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Nobel per la Fisica 2019 a chi ha rivoluzionato la visione del cosmo

I vincitori sono James Peebles per le sue teorie cosmologiche e a Michel Mayor e Didier Queloz per la scoperta del primo esopianeta

Il premio Nobel per la Fisica 2019 è stato assegnato agli scienziati che con le loro scoperte hanno cambiato per sempre la nostra concezione della Terra e dell’universo. James Peebles, professore dell’università di Princeton, ha ricevuto metà del premio “per i contributi alla nostra comprensione dell’evoluzione dell’universo e del posto della Terra nel cosmo”, attraverso scoperte teoriche come il Big Bang caldo, la radiazione cosmica di fondo e l’ipotesi dell’esistenza della materia e dell’energia oscura

Michel Mayor e Didier Queloz invece hanno ricevuto l’altra metà del premio “per la scoperta di un esopianeta che orbita intorno a una stella simile al nostro Sole”. Nel 1995, attraverso il metodo delle velocità radiali, i due professori dell’università di Ginevra hanno osservato il primo esopianeta, aprendo a una nuova era dell’astronomia.

Dopo 24 anni da quell’annuncio, avvenuto il 6 ottobre durante una conferenza a Firenze, ad oggi sono stati scoperti oltre 4mila esopianeti in sistemi planetari anche molto diversi dal nostro e che richiedono nuove teorie di formazione ed evoluzione dei pianeti, così diversi per forma e composizione dalla nostra Terra e dal nostro sistema solare.

James Peebles: dal Big Bang alla radiazione cosmica di fondo

A partire dagli anni Sessanta Peebles ha studiato il cosmo con i suoi miliardi di galassie e ammassi di galassie. Un lavoro teorico che ha posto le fondamenta della moderna comprensione della storia dell’universo. Lo scienziato e ora premio Nobel ha guidato grande intuizioni del cosmo, dalla radiazione cosmica di fondo, un’eco del Big Bang arrivato fino a noi, alla teoria poi confermata che la materia ordinaria e visibile rappresenta solo il 5% dell’universo, mentre il restante 95% è costituito da una forma di materia ed energia invisibili e non rilevabili, il cui unico effetto è quello gravitazionale: la materia oscura e l’energia oscura.

A ispirare una nuova generazione di astronomi e cosmologi è stato il libro Physical Cosmology, scritto da Peebles e pubblicato nel 1971. Le sue scoperte teoriche negli anni hanno dimostrato la loro fondatezza, trovando conferme mano a mano che la tecnologia è avanzata e ha permesso misurazioni dell’universo sempre più approfondite e precise.

Partendo dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, si può ipotizzare che l’universo si stia espandendo seguendo una costante, detta costante cosmologica, che controbilancia gli effetti della gravità. Con la prima misurazione dell’espansione del cosmo, l’utilizzo della costante non sembrava più necessario nelle equazioni di Einstein, ma negli anni Ottanta Peebles la riportò in auge.

Secondo la sua teoria, tutta la materia dell’universo era in principio era condensato in un punto estremamente caldo e ha iniziato a espandersi dopo una violenta esplosione, quella del Big Bang. Da allora, nei seguenti 13,8 miliardi di anni circa, l’universo ha continuato a espandersi cambiando radicalmente aspetto con l’avanzare degli anni.

Le prime radiazioni luminose in un mondo buio arrivarono circa 400mila anni dopo l’esplosione e quelle onde luminose arrivano a noi sotto forma di microonde, un “rumore” che permea l’universo e che oggi è identificato come radiazione cosmica di fondo, ascoltato per la prima volta nel 1964 da Arno Penzias e Robert Wilson, che hanno vinto per questa scoperta il premio Nobel per la fisica del 1978.

Peebles ebbe l’intuizione di elaborare una spiegazione a quel “rumore”, segnando la nascita della cosmologia moderna. Il premio Nobel comprese che le radiazioni a microonde potevano fornire informazioni sulla materia e sull’energia rilasciata dal Big Bang, ma anche per comprendere come è avvenuta la formazione di galassie e ammassi di galassie che oggi osserviamo.

Quest’antica eco dell’universo neonato porta con sé risposte sull’età del cosmo, la sua evoluzione e la composizione.  A partire dal 1993 con il satellite COBE, valso il premio Nobel della fisica nel 2006 a John Mather e George Smoot, si aprì la caccia alle radiazioni cosmiche di fondo, osservate poi con satelliti come WMAP e recentemente Planck, che hanno fornito le mappe più dettagliate dell’universo primordiale.

Il mistero di materia oscura ed energia oscura

Negli anni Ottanta mentre tutti davano la caccia ai neutrini come potenziali candidati costituenti la materia oscura, Peebles propose che le particelle dovessero essere più pesanti e lente, fatte di materia fredda. Ad oggi non sappiamo ancora quale sia la composizione della materia oscura, ma sappiamo che occupa il 26% del nostro universo e ne abbiamo ottenuto prove indirette dall’effetto gravitazionale esercitato nello spazio.

Sommando materia ordinaria e oscura, essa costituisce solo il 31% del cosmo. A proporre che il restante 69% fosse costituito da una forma di energia dello spazio vuoto è stato proprio Peebles nel 1984, dandole il nome di energia oscura. Solo teorie fino al 1998, quando Saul Perlmutter, Brian Schmidt and Adam Riess misurarono per la prima volta l’accelerazione dell’universo, vincendo per questo il Nobel per la Fisica nel 2011.

