ricercaSALUTE

L’ormone femminile che aiuta il cervello danneggiato

Un ormone sessuale femminile, l’estradiolo, svolge un ruolo cruciale nei meccanismi di riparazione che avvengono nel cervello a seguito di eventi traumatici, come gli ictus

Il maschio è semplice, la femmina è complicata. Un fastidioso luogo comune che, al di là degli importanti risvolti sociali, ha influenzato da sempre la ricerca scientifica sui modelli animali: per decenni, gli esemplari femmine sono stati infatti esclusi da moltissimi studi per paura che gli ormoni (la cui concentrazione fluttua ciclicamente) potessero condizionare i dati raccolti, fossero essi di natura biochimica o legati agli aspetti più comportamentali. Una distinzione di genere che ha di fatto limitato la conoscenza che abbiamo del funzionamento del nostro corpo, sia in situazioni normali sia patologiche. Si tratta di un vero e proprio bias che, secondo quanto riportato in un recente articolo pubblicato su Science, potrebbe aver invalidato diversi trial clinici, portato a diagnosi errate e, conseguentemente, all’utilizzo di terapie inadeguate. La comprensione dell’influenza esercitata dagli ormoni risulta particolarmente importante per un campo d’indagine complesso e ancora relativamente compreso come le neuroscienze, come dimostra uno studio canadese, comparso sull’ultimo numero della rivista Science Advances .

Il ruolo dell’estradiolo nella riparazione cellulare

Un gruppo di ricerca del Donnelly Centre per la Ricerca Cellulare e Biomolecolare dell’Università di Toronto ha infatti scoperto che un ormone sessuale femminile, l’estradiolo, svolge un ruolo cruciale nei meccanismi di riparazione che avvengono nel cervello a seguito di eventi traumatici, come gli ictus.
Per giungere a questa conclusione il team, guidato dalla Professoressa Cindi Morshead, ha investigato l’azione della metformina, un farmaco largamente utilizzato nel trattamento del diabete di tipo II, ma che ha un inaspettato – e decisamente ben accetto – effetto collaterale: quello di indurre l’attivazione delle cellule staminali neurali, in grado di auto-rigenerarsi e dare così origine alle diverse tipologie di cellule nervose (quindi neuroni, ma anche cellule della glia) che andranno a rimpiazzare quelle morte a seguito dell’ictus. In questo modo la metformina – almeno questi i dati osservati sui topi neonati- promuove attivamente la riparazione del tessuto cerebrale colpito e contribuisce al ripristino della corretta funzionalità motoria, ma anche di quella cognitiva (testata, nei topi, attraverso le performance ottenute in un compito chiamato puzzle box, una sorta di escape roomper roditori).

Una questione di genere

Ma – questo l’aspetto più interessante della ricerca – gli effetti che ha la metformina sulle cellule staminali neurali si osservano solo in una sottopopolazione specifica, quella delle femmine adulte: “a una prima analisi, i dati non ci mostravano alcun effetto benefico legato alla somministrazione quotidiana di metformina – riporta la Prof.ssa Morshead- poi però, analizzandoli nel dettaglio, ci siamo accorti che, a parità di trattamento, le femmine avevano performance migliori dei maschi”.
Il team di ricerca ha allora studiato la reazione delle cellule staminali a seguito della somministrazione di metformina, scoprendo che quest’ultima aveva effetto su di loro solo nelle femmine, grazie all’azione di un ormone prodotto dalle ovaie, l’estradiolo. Inoltre, quello che potrebbe essere definito l’analogo maschile, il testosterone, sembra inibire il processo di attivazione cellulare promosso dal farmaco. Il risultato è stato confermato da un ulteriore esperimento, in cui le ovaie sono state rimosse dalle femmine: anche in questo caso – in assenza cioè di estradiolo – il farmaco non mostrava alcun effetto a livello di neurogenesi e recovery cerebrale.

“Il pensiero dominante fino a pochi anni fa era che bisognasse studiare il cervello dei maschi perché tutto quello che c’era da sapere era lì – continua la Morshead – e che nel cervello femminile tutto si complicasse inutilmente a causa degli ormoni”.  La ricerca del suo team ha invece dimostrato che questa complicazione in realtà potrebbe fornire gli spunti per approcci terapeutici innovativi, basati su meccanismi molecolari finora sconosciuti. Meccanismi e rapporti da studiare e validare anche nell’essere umano (come peraltro si sta già facendo in un centro di Toronto che collabora con il Donnelly, in cui si studiano possibili trattamenti innovativi per gli ictus infantili), senza però essere gravati dal peso di un bias  legato alle differenze di genere che è – o dovrebbe essere – ormai superato.


Leggi anche:  Le neuroscienze cognitive incontrano le intelligenze artificiali

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

Condividi su
Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.