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Il futuro della savana

Spesso si considera l'importanza della biodiversità delle foreste, ma anche la savana gioca un ruolo importante nell'equilibrio ecologico del pianeta. Un equilibrio spesso a rischio, anche a causa degli interventi umani.

L’equilibrio della savana è in equilibrio precario, con conseguenze sulle molte specie che abitano in questo bioma. Crediti immagine: Yoni Lerner, Flickr

SPECIALE MAGGIO – La savana ricopre circa il 20% della superficie terrestre e gioca un ruolo fondamentale per la conservazione del carbonio dell’atmosfera. I cambiamenti climatici e l’intervento umano mettono però in pericolo il delicato equilibrio che contribuisce a mantenere stabile questo bioma.

Aumento di temperatura, umidità, incendi e presenza di erbivori influenzano infatti la stabilità di un ambiente che si estende su tutto il pianeta, soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali di Africa, Australia e America meridionale.

Un equilibrio precario

L’evoluzione della savana è associata alla presenza di piante dette C4, piante che hanno sviluppato un meccanismo in grado a compiere la fotosintesi in maniera efficiente, anche quando c’è poca disponibilità di acqua. La struttura e la composizione della vegetazione della savana sono regolate da diversi fattori, per esempio dalla disponibilità di acqua e nutrienti e dalla temperatura. Questi fattori sono influenzati da eventi come incendi e presenza di erbivori, e da cambiamenti a lungo termine, primi tra tutti i cambiamenti climatici.

Anche l’intervento umano ha un impatto sulla vegetazione, con conseguenze non sempre intuitive. Mentre l’agricoltura intensiva diminuisce la copertura vegetale, il pascolo può avere la conseguenza opposta: lo sfruttamento eccessivo può impoverire il manto erboso, alterando il normale regime degli incendi, e favorendo la transizione verso un ambiente di foresta.

L’equilibrio savana-foresta deriva da un processo che in passato si è svolto molto lentamente. I cambiamenti atmosferici che oggi avvengono a velocità molto più elevate potrebbero accelerare questa transizione e mettere i biomi in competizione tra loro. Nel giro di qualche decina di anni, un tipo di ambiente potrebbe invadere l’altro in modo non controllato, con gravi conseguenze per le specie che li abitano.

Da savana a foresta

I modelli tradizionali che tentano di predire quali saranno gli effetti di tutti questi cambiamenti tengono in considerazione diversi fattori, per esempio umidità, temperatura e fertilità del suolo; più recentemente, anche la frequenza di incendi e il comportamento degli erbivori sono stati valutati. Il peso di ognuno di questi fattori è oggetto di discussione tra i ricercatori e cambia nei diversi continenti. Per esempio, una maggiore umidità – dovuta alla frequenza delle precipitazioni, alla stagionalità e agli indici di siccità – determina una maggiore densità di vegetazione in Africa e in Australia, ma non ha nessuna conseguenza in Sud America. L’aumento della temperatura potrebbe favorire la crescita di piante in Africa, ma non in Australia e in Sud America.

Alcuni modelli predicono che l’aumento di concentrazione di CO2, della temperatura e delle precipitazioni annue potrebbero portare a un grande aumento della biomassa della vegetazione. Aree estese che oggi fanno parte della savana africana potrebbero infatti essere trasformate in foresta entro il 2100. Questa transizione potrebbe avvenire non contemporaneamente, ma in tempi diversi in aree che hanno diverse caratteristiche climatiche. Le regioni nelle quali l’aumento di temperatura avviene più rapidamente – per esempio le savane della regione centrale dell’Africa meridionale – potrebbero impiegare più tempo a trasformarsi, perché la vegetazione potrebbe rimanere più a lungo competitiva.

Nella savana, incendi regolari permettono di rinnovare e mantenere in salute la vegetazione, oltre a impedire l’invasione da parte della foresta. Gli incendi sono influenzati da i cambiamenti climatici ma non sempre nel modo più intuitivo: l’aumento di temperatura aumenta la frequenza degli incendi ma anche una maggiore umidità potrebbe corrispondere a maggiori incendi. Questo perché l’aumento di precipitazioni può favorire le erbe che crescono più velocemente, e questo potrebbe a sua volta facilitare la propagazione dell’incendio. I ricercatori hanno individuato un fattore legato alla resistenza agli incendi, che potrebbe essere incorporato nei modelli di previsione del cambiamento climatico: lo spessore della corteccia degli alberi. Nelle piante della savana lo spessore è infatti maggiore rispetto a quello delle piante di foresta, che sono quindi più esposte al pericolo di incendio. Periodi di siccità legati al cambiamento climatico potrebbero innescare incendi anche nelle foreste, con conseguenze devastanti per le specie vegetali che le popolano. Al tempo stesso, le piante della savana potrebbero diventare vulnerabili, qualora la frequenza degli incendi dovesse aumentare ancora. Anche la costruzione di strade o eccessive misure preventive contro gli incendi possono favorire lo sviluppo di una foresta dove prima era presente savana.

Biodiversità a rischio

La perdita dell’equilibrio tra savana e foresta e il passaggio repentino da una all’altra può essere molto pericoloso, perché difficile da invertire. Gli animali e le piante che vivono in uno dei due habitat difficilmente possono adattarsi all’altro. Dal punto di vista ecologico, la transizione da savana a foresta è traumatica quanto la deforestazione. I due ambienti, infatti, non sono compatibili e perdere aree di savana significa perdere la sua biodiversità e le sue specie. Nonostante l’attenzione si sia spesso concentrata sulla biodiversità delle foreste, il ruolo che gioca la savana è altrettanto importante. Essa ospita non solo i “cinque grossi” mammiferi – “big five” in inglese: elefante africano, rinoceronte, bufalo, leopardo e leone – ma anche migliaia di specie di piante endemiche, come il baobab. La savana si trova, infatti, anche in diversi hotspot di biodiversità, tra i quali il Cerrado, una grande savana tropicale brasiliana, l’hotspot Maputaland-Pondoland-Albany, nell’Africa meridionale, e il Corno d’Africa.

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.