Michel Mayor e Didier Queloz: il primo pianeta intorno a un’altra stella

Era il 6 ottobre 1995 quando Mayor e Didier a una conferenza a Firenze annunciarono di aver avvistato un pianeta gigante gassoso e caldo che orbitava intorno a una stella simile al Sole nella Via Lattea. Più precisamente un esopianeta, il primo mai scoperto al di fuori del nostro sistema solare.

Mayor e Didier osservarono intorno alla stella 51 Pegasi, situata a circa 50 anni luce dalla Terra, un pianeta chiamato 51 Pegasi b, un gigante gassoso noto anche come Bellerofonte, più grande di Giove ma dalla massa inferiore. Questo pianeta percorre la sua orbita intorno alla stella madre in appena 4 giorni, contro i 12 anni di Giove, un tempo che indica una distanza di appena 8 milioni di chilometri da essa, contro la distanza di 150 milioni di chilometri tra la Terra e il Sole. Per questo motivo la temperatura superficiale media è stimata di circa 1000 gradi Celsius.

Si trattava del primo “gioviano caldo” osservato dagli astronomi, il primo di una lunga serie la cui esistenza non era però ammessa dalle teorie di formazione planetaria accreditate in quegli anni, tanto dal lasciare la comunità astronomica perplessa e sorpresa.

A confermare che quanto i due premi Nobel 2019 avevano osservato corrispondesse al vero furono Paul Butler e Geoffrey Marcy, che poi proseguendo nelle ricerche scoprirono in appena un paio di mesi altri due esopianeti, dando il via alla caccia ai nuovi mondi che ad oggi prosegue ed è nel vivo.

Nuovi mondi, nuovi metodi: velocità radiali e transito

Il metodo innovativo utilizzato per la caccia agli esopianeti da Mayor e Didier è quello delle velocità radiali. Quando un pianeta orbita intorno alla sua stella, essi si muovono entrambi rispetto a un comune centro di gravità. A un osservatore sulla Terra, la stella apparirà come una “danzerina” che avanza e arretra rispetto al punto di osservazione con una certa velocità, detta appunto velocità radiale, che può essere misurata con l’effetto Doppler.

Secondo questo effetto, se la stella si avvicina a noi si osserverà nello spettro uno spostamento verso le frequenze del blu, mentre se essa si allontana si osserverà uno spostamento verso il rosso. A far oscillare la stella tra il blu e il rosso è proprio la presenza del pianeta, e studiando questa velocità e i movimenti stellari è possibile misurare le caratteristiche del corpo celeste così scoperto.

Un altro metodo oggi molto utilizzato è quello del transito, che si basa su un meccanismo completamente differente. Il metodo infatti permette di individuare il pianeta misurando le variazioni nello spettro luminoso della stella madre al passaggio, o transito, del corpo celeste tra la stella e la Terra. Un vantaggio del transito è quello di poter determinare le caratteristiche dell’eventuale atmosfera dell’esopianeta dalla caratteristica variazione che induce nello spettro di emissione della luce stellare.

Utilizzando entrambi i metodi, gli astronomi negli ultimi anni sono stati in grado di ottenere informazioni sempre più dettagliate di questi nuovi mondi stimandone la massa, la densità, la struttura interna e quella atmosferica.

A caccia di mondi alieni

La scoperta di Mayor e Queloz, che hanno sviluppato sia i metodi che gli strumenti sufficientemente sensibili per la caccia ai nuovi mondi, ha portato all’individuazione di oltre 4mila esopianeti differenti per forme, dimensioni e orbite. Ogni pianeta scoperto sfida la nostra comprensione della formazione planetaria, obbligando i ricercatori a elaborare nuove teorie su quali siano stati i meccanismi che hanno portato alla nascita di quel particolare corpo celeste.

Una caccia che è proseguita con l’ausilio di telescopi non solo a Terra, ma anche nello spazio come TESS, che al momento sta scansionando oltre 200mila delle stelle a noi più vicine per verificare l’esistenza di pianeti simili alla Terra. Un vero successo in questo campo è stata la missione Kepler della NASA, ormai conclusa, che ha portato alla scoperta di oltre 2300 esopianeti. Scoperte che portano sempre a nuovi interrogativi: della moltitudine di nuovi mondi che oggi conosciamo, è possibile che almeno uno ospiti delle forme di vita? Una domanda che al momento resta senza risposta, mentre la ricerca ai mondi alieni e lontani prosegue verso nuovi orizzonti.

Premio Nobel per la Fisica 2019: i vincitori

James Peebles è nato nel 1935 a Winnipeg, in Canada, e dopo il dottorato alla Princeton University è diventato un Albert Einstein Professor of Science dell’Ateneo.

Michel Mayor è nato nel 1942 a Losanna, in Svizzera, e dopo il dottorato è diventato professore dell’Università di Ginevra.

Didier Queloz, nato nel 1966, ha conseguito il dottorato all’Università di Ginevra, dove è poi diventato professore. Poi è entrato come professore all’Università di Cambridge, nel Regno Unito.

 


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.