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2018, l’anno in cui abbiamo mappato il genoma del grano

Dopo tredici anni di lavoro, la comunità scientifica internazionale può finalmente consultare il genoma completo del grano tenero. Perché è importante?

Dopo tredici anni di lavoro, dal 2018 la comunità scientifica internazionale può finalmente consultare il genoma completo del grano tenero, una delle piante più importanti nella storia del genere umano e che col tempo si è rivelata essere anche la più complessa geneticamente. Nella ragione dei tempi d’attesa così lunghi – la struttura eccezionalmente complessa – risiede anche il segreto della adattabilità del grano tenero ad ambienti e climi differenti e quindi della sua maggiore diffusione e del ruolo cruciale che ha assunto nell’alimentazione.

Crediti immagine: Pixabay

La difficoltà di studiare il grano

Ad agosto il grano tenero si è aggiudicato la copertina della rivista Science che ha pubblicato uno degli studi sul lavoro di decodifica condotto dall’International Wheat Genome Sequencing Consortium. Sebbene negli scorsi mesi sia tornato sotto i riflettori, vale la pena ricordarne ancora le caratteristiche evolutive.

La specie del grano tenero deriva dall’unione di ben tre specie diverse: circa 800 mila anni fa, prima ancora che il genere umano facesse la sua comparsa sulla Terra, due cereali delle specie Triticum e un’erba selvatica dalla specie del genere Aegilops  si ibridarono per formare la specie Triticum turgidum, ovvero il grano duro. Dopo essere stata addomesticata e coltivata, molto tempo dopo, a questa si unì un’altra erba selvatica della specie Aegilops tauschii, per formare infine il Triticum aestivum, il grano tenero “crackato” ad agosto.

Per avere un’idea dell’enorme complessità genetica di questo mix, basta pensare che il genoma umano contiene circa tre miliardi di coppie di basi (le “lettere” del DNA), mentre il grano tenero ne conta 16 miliardi. Ciascuna delle tre piante antenate ha lasciato in eredità al grano tenero un paio di cromosomi diversi, il cui genoma è definito quindi esaploide.

A rendere ancora più complicata la vita dei genetisti, che di solito – semplificando – decodificano il DNA spezzettandolo e leggendo i frammenti separatamente per poi riassemblarli, ci si mettono le sequenze ripetitive che nel grano coprono l’85% del DNA. Decodificare, e quindi modificare, il genoma del grano è stata per questo un’impresa considerata a lungo quasi impossibile. Un po’ come risolvere un gigantesco puzzle in cui gli stessi pezzi si ripetono per tre volte.

Perché è importante?

Con due studi pubblicati ad agosto su Science e uno su Science Advanced, è stata quindi spalancata la porta a nuove prospettive per il miglioramento delle specie di grano coltivate, sotto diversi aspetti. Questo risultato epocale arriva in un momento storico in cui peraltro si fanno sempre più minacciosi i due pericoli paventati già all’inizio della sfida lanciata dall’IWGSC, ovvero sovrappopolazione e cambiamento climatico.

Nella seconda metà del secolo scorso, infatti, la popolazione mondiale è raddoppiata da tre a sei miliardi, e si prevede di qui al 2050 una crescita fino a 9 miliardi. I possibili rischi associati a questi numeri sono ormai piuttosto familiari, non solo agli esperti. Negli ultimi anni, diversi studi e inchieste hanno aggiornato le informazioni sul livello di criticità dei nostri fabbisogni e delle nostre preoccupanti abitudini di consumo, soprattutto se comparate alle attuali pratiche agricole.

Per esempio, secondo i dati raccolti dal reporter di National Geographic Joel Bourne nel suo libro The End of Plenty(2015), ci stiamo avvicinando velocemente al punto di non ritorno di un gap tra le risorse alimentari necessarie a sfamarci tutti e quelle disponibili. Già oggi, ricorda Bourne, ci sono più di 800 milioni di persone malnutrite, e nel frattempo gli effetti dei cambiamenti climatici potrebbero compromettere fino alla metà di tutti i terreni agricoli adatti alla coltivazione a livello globale.

Uno studio del 2011 pubblicato su Science rivela che le temperature più alte stanno già indebolendo le coltivazioni del grano, con un trend di raccolto legato al riscaldamento globale che si prospetta in discesa, come spiegato in uno studio su Nature del 2016. La responsabilità maggiore in questo senso è proprio dell’agricoltura che, da sola, è fonte di un terzo di tutte le emissioni di gas serra.

In generale, non ci stiamo attrezzando adeguatamente a questa nuova emergenza agricola. Mentre durante la prima cosiddetta “Rivoluzione verde” si pensava di tenere sotto controllo le carestie con, anche, l’uso dei nuovi prodotti chimici (fertilizzanti, pesticidi, poi fortemente discussi per esempio da Rachel Carson) per proteggere i campi soprattutto nei paesi del Sud America, oggi una soluzione simile non riuscirebbe a far fronte alla carenza di cibo in Africa o in Asia. Serve invece un approccio sempre più innovativo, e meno inquinante, per aumentare i raccolti – almeno del 70% secondo la FAO.

Tuttavia, i prodotti della “Nuova rivoluzione verde”, ovvero le nuove generazioni di piante frutto delle modificazioni genetiche, finora hanno interessato solo parte dei cereali fondamentali per l’alimentazione di base, come riso e mais, lasciando fuori per troppo tempo proprio il grano, la cui coltivazione ha invece un bisogno prioritario di innovazione e ottimizzazione. Il grano tenero rappresenta l’alimento base di un terzo della popolazione mondiale, pari a una riserva di un quinto di tutte le calorie consumate. Oggi ne produciamo circa 750 milioni di tonnellate, ma con queste previsioni dovremo aggiungere un 60% in più almeno entro il 2050.

Il genoma del grano

Dopo la decodifica del genoma del riso nel 2002, della soia nel 2008, del mais nel 2009, il completamento del genoma del grano è stato per questo accolto come un punto di svolta oltre che un successo epocale. Il merito è dell’imponente collaborazione di più di 200 ricercatori provenienti dal mondo accademico e industriale di 20 paesi diversi, con un contributo italiano fornito dal CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria), ente specializzato nello studio della resistenza della piante al freddo.

Dopo più di cento articoli pubblicati a partire dal 2005, anno di inizio del progetto guidato dall’IWGSC – un passo molto importante è stato compiuto nel 2014 – i ricercatori del consorzio hanno infine presentato la mappa pressoché completa e con un qualità di dettagli mai raggiunta finora dei quasi 107.000 geni contenuti nella sequenza dei 21 cromosomi del grano tenero. Lo scorso anno un gruppo di ricerca ben più piccolo della John Hokins University aveva quasi centrato l’obiettivo, utilizzando tecniche più semplici.

Ma la finezza di dettagli raggiunta nel 2018 dall’IWGSC non solo ha consentito di identificare i geni e i più di quattro milioni di marcatori molecolari, ma ha subito aperto la strada per la descrizione del trascrittoma del grano, una mappatura delle variazioni dei livelli di “espressione dei geni” nelle fasi di crescita e maturazione, informazioni indispensabili per la creazione di nuove varietà della pianta. Mappe genetiche alla mano, sono state inoltre studiate le principali proteine coinvolte in diverse malattie immunitarie al frumento, come la celiachia e l’asma da panificazione, e negli stress ambientali.

L’auspicio è di mettere a punto un’agricoltura mirata, per la coltivazione di specie di grano più resistente, senza rischi per la salute umana, capaci di crescere anche in un ambiente più caldo e ostile. Per arrivare pronti all’appuntamento “simbolico” del 2050, da quest’anno ci sono più strumenti a disposizione.

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Leggi anche: Cerchi nel grano: da progetto artistico a fenomeno globale

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.