VITE PAZIENTI

La mia vita con la fibromialgia: perché non dobbiamo avere paura

Vivere con un dolore cronico, costante e spesso non riconosciuto, neanche dai LEA. Imparando ad amministrarlo, in un lungo percorso spesso molto solitario.

“Mi sono sentita per molti anni una malata immaginaria”, mi racconta Carla. Lungo tutta la nostra chiacchierata, complice un pomeriggio particolarmente uggioso, la parola solitudine ritorna in più occasioni. Mi rendo subito conto che per lei, almeno, il percorso prima e dopo la diagnosi di fibromialgia è stato silenzioso, non libero di esprimersi. Le cose sono cambiate a un certo punto, quando Carla ha incontrato l’Associazione italiana sindrome fibromialgica, e ha deciso di aprire la prima sede territoriale a Belluno. Ma i sorrisi, e l’energia vitale, sono arrivati dopo.

Prima c’è stato molto cammino, anzitutto per capire che si trattava davvero di fibromialgia, poi per spiegare agli altri – raramente con successo – cos’era questa strana sindrome. Percepisco che forse l’amarezza più grande per Carla è sapere che, a distanza di vent’anni dalla diagnosi, c’è chi pensa che si sia trattato alla fine di una brutta depressione, ricca di fissazioni e di fisime. Quell’amarezza sottile ma feroce di quando speri che le persone prendano atto della propria sordità, ma ti rendi conto che nel tuo caso non sarà così. Come scagliarsi costantemente contro un muro di gomma che ti rimbalza indietro.

Una sindrome riconosciuta, indicatori incerti

Il problema della fibromialgia è che si tratta di una sindrome, una condizione oggi riconosciuta ma la cui diagnosi non si basa su indicatori certi. Non ci sono analisi del sangue o delle urine che possono rilevare un valore specifico, non si rileva nulla da biopsie, da risonanze magnetiche, o da TAC. La persona fibromialgica soffre di fortissimi dolori che talvolta le impediscono di camminare, di essere indipendente, ma non si sa perché. C’è il dolore, c’è la stanchezza che ti impedisce di alzarti in piedi, ma non c’è un problema che la origina. Per questo motivo al momento la fibromialgia non è stata inclusa nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, che riconoscono le malattie croniche invalidanti e le malattie rare e danno la possibilità a fronte di una diagnosi di avere diritto a esenzioni economiche o aiuti.

Non essendoci un elenco di clausole ufficiali da rispettare per la diagnosi, non è finora stato reputato oggettivo decidere se una persona ha davvero la fibromialgia oppure se si tratta di qualcs’altro. L’impegno in questo senso però, mi riferisce Carla, è forte.

Come si arriva alla diagnosi di fibromialgia

La diagnosi oggi viene eseguita attraverso l’anamnesi e l’analisi manuale dei punti sensibili, tender points: se la pressione di almeno 11 su 18 punti dà forte dolore, allora si parla di fibromialgia; di conseguenza, non è nota la causa scatenante della malattia. L’ipotesi più accreditata è che sia compromesso il modo in cui il cervello processa il dolore, il che rende molto bassa la soglia del dolore in queste persone.

Tante persone soffrono di questo dolore cronico sordo e costante e non trovano soluzione, essendo costrette a lasciare il lavoro. Carla mi racconta diverse storie di amici e conoscenti che lavoravano in fabbrica o facevano lavori usuranti,  ma in assenza del diritto a una qualche forma di tutela hanno dovuto lasciare il lavoro ben prima dell’età della pensione. La fibromialgia riguarda anche persone giovani, di 18-20 anni e ci sono alcune segnalazioni di possibile fibromialgia anche nei minori. È una condizione che ci pone davanti a una questione umana molto forte: che cos’è la malattia? Io mi chiedo, fenomenologicamente,  se non coincida con la presenza del malato, con la percezione della mancanza di benessere. E mi chiedo – in silenzio, non lo paleso a Carla – se davvero ha importanza capire se la causa scatenante del dolore fisico sia fisica o no. Ma certo, quando si parla di indennità economiche, la cosa assume una certa rilevanza.

“Oggi è diverso, si parla di più di fibromialgia, è una parola che in molti hanno sentito e non è così strano credere che possa esistere una forma di dolore cronico non spiegato da altri problemi fisici, ma vent’anni fa non era così” continua Carla. “Non sono stata creduta per molto tempo, si pensava che soffrissi di depressione, ed è vero: molte persone finiscono per soffrire anche di depressione quando si rendono conto di essere più stanche di quanto dovrebbero essere, apparentemente senza motivo, e di sentire dolore costante. Tutti continuavano a dirmi di tornare dalle varie visite ‘cambiata di testa’ e sicuramente questo mi ha fatto scattare dentro l’esigenza di mettere me stessa prima di tutto: dovevo farlo io, perché gli altri non lo avrebbero fatto. Ed è così che ho deciso di separarmi, pur nel dolore dell’affetto. Mi chiedo se avrei mai sentito l’esigenza di farlo senza la fibromialgia”.

Quando il dolore diventa invalidante

Carla è fortunata, me lo ripete molte volte. Lei non assume farmaci, se non un leggero miorilassante per riuscire a prendere sonno, ma molti pazienti sono imbottiti di medicinali e alcune persone sono invalidate dal dolore. “Il dolore diventa parte di te. Io ora mentre ti parlo, se mi ascolto, sento dolore alla coscia, alla testa e alla spalla. Non so più che cosa significhi non sentire dolore, non lo so davvero. Ma sinceramente, a quasi 60 anni, io oggi ti dico che sono una persona serena, con il mio lavoro, la mia vita sociale, l’impegno con l’associazione che ha cambiato per me le carte in tavola”.

“Ricordo ancora il momento della diagnosi”, continua Carla, “e le parole esatte del medico, nel 1998: ‘mi dispiace, ha la fibromialgia’. Quello che mi sento di dire è che la fibromialgia può non essere una condanna, l’importante è accettarla e ascoltarsi. Sebbene non ci siano cure, ci sono tante cose che ognuno di noi può fare, a partire da un’indispensabile moderata attività fisica costante. L’importante è conoscere i nostri limiti, imparare a conoscere i segnali del nostro corpo quando ci fa capire che è il momento di rallentare, ma anche sapere quando siamo disposte a sopportare una giornata di maggiore dolore o stanchezza per qualcosa che ne vale la pena.”

Colgo che per Carla fibromialgia oggi non è più cercare di non provare dolore, ma saperlo amministrare al meglio e intorno vivere la sua vita, comprese le mille idee creative. Perché Carla è un vulcano di entusiasmo. Un entusiasmo che nel 2007 l’ha portata a fondare la prima sezione locale dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica a Belluno, grazie alla quale partecipa attivamente ai vari convegni che parlano di fibromialgia, organizza incontri, passeggiate della salute e ha partecipato come autrice alla pubblicazione del libro “Fibromialgia – Storie di vita segnate”.

“Non hai idea di quante persone mi chiamano per parlarmi di questa loro condizione, quanta solitudine c’è ancora, anche fra le coppie, anche se sono contenta di sentire che sempre più uomini mi chiamano per chiedere un supporto per comprendere meglio la propria compagna: la fibromialgia è prevalentemente femminile. Io ho vissuto il mio percorso in solitudine e so quanto mi è costato, anche se oggi sorrido. Meno altri potenziali o attuali fibromialgici sono soli nel dolore, più io sento di aver raggiunto il mio scopo”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagini: Carla della Stella

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.