DOMESTICI

La selezione e il maltrattamento genetico del cane

La nostra selezione non ha sempre avuto a mente il benessere canino, anzi: tra gli esempi più critici il bouledogue francese, molto apprezzato nonostante il gran numero di problemi veterinari che è predisposto a sviluppare, dall'ernia alle difficoltà respiratorie.

La mano umana può non essere stata la sola a far partire il processo di domesticazione del cane, ma è responsabile della selezione avvenuta durante i millenni di convivenza con questa specie. Prima per avere accanto i migliori cani da lavoro; poi, soprattutto in epoca vittoriana, per avere accanto i più belli. Selezionando e selezionando, tra le oltre 400 razze riconosciute oggi a livello mondiale (di cui circa 300 dalla sola FCI) troviamo cani anche molto diversi dal loro parente lupo: più piccoli o più grandi, con la testa più tonda o le orecchie che da dritte si fanno pendule.

Ma in questo processo abbiamo fatto il bene del cane? Mica sempre. I cani di casa vivono in media ben più di un lupo in natura, questo sì; ma di pari passo con i tratti (morfologici o caratteriali) che interessano la nostra specie abbiamo selezionato anche malattie, a volte mortali. È quello che in italiano si può definire “maltrattamento genetico“, un termine generico e che non trova un vero corrispettivo in lingua inglese: un volontario o involontario deterioramento del patrimonio genetico dei cani causato da una selezione o da una mancata selezione (ma prevalentemente dalla prima) verso dei caratteri ininfluenti o addirittura peggiorativi in termini di salute del cane.

Le conseguenze del maltrattamento genetico sono particolarmente gravi perché non si limitano alle sofferenze del singolo individuo e dei suoi proprietari (che si trovano a doversi confrontare, dal punto di vista emotivo, gestionale ed economico, con un cane che non sta bene) ma si trasmettono anche da una generazione all’altra.

Ne parliamo con Barbara Gallicchio, veterinaria comportamentalista e giudice internazionale ENCI, nonché tra i primi in Italia a occuparsi del problema.

Una storia di mutazioni

Vogliamo cani più piccoli, più grandi, con diverse proporzioni di lunghezza tra zampe e tronco. Li vogliamo dorati oppure bianchi, focati, a macchie; la coda arrotolata, ben stesa, mozza; il muso allungato e lupino o tondo, schiacciato e quasi umanoide. Come sono nate tutte le caratteristiche morfologiche che contraddistinguono le diverse razze di cani? Per caso: sono mutazioni genetiche avvenute durante l’evoluzione o l’allevamento, spesso originate in modo indipendente in diverse regioni del mondo.

«Una mutazione comune e apparsa precocemente nella storia del cane è quella che determina la condrodistrofia appendicolare, ossia l’accorciamento della zampa e la condizione di bassettismo», spiega Gallicchio. «Già nell’iconografia dell’Alto regno egiziano si trovano raffigurazioni di cani a zampa lunga e a zampa corta, e anche di cani nani, tali da poter stare sotto una sedia. Il bassettismo si trova anche nei reperti dell’America precolombiana: la mutazione è sicuramente differente da quella avvenuta in Egitto, