Memoria semantica, disturbi alimentari e demenze: un possibile nesso
In situazioni patologiche come le demenze, l'approccio al cibo cambia in modo drastico: aumenta l'appetito, si assumono cibi molto zuccherati o grassi e gli alimenti sono sempre meno vari.
L’alimentazione è un aspetto del nostro comportamento che incide in maniera importante sulla nostra salute globale. Esistono però delle situazioni patologiche, come quelle che caratterizzano le demenze, in cui l’approccio al cibo cambia radicalmente: si osserva un generale aumento dell’appetito (che a volte può sfociare in vere e proprie abbuffate), associato alla tendenza ad assumere cibi molto zuccherati o grassi, e alla drastica riduzione della varietà di cibo assunto.
Perché si osserva tutto ciò? Secondo un recente studio dell’iNSula Laboratory della SISSA di Trieste e pubblicato sul Journal of Neuropsychology si tratta di una questione di… memoria.
Il gruppo di ricerca della SISSA, in collaborazione con l’ambulatorio per i disturbi di memoria e cognitivi dell’Ospedale di Cattinara, ha raccolto i dati di 23 pazienti con forme diverse di demenza (demenza frontotemporale, afasia progressiva primaria e Malattia di Alzheimer) confrontandoli con quelli di un gruppo di controllo, 21 persone afferenti all’Università della Terza Età Paolo Naliato (Udine). I dati sono stati raccolti grazie a un questionario specifico per la valutazione dei disturbi alimentari, ad alcuni test relativi alla memoria semantica (quella necessaria per riconoscere gli oggetti e utilizzarli nel modo corretto) e alla misurazione dei volumi di porzioni specifiche della corteccia cerebrale e della sostanza bianca, ottenuta tramite tecniche di imaging cerebrale.
In questo modo il team, guidato dalla Dr.ssa Vignando e dalla Dr.ssa Aiello, ha scoperto un nesso inaspettato: un’alta percentuale di errore nei test di memoria semantica era infatti correlata a punteggi considerati patologici ottenuti nel questionario relativo alle abitudini alimentari. Un’evidenza supportata anche dai dati di imaging, tramite cui si è evidenziato – nelle persone che hanno registrato diversi errori nel test di memoria e punteggi alterati nel questionario legato all’alimentazione – una significativa riduzione dei volumi di corteccia e sostanza bianca (l’insieme di fibre nervose che collegano regioni del cervello lontane tra loro, nonché il cervello con il midollo spinale) in aree che sono implicate sia nella memoria semantica (polo temporale anteriore) sia nel controllo delle abitudini alimentari (come il giro fusiforme).
“Questo fa pensare”, commentano le due ricercatrici, “che questi specifici disturbi alimentari dipendano, in qualche misura, dall’integrità della memoria semantica”. I dati relativi al volume della sostanza bianca in pazienti con deficit della memoria e problemi alimentari suggeriscono poi una disfunzione nel collegamento esistente tra le aree visive e quelle semantiche: “I tratti di sostanza bianca che mostravano un volume ridotto erano quelli che mettono in comunicazione il lobo temporale – sede della memoria semantica – con altre regioni cerebrali, come quelle visive: una volta esaminato visivamente l’oggetto, in questo caso il cibo, il passaggio dell’informazione al lobo temporale risulta deficitario”.
Il perché ciò avvenga e i nessi causali esistenti tra questi sintomi così diversi, fino ad oggi considerati indipendenti, restano ancora sconosciuti. Ma grazie a questa ricerca è ora possibile aggiungere un tassello al complicatissimo mosaico della conoscenza delle demenze, sviluppando al contempo approcci riabilitativi più efficaci nel contrastare comportamenti alimentari scorretti nei pazienti che ne sono affetti.
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