La terapia genica diventa ancora più efficace
Un team italiano è riuscito a ricostruire l'albero genealogico delle staminali del sangue umane. La ricerca pubblicata su Nature Medicine.
SALUTE – I passi da gigante compiuti dalla terapia genica hanno permesso negli ultimi anni di salvare molte vite e di aprire scenari terapeutici nuovi per sconfiggere malattie prima incurabili. La terapia genica si basa sul trapianto di cellule staminali ematopoietiche del paziente (autotrapianto) dopo averle modificate geneticamente per correggere il difetto nel DNA che ne causava la malattia.
In questo modo le nuove cellule staminali funzionanti riproducendosi sono in grado di rigenerare in poco tempo le cellule corrette che compongono il sistema sanguigno. Si parla di poche settimane. Un fattore chiave che finora non era stato studiato, era capire come identificare le cellule staminali “migliori” da trapiantare in termini di capacità di riprodursi e di mantenersi sane per lungo tempo.
Il nuovo studio del San Raffaele
Oggi grazie a uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) guidati dal professor Alessandro Aiuti, coordinatore della ricerca clinica in SR-Tiget, conosciamo quali sono le tipologie cellulari più efficaci in ogni fase della terapia genica.
Gli studiosi sono riusciti infatti a ricostruire l’ “albero genealogico” di un grosso numero di cellule staminali trapiantate in pazienti dove la terapia genica aveva portato alla guarigione, delineando per ogni cellula la sua storia in modo da capire il perché di questo successo. Ma soprattutto, per la prima volta al mondo si è compiuto uno studio di questo tipo sull’essere umano, e non a caso i risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine.
Già due anni fa (OggiScienza ne aveva parlato qui) lo stesso gruppo aveva ottenuto importanti risultati in questa direzione, anche se mancava ancora l’ultimo tassello, svelato finalmente oggi: capire quali cellule staminali sopravvivono più a lungo.
“Si tratta di una scoperta davvero importante per il futuro della terapia genica – spiega a OggiScienza Serena Scala, autrice dello studio insieme a Luca Basso-Ricci, Francesca Dionisio e Danilo Pellin – perché ora abbiamo identificato quali sono i progenitori delle cellule che presentano la sopravvivenza più lunga, mantenendo sano il paziente. Questi progenitori potrebbero diventare degli utili target per altre malattie dove è importante che le cellule rinfuse si mantengano sane nel tempo e che continuino a produrre correttamente tutte le cellule del sangue.”
La sindrome di Wiskott-Aldrich come punto di partenza
La malattia il cui studio ha permesso di ottenere questo importante risultato è la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS), una patologia genetica rara causata da una mutazione nel gene che codifica per la proteina WASp, espressa principalmente nelle cellule del sangue. In questi giovani pazienti sono state prelevate delle cellule staminali ematopoietiche, che sono state poi corrette, inserendo al loro interno una copia funzionante dello stesso gene e infine rinfuse, dove per duplicazione e differenziazione hanno riprodotto tutte le altre cellule del tessuto sanguigno.
All’interno di questo processo, nel momento in cui il gene terapeutico viene inserito nel DNA delle cellule del paziente, esso si posiziona in un punto casuale del DNA, diverso per ogni cellula. In questo modo ogni cellula ha delle diverse coordinate, un personale “codice a barre” che la identifica e identifica le sue cellule figlie.
“Grazie a questo aspetto siamo riusciti a studiare che cosa accade a ciascuna di loro nel corso dei mesi e degli anni successivi al trapianto” spiega ancora Scala. “Abbiamo letteralmente contato le cellule identificate da ciascun codice a barre all’interno dei campioni di sangue dei pazienti che avevano ricevuto la terapia genica con successo e le abbiamo classificate per tipologia.
Grazie a particolari modelli matematici abbiamo ricostruito la loro posizione all’interno di un vero e proprio albero genealogico, scoprendo per esempio che ci sono specifiche famiglie di cellule staminali che giocano ruoli diversi nella rigenerazione del sangue. Alcune tipologie di cellule sono più importanti nelle prime fasi dopo il trapianto nella riproduzione cellulare, altre invece danno il meglio di sé, se possiamo dire così, più avanti, nella fase di mantenimento”.
Le direzioni future
È evidente che sono diversi gli ambiti medici che potrebbero beneficiare di questa scoperta, inclusa la branca dell’immunoterapia per la cura di alcuni tumori, dal momento che le cellule del sistema immunitario non devono solo essere “allenate” a riconoscere quelle tumorali per annientarle, ma devono saper sopravvivere a lungo per evitare la ricomparsa di recidive a breve e a lungo termine.
Non da ultimo, questo studio è un ottimo esempio di come sia importante continuare a investire anche nella ricerca sulle malattie rare, non solo per i loro pazienti, ma perché spesso i risultati ottenuti possono – come in questo caso – aprire nuove innovative strade anche per il trattamento di malattie più comuni.
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