Leopardi padani
Un fossile, conservato nel Museo Paleoantropologico del Po, suggerisce che un tempo la Pianura Padana fosse abitata da animali oggi considerati esotici, come i leopardi.
SCOPERTE – Le palme in piazza Duomo a Milano vi sembreranno sicuramente meno fuori posto quando saprete che parecchie migliaia di anni fa nella pianura padana cacciava il leopardo. Lo prova uno studio pubblicato sulla rivista Quarterly International che scioglie ogni dubbio su un fossile trovato nel 2014 sulle rive del Po: la tibia (oggi custodita al Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele del Po, Cremona) apparteneva a un esemplare di Panthera pardus, molto simile ai leopardi moderni. Il reperto è davvero unico: “Si tratta della sola prova fossile della presenza di questo animale nella Pianura Padana”, spiega Davide Persico, professore dell’Università di Parma fra gli autori dello studio. Diversi reperti fossili di leopardo sono stati infatti trovati sulle Alpi e gli Appennini (e in tanti altri posti in Europa), ma mai in pianura. “In generale da queste parti i fossili di grandi carnivori sono rari”, continua Persico. “Molto probabilmente il leopardo ‘padano’ ha convissuto con altre specie che oggi consideriamo ‘esotiche’: leoni, rinoceronti, elefanti, iene… c’è stato un tempo in cui la Pianura Padana era una vera e propria savana”.
La tibia è stata di trovata in accumulo di sabbia sulle rive del Po, dove spesso affiorano fossili di antichi mammiferi. “Di solito si tratta di reperti disarticolati, è molto difficile reperire più parti di uno stesso scheletro, poiché vengono trascinati per qualche chilometro lungo il fiume”. Questo rende anche difficoltoso determinare l’età del fossile, poiché non si può far riferimento alla stratigrafia del terreno. “Non sappiamo ancora a quando il fossile risalga. Al momento non stata ancora eseguita una datazione al carbonio-14 che potrebbe essere risolutiva in questo senso. Possiamo solo dire che nessun fossile del Po supera i 180 000 anni, per cui supponiamo che anche questo non possa essere più vecchio”.
“L’animale a cui è appartenuto era un esemplare di taglia non troppo grande, un piccolo maschio o una femmina di grandi dimensioni, molto simile, se non identico, agli attuali leopardi africani. È davvero singolare, ma non è il solo reperto straordinario trovato in zona” aggiunge Persico. Il museo infatti possiede anche un cranio di Neanderthal (chiamato Paus), trovato a pochi chilometri da Cremona. Persico e colleghi stanno studiando ora un reperto di iena, trovato nelle vicinanze. “Anche in questo caso si tratta della prima testimonianza di questo animale nella Pianura Padana”. In generale nell’area si sono trovati molti resti di paleofauna che corrispondono a stadi climatici diversi. “La presenza di elefanti per esempio ci testimonia una fase calda. I cervi giganti, il rinoceronte lanoso e il mammuth indicano invece un periodo glaciale. I grandi carnivori, leopardo, leone, iena, invece non possono essere collegati in maniera diretta a un clima specifico perché sono animali estremamente adattabili, come vediamo anche oggi, possono trovarsi in climi sia freddi che caldi”.
Un museo in evoluzione (anche grazie ai cittadini)
La tibia del leopardo è stata trovata nel 2014 da Renato Bandera, un privato cittadino, che lo ha consegnato al Museo Paleoantropologico del Po. “Casi del genere sono tutt’altro che rari”, spiega Persico. “Il museo infatti, pur non promuovendo la raccolta, istruisce i cittadini su come fare in caso di ritrovamenti spontanei, che sono molto frequenti. Dopo averli studiati, i reperti consegnati vengono esposti con accanto il nome dello scopritore, e questo incentiva i cittadini a collaborare”. E la cosa funziona piuttosto bene visto che in poco più di vent’anni di vita il museo ha più che quintuplicato la sua collezione di fossili. “È il museo con la più grande raccolta di mammiferi del quaternario della Pianura Padana”, aggiunge Persico.
Un bel modo incentivare il pubblico a non appropriarsi di reperti potenzialmente molto importanti: non solo il museo offre la possibilità di vedere il proprio nome associato al fossile, ma anche quella di sapere qualcosa sull’animale su cui apparteneva.
Passi futuri nel passato
Fra i prossimi lavori di Persico e colleghi presto potrebbe arrivare la conferma che anche la iena era di casa nella Pianura Padana. “Stiamo conducendo un’analisi morfologica molto simile a quella fatta sul leopardo”, racconta lo scienziato. “Poi però procederemo con lavori di tipo più multidisciplinare, cioè l’estrazione del paleo-DNA, che abbiamo già fatto sia per il Neanderthal sia per il cranio di un lupo, in collaborazione con altre università come quelle di Bologna e Firenze, l’analisi degli isotopi instabili dell’ossigeno per determinare la dieta oppure l’ambiente in cui vivevano questi esemplari e poi la datazione radiometrica per definirne l’età”. La datazione ha anche uno scopo piuttosto ambizioso e che potrebbe rivelarsi estremamente utile: “ Vorremmo stabilire una relazione fra il grado di fossilizzazione che osserviamo nel reperto e l’età dello stesso. Un lavoro di questo tipo sui fossili del Po non è mai stato fatto. Servirebbe per datare anche altri fossili, senza eseguire per tutti la datazione radiometrica, basandosi sulla semplice osservazione dello stadio di fossilizzazione”.
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