviluppo Umano

Il paese è classificato al penultimo posto su 188 paesi nell’indice di sviluppo umano del 2015. La secessione del Sud Sudan del 2011 ha portato alla perdita di una notevole produzione di petrolio e di entrate fiscali. I diversi conflitti hanno provocato sfollamenti di massa, infrastrutture distrutte e movimenti limitati per gli operatori umanitari.

Dove non ci sono infrastrutture la popolazione è esposta a grossi rischi ambientali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che 97mila persone muoiono ogni anno a causa di fattori ambientali e che questi rappresentano il 24% degli anni di vita persi in salute. Solo il 24% della popolazione ha accesso a strutture igienico sanitarie, e solo il 55% a fonti d’acqua potabile. Si stima inoltre che il 72,1% della popolazione utilizzi combustibili solidi (biomassa per cucinare, riscaldamento e altri usi) per un totale di 14mila decessi all’anno dovuti all’inquinamento indoor.

Cresce la malnutrizione

I tassi di malnutrizione sono rimasti alti negli ultimi 25 anni, mettendo il paese in uno stato di continua emergenza. All’inizio del 2018, riporta il World Food Programme, sono cresciuti a circa 5,5 milioni i sudanesi cosiddetti food insecure, persone che non hanno modo di procurarsi i pasti di cui avrebbero bisogno. Erano 3,8 milioni solo un anno prima.

Si stima che oltre l’80% della popolazione non sia già in grado di permettersi il cibo di cui ha bisogno quotidianamente per vivere una vita sana. Il tasso di malnutrizione cronica è del 38%. Il 32% dei bambini sudanesi con meno di cinque anni è sottopeso e il 35% ha avuto un arresto della crescita. La prevalenza dell’anemia nelle donne in gravidanza è del 23% e solo il 55% dei bambini di età inferiore ai sei mesi è allattato esclusivamente al seno.

Si muore ancora moltissimo da bambini e di parto. Il tasso di mortalità sotto i cinque anni è di 70 decessi su 1000 nati vivi (dati OMS) e quello di mortalità neonatale 30 per 1000. Solo il 10% delle persone usa contraccettivi e solo sette donne su 10 fanno almeno una visita medica in gravidanza.

Bene vaccini e HIV

Se l’infrastruttura latita, sono invece relativamente buone le coperture vaccinali e la ridotta prevalenza dell’HIV, oggi diminuita, entrambe le cose grazie anche agli aiuti internazionali. Secondo i dati raccolti dall’OMS, il 90% dei sudanesi ha ricevuto la prima dose di vaccino contro il morbillo e il 72% la seconda dose. Il 95% ha ricevuto la terza dose di vaccino contro il rotavirus, il 95% la terza dose di vaccino antipolio, il 93% il trivalente contro difterite, tetano e pertosse, il 95% quello contro l’epatite B e il 97% il vaccino contro la tubercolosi.

Positiva è infine la diminuzione della prevalenza della malaria (933 mila casi nel 2003 3 526 mila nel 2012), sebbene rimanga un grosso problema di sanità pubblica. Il punto dolente è ancora la poca prevenzione. Un sondaggio ha mostrato che tre famiglie su dieci possiedono almeno una rete insetticida di lunga durata e solo il una persona su dieci, tra queste, ha dormito sotto una rete insetticida di lunga durata la notte precedente.

Solo sette bambini su 10 vanno a scuola

Ancora oggi pochi bambini e soprattutto poche bambine in Sudan vanno a scuola. Solo il 76% dei maschi e il 70% delle bambine frequenta le elementari (UNESCO 2015) e fra i 19-24 anni il tasso di alfabetizzazione è molto basso: il 65%. Un dato che ancora una volta ci deve far riflettere sull’importanza di offrire a queste persone che arrivano nel nostro paese prima di tutto alfabetizzazione e formazione. E prima ancora protezione umanitaria, quella che il Governo Italiano ha intenzione di eliminare.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.