Incendi in Africa
Non solo Siberia e Brasile, anche l'Africa Sub Sahariana sta avendo la sua dose di incendi. Secondo le fonti ufficiali, però, non sono in aumento.
Che estate di fuoco, letteralmente. Gli incendi hanno toccato il globo dalla Siberia al Brasile. L’Africa non ne è rimasta immune: sebbene l’attenzione in questi giorni si sia concentrata soprattutto su quelli che stanno colpendo la foresta amazzonica, anche le regioni dell’Africa centrale sono interessate da numerosi incendi.
Il “continente degli incendi”
Secondo i dati della Global Forest Watch Fire, un’applicazione online e open access che monitora gli incendi in tempo reale basandosi sui dati satellitari, le allerte da incendio in Africa superano quelle brasiliane. In particolare, riguardano l’Angola e la confinante Repubblica Democratica del Congo. Per questi Paesi, tuttavia, il fenomeno non è nuovo. L’Earth Observatory della NASA definisce l’Africa il “continente degli incendi”: riporta che lo strumento MODIS, di cui sono dotati i satelliti dell’agenzia Aqua e Terra, rileva in media, in una giornata di agosto, 100.000 incendi attivi in tutto il pianeta; di questi, il 70 per cento è in Africa.
A differenza di quanto avviene nelle foreste tropicali del Sudamerica, in cui le variazioni nella stagione degli incendi sono spesso correlate a fenomeni come El Niño, in Africa i dati sono coerenti da un anno all’altro. In effetti, sempre in base ai dati del Global Forest Watch Fire, anche l’anno scorso il continente è stato interessato da 250.000 incendi. Inoltre, se gli incendi in Brasile sono correlati alla deforestazione, le foreste africane non sembrano essere interessate dal problema allo stesso livello.
Effetti positivi e negativi degli incendi africani
C’è un’altra differenza rispetto agli incendi in Sudamerica. Quelli africani sembrano infatti interessare soprattutto la savana (quindi un bioma prevalentemente erboso) e nei campi coltivati da piccoli agricoltori. Come in Brasile, anche nell’Africa sub-sahariana gli agricoltori e gli allevatori usano accendere fuochi prima della stagione delle piogge. Ma, nella savana, lo scopo non è la deforestazione: come OggiScienza ha ricordato qui, gli incendi regolari permettono di rinnovare la vegetazione. È la pratica del slash and burn: la cenere depositata fornisce uno strato ricco di nutrienti per le coltivazioni successive e per il pascolo degli animali. Gli incendi in quest’ambiente rivestono un’importanza sostanziale. Secondo un articolo pubblicato sull’International Journal of Wildland Fires, le analisi storiche mostrano come l’assenza d’incendi periodici abbia una serie di effetti a cascata, aumentando la copertura vegetale in forma di arbusti e, senza il pascolo degli animali, accumulando una biomassa vegetale di scarso valore nutritivo.
Sebbene la pratica abbia quindi dimostrato diversi effetti benefici per l’ecosistema, è bene notare che il fumo causato dagli incendi contribuisce all’inquinamento atmosferico. In un articolo pubblicato a febbraio, un gruppo di ricercatori ha usato i dati della missione Sentinel 2, parte del programma europeo Copernicus, per capire quante fossero le aree interessate dagli incendi nell’Africa sub-sahariana. La risoluzione del satellite ha consentito di registrare anche piccoli incendi che non potevano essere visti con gli strumenti precedenti, e il cui impatto in termini di emissioni andrebbe tenuto in considerazione nei modelli climatici, come spiega una degli autori dell’articolo in un comunicato dell’Agenzia Spaziale Europea.
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