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Nobel per la Medicina 2019: tre Premi all’ossigeno

Il Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina è stato assegnato quest'anno a tre scienziati per "le loro scoperte su come le cellule percepiscono e si adattano alla disponibilità di ossigeno".

Gli statunitensi William Kaelin Jr e Gregg Semenza e il britannico Sir Peter Radcliffe hanno dedicato i loro studi alla comprensione dei meccanismi molecolari che, all’interno delle cellule, permettono la risposta alle variazioni dei livelli di ossigeno.

Ossigeno ed eritropoietina

Il ruolo fondamentale dell’ossigeno negli organismi è ben noto, ed è già stato al centro di due precedenti Premi Nobel per la Medicina: nel 1931, quando il medico tedesco Otto Warburg scoprì la natura e il funzionamento degli enzimi che consentono la respirazione aerobica nei mitocondri, e poi nel 1938 (anche se il Premio fu di fatto assegnato solo nel 1929), quando il belga Corneille Heymans scoprì il ruolo dei corpi carotidei nel rilevamento dei livelli di ossigeno e nella regolazione della respirazione.

Il lavoro di Kaelin, Semenza e Radcliffe si è concentrato invece sui meccanismi molecolari che agiscono a livello delle cellule nella risposta alle variazioni dei livelli di ossigeno. È noto da tempo, infatti, che il nostro organismo risponde alla diminuzione delle concentrazioni di questo elemento (la condizione definita ipossia) aumentando la produzione di eritrociti, le cellule responsabili del trasporto di ossigeno. Questo processo si svolge grazie all’azione dell’ormone eritropoietina, che agisce a livello del midollo osseo ed è prodotta prevalentemente a livello renale. Ma qual è il sistema molecolare che permette alle cellule di rilasciare eritropoietina in risposta alla mancanza di ossigeno?

Regolazione a livello del DNA

È questa la domanda cui rispondono i lavori dei tre nuovi Premi Nobel, condotti in modo indipendente l’uno dall’altro. Usando dei topi geneticamente modificati, Semenza ha identificato dei tratti di DNA che, situati in prossimità del gene che codifica per l’eritropoietina, agiscono da regolatori del gene stesso. In condizioni di ipossia, specifici fattori nucleari legano queste regioni, le quali attivano la trascrizione del gene per l’eritropoietina, attivando così tutto il meccanismo che porta alla maggior produzione di globuli rossi. Anche Radcliffe ha concentrato i suoi studi sui meccanismi molecolari che agiscono a livello genetico, contribuendo ad accrescerne la comprensione; entrambi i gruppi di ricerca si sono accorti, inoltre, che questo meccanismo di rilevamento dei livelli di ossigeno è virtualmente presente in tutte le cellule, e non solo nel rene, come si pensava in precedenza.

Le ricerche di Semenza hanno inoltre portato all’identificazione e alla purificazione del complesso proteico che agisce sul DNA enhancer per il gene dell’eritropoietina. Descritto in un articolo pubblicato su PNAS nel 1995, l’hypoxia-inducible factor (HIF) è formato da due diverse proteine in grado di legare il DNA. Una di esse, chiamata HIF-1α, è sensibile alla presenza di ossigeno. In pratica, finché i livelli di ossigeno si mantengono normali, la proteina viene rapidamente degradata; ma man mano che si va verso una condizione d’ipossia, i livelli intracellulari della proteina aumentano, e HIF-1α può agire sugli enhancer del gene per l’eritropoietina.

La regolazione di HIF-1α

E si arriva così al ruolo degli studi di Kaelin. È quest’ultimo, infatti, che ha messo in luce il sistema con cui HIF-1α viene degradata alle normali concentrazioni di ossigeno. Le ricerche del medico statunitense erano focalizzate su una rara malattia ereditaria, la sindrome di von Hippel-Lindau, a causa della quale aumenta il rischio per lo sviluppo di diverse forme tumorali, e correlata a mutazioni nel gene VHL. Kaelin si è accorto che le mutazioni in questo gene erano correlate non solo a una maggiori insorgenza di tumori, ma anche a un’espressione anormale dei geni coinvolti nella risposta all’ipossia, i cui livelli potevano tornare normali se nelle cellule veniva introdotta una copia funzionante del gene. A partire da questi studi, Radcliffe è stato quindi in grado di dimostrare che proprio VHL interagisce fisicamente con la proteina HIF-1α, consentendone la degradazione in presenza di normali livelli di ossigeno.

Nel 2001, Kaelin e Radcliffe pubblicarono in modo simultaneo ma indipendente due articoli (qui e qui) in cui venivano descritti nel dettaglio i meccanismi che si svolgono in questo processo: a normali livelli di ossigenazione, ad HIF-1α sono aggiunti dei gruppi ossidrilici, che ne consentono il riconoscimento da parte di VHL, la quale a sua volta ne permette da degradazione. La mancanza dell’aggiunta di gruppi ossidrilici in assenza di ossigeno fa invece sì che HIF-1α possa accumularsi nella cellula e svolgere la sua funzione a livello del DNA.

Il lavoro dei tre scienziati rappresenta una base fondamentale per lo studio non solo della regolazione fisiologica di risposta ai livelli di ossigeno (come può avvenire, ad esempio, sotto sforzo fisico o in alta montagna), ma anche di alcune condizioni patologiche. Il meccanismo di regolazione è infatti alterato nell’insufficienza renale cronica, e ha un ruolo fondamentale nella carcinogenesi, perché stimola la produzione di nuovi vasi in grado di apportare ossigeno al tumore. Conoscere i dettagli molecolari di tale regolazioni è dunque fondamentale per lo sviluppo di nuovi farmaci che abbiano come target proprio il sistema di risposta ai livelli di ossigeno.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.