STRANIMONDI

Joker, o della malattia mentale

È Il film del momento: Joker, con Joaquin Phoenix, diretto da Todd Phillips (Una notte da leoni) è al centro di numerosi commenti e dibattiti.

Il film racconta la genesi criminale di uno dei personaggi dei fumetti più celebri di tutti i tempi, uno dei cattivi per antonomasia, folle e crudele. Phillips confeziona un racconto di oltre due ore che va a scavare nella mente del protagonista, incarnato in modo magistrale da un Joaquin Phoenix in stato di grazia. 

Joker Joaquin Phoenix

La follia di Joker

“L’aspetto più buffo dell’avere una malattia mentale è che tutti pretendono che ti comporti come se non ce l’avessi”. Una frase dolorosa e commovente (ovviamente di buffo non c’è nulla) che può riassumere tutta la tremenda complessità del film. La scrive Arthur Fleck, alias il Joker, in una pagina del suo diario, una specie di quadernetto sul quale appunta di tutto, anche le sue (scarse) battute comiche da aspirante cabarettista. Un diario che è più volte ripreso nel corso del film e che consente di leggere alcuni dei pensieri del futuro nemico di Batman. Il film di Todd Phillips, che di questo Joker è regista e sceneggiatore, è un’opera lontana dall’estetica dei lungometraggi che di solito raccontano i personaggi dei fumetti: non ha nulla a che spartire con i film dell’universo Marvel, ma ha poco in comune anche con il Batman noir e muscolare di Christopher Nolan, che diede vita a un altro Joker memorabile, quell’agente del caos balbettante e completamente fuori controllo col volto di Heath Ledger. 

Ne Il Cavaliere Oscuro l’anima in pena è quella di Batman, talmente buono dall’apparire cattivo, che affronta un Joker ciecamente folle: anche quello di Ledger è un Joker sofferente, ma la sua follia è una lucidissima follia, quasi quantistica. I suoi ostaggi sono come il gatto di Schroedinger. Vivi o morti? Lo decide una monetina. Nel film di Nolan non c’è un’indagine sociale per capire o descrivere quella pazzia: è follia, punto e basta, dove per follia si intende assenza di ragione, di coerenza e linearità logica (incarnata invece da Batman). Il Batman di Nolan è un’opera che oltrepassa la dicotomia “buono contro cattivo” ma ne mantiene altre assai rassicuranti: ragione contro follia, ordine contro caos.  

Un antieroe autentico e il suo punto di vista

Il Joker di Phillips va oltre. La malattia mentale di Arthur pervade ogni fotogramma. Buoni e cattivi sono superati, ma qui anche ragione e follia si intrecciano, l’ordine e il caos si inseguono e si fondono. Phoenix non è per niente quel tipo di cattivo che era il Joker di Nolan. Arthur è un uomo malato, debole, povero, che vive ai margini, in una brutta casa con la madre, con lavori poco appaganti e poi disoccupato, goffo, maldestro, incompreso e sofferente. Non è quell’incantevole folle che era Heath Ledger. Il Joker di Phoenix è un vero antieroe, costruito attorno alla sua malattia. Un uomo che non ha successo in una società dove il successo è considerato essere a portata di tutti e la cui retorica è pervasiva: se non hai successo è colpa tua. Arthur è un uomo che vive un equilibrio precario e che pian piano scivola verso la violenza come catarsi per la sua situazione insostenibile. In un primo momento sceglie la violenza solo come autodifesa, o meglio: lui crede di sceglierla per questo motivo. Sarà vero? Difficile dirlo. 

Il regista decide di raccontare il film con gli eventi che Arthur crede di vivere: non è un film narrato in prima persona, ma lo scorrere degli episodi è descritto spesso nel modo in cui li percepisce il protagonista. Come in un flusso di coscienza noi vediamo i fatti che Arthur crede stiano succedendo. Sono reali? Sono deliri? Quel personaggio è davvero lì? Sta davvero parlando con un presentatore televisivo o con l’uomo più ricco e potente della città che va da solo alla toilette del teatro? Quella ragazza è davvero innamorata di lui? 

La dimensione sociale della malattia 

Reali, questi eventi, lo sono certamente per Arthur, uomo che oscilla tra deliri di onnipotenza e manie di persecuzione. Riceve ostilità e vive emarginazione ovunque vada: dall’autobus all’ufficio dell’assistente sociale, fino alle aggressioni che subisce per strada o alle derisioni dei suoi colleghi o in diretta tv sul più importante programma di varietà di Gotham City. Ma, ancora una volta, sono visioni, non una realtà granitica e affidabile. Joker di Todd Phillips è il diario di un uomo sconvolto dal dolore, ma non si limita all’introspezione. Joker è un lungometraggio che si sofferma anche sugli impatti sociali della malattia mentale: emarginazione, povertà, disoccupazione, violenza, mancanza di assistenza sanitaria adeguata, incomprensione, stigmatizzazione. 

Questa dimensione sociale del malato psichico inchioda la società americana (e non solo) alle sue lacune, al suo menefreghismo e al suo pressappochismo. Pazienza se hai una malattia devastante come quella di Arthur: fai finta di non averla, la società non la capisce, non la vuole vedere, non può affrontarla davvero nella sua essenza. Può controllarla solo se chi ce l’ha fa finta di non averla. Ecco perché Arthur periodicamente si trova di fronte a una burocrate dei servizi sociali, probabilmente malata come lui, che però a differenza di lui ha il potere di riempirlo di psicofarmaci al solo scopo di “far finta di non averla”, quella malattia. La risposta di Arthur nel corso del film – sempre sia reale, quella risposta – sfocia in un delirio di violenza assoluta e, dal suo punto di vista, liberatorio: una grande esplosione, un caos totale che azzera il mondo e riequilibra tutto quanto, proprio come preconizzava l’altro malato Zeno Cosini nel finale del capolavoro di Italo Svevo. Con l’alter ego Joker, capopopolo di una rivolta di classe violentissima e feroce, Arthur trova finalmente il suo posto nel suo mondo.  

Altri film che raccontano la malattia mentale

Sono numerosi i film che hanno raccontato in diversi modi la malattia mentale. Uno dei più rilevanti, anche per gli impatti sociali che ebbe nello stimolare proteste e dibattiti, fu La fossa dei serpenti, di Anatole Litvak, uscito nel 1948. Il film, tratto dal romanzo omonimo e semi autobiografico di Mary Jane Ward, mostrava in modo crudo e diretto il trattamento dei pazienti nei manicomi. Più che luoghi di cura, i manicomi erano visti come luoghi di detenzione, di umiliazione e di violazione dei diritti delle persone. Luoghi paragonabili a lager, placidamente tollerati anche negli stati democratici e liberali che nel decennio precedente avevano combattuto la criminalità nazista. Il libro di Ward andava a mettere a nudo questa ipocrisia ed è stato tradotto in un film durissimo e doloroso. 

Le critiche alla psichiatria proseguirono negli anni Sessanta. Michel Foucault nel 1961 diede alle stampe il saggio Storia della follia nell’età classica, che fu uno dei capisaldi teorici della contestazione antipsichiatrica degli anni Sessanta e Settanta. Proprio in quel periodo (1962) si colloca la pubblicazione del romanzo dello scrittore americano Ken Kesey Qualcuno volò sul nido del cuculo, che poi divenne un celebre film vincitore di cinque premi Oscar con Jack Nicholson, che metteva in discussione, proprio come La fossa dei serpenti, i trattamenti subiti dai pazienti nei manicomi. 

Del 1960 è invece Psyco, capolavoro di Alfred Hitchcock che racconta la storia di una delle menti criminali e folli più celebri della storia del cinema: Norman Bates, magistralmente interpretato da Anthony Perkins. Bates, come il Joker di Phoenix, vive un’esistenza solitaria ed emarginata e ha un rapporto malato e conflittuale con la madre. 

Un titolo più recente che parla di manicomi e di come la psichiatria può talvolta essere oggetto di oppressione più che di cura è Ragazze interrotte, tratto dal romanzo autobiografico di Susanna Kaysen e diventato un film del 1999 diretto da James Mangold, con Angelina Jolie, Winona Ryder e Brittany Murphy. Del 2010 è invece Shutter Island, film diretto da Martin Scorsese e tratto dal romanzo L’isola della paura di Dennis Lehane con Leonardo DiCaprio, sempre ambientato in un ospedale psichiatrico: il film consiste anche in una potente meta-riflessione sulla malattia mentale e sui i confini molto labili della realtà.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.