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Fauna selvatica, il commercio è maggiore di quanto si credesse

Per molte specie animali il commercio continua a rappresentare un grosso rischio in termini di conservazione in natura: alimenta il bracconaggio di specie protette o un prelievo eccessivo dall'ambiente naturale

Sono svariate le specie che entrano nel mercato della fauna selvatica. Commerciate come alimento, come componenti della medicina tradizionale, per l’oggettistica o come animali da compagnia, rappresentano un business enorme. E forse anche più enorme di quanto si pensasse in precedenza, avverte uno studio pubblicato su Science.

Dai pet alla medicina tradizionale

Il commercio di specie selvatiche, siano flora o fauna, è regolato dalla Convenzione di Washington, o CITES, che elenca le specie animali e vegetali suddividendole a seconda del grado di minaccia (OggiScienza ne ha parlato qui). Per molte di esse, infatti, il commercio ha rappresentato e continua a rappresentare un grosso rischio in termini di conservazione in natura, perché spesso alimenta il bracconaggio di specie protette o un prelievo eccessivo dall’ambiente naturale (che, soprattutto nel caso degli animali vivi, può anche essere anche corredato da pessime condizioni di trasporto e cura).

TRAFFIC, la principale organizzazione non governativa internazionale per il monitoraggio del commercio di piante e animali selvatici, ricorda, solo per fare un esempio, che il commercio del corno di rinoceronte, usato nella medicina tradizionale cinese, è esploso nell’ultima decina di anni, portando a livelli di bracconaggio mai visti prima. Scaglie di pangolino per la medicina tradizionale, avorio per l’oggettistica, le tridacne giganti per gli acquari prima e per l’oggettistica poi; pesci, rettili, mammiferi e uccelli venduti come pet, talvolta causando un’enorme sofferenza agli animali (si pensi all’estrazione dei denti nei piccoli primati del genere Nycticebus, o slow loris, di cui sono diventati virali i video su YouTube)… le specie interessate dal fenomeno sono innumerevoli. Molte si sono terribilmente avvicinate all’estinzione proprio a causa del commercio, come nel caso dello storno di Bali, arrivato a essere classificato come “criticamente minacciato” nella Red List della IUCN a causa del suo commercio come pet. Per altre, l’estinzione è già avvenuta: l’estinzione del Rhinoceros sondaicus annamiticus, una sottospecie del rinoceronte di Giava, è stata confermata nel 2012.

Sappiamo molto di come l’impatto umano influenzi la conservazione delle specie in termini di perdita dell’habitat e degradazione del territorio. Ma sappiamo molto meno della dimensione e dei modelli seguiti dal mercato della fauna selvatica, e di quale sia il loro impatto in termini di perdita della biodiversità globale. Eppure, capire quali specie sono interessate dal commercio, e dove, è un passo fondamentale per stabilire le strategie di tutela più efficaci. È ciò che ha indagato il nuovo studio, condotto da un team di ricercatori statunitensi e del Regno Unito, che ha analizzato i database della IUCN e della CITES per fornire innanzitutto una valutazione dell’estensione del fenomeno, stabilendo su quali specie si concentri. Quindi, i ricercatori hanno identificato gli hotspot del commercio, identificando anche le differenze nel tipo (se per beni di lusso, pet, prodotti medicinali…).

Vertebrati terrestri: dove e quale mercato

L’analisi è stata condotta su 31.745 specie di vertebrati terrestri, comprendenti uccelli, mammiferi, anfibi e rettili. I risultati hanno mostrato che il commercio interessa oltre 5.000 specie, il 18 per cento circa dei vertebrati terrestri. A stabilire una graduatoria, i più interessati sono gli uccelli e i mammiferi, seguiti dai rettili e infine dagli anfibi. Tali stime alzano le precedenti di una percentuale compresa tra il 40 e il 60 per cento; gli animali interessati dal mercato sono anche quelli delle specie più a rischio, confermando così il commercio come uno dei principali driver dell’estinzione in natura. Gli autori hanno anche rilevato come il mercato, pur interessando tutti i continenti, trova i suoi epicentri in Sudamerica, nell’area tra l’Africa centrale alla sud-orientale, nel sud-est asiatico, nell’area himalayana e in Australia. Questa distribuzione, scrivono i ricercatori, corrisponde alle zone del pianeta più ricche di specie: laddove la biodiversità abbonda, abbonda anche il commercio. Ciascuna area, poi, ha il suo “prodotto tipico”: Asia, Indonesia, Himalaya e Malesia, ad esempio, sono hotspot del commercio di anfibi e mammiferi, mentre Australia e Madagascar commerciano prevalentemente i rettili.

Concentrandosi poi sul tipo di commercio, dallo studio emerge che anfibi e rettili finiscono nel mercato soprattutto per essere commercializzati come pet, intesi sia come animali tenuti in casa sia come animali per zoo, circhi, esposizioni. Gli uccelli diventano sia pet sia prodotti alimentari, trofei, componenti medicinali o usati per le decorazioni; i mammiferi sono prodotti di vario genere. Man mano che una popolazione diminuisce, scrivono gli autori, il mercato si sposta verso i conspecifici: ad esempio, al declino del pangolino asiatico si affianca un aumento di commercio del pangolino africano. Basandosi sui tratti di somiglianza filogenetica e morfologica e su diversi approci di valutazione, lo studio offre anche una previsione sulle specie che, pur essendo a oggi scarsamente interessate dal mercato, vi entreranno in futuro. Secondo i ricercatori, si tratta di oltre 3.000 specie, che portano a 8.775 il totale delle specie che presto potrebbero essere a rischio.

L’analisi fornita dagli scienziati descrive un quadro davvero poco allegro per gli animali selvatici. Rappresenta tuttavia uno strumento fondamentale per stabilire le migliori strategie di conservazioni e contrastare il mercato, perché consente di capire dove e su quali specie concentrare gli sforzi. L’identificazione delle specie non ancora commercializzate ma che potrebbero in futuro essere interessate dal commercio è inoltre un richiamo alla necessità di un approccio proattivo, per evitare che entrino nelle liste degli animali minacciati solo quando il declino della popolazione è diventato grave.


Leggi anche: I numeri del commercio di animali

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Crediti immagine: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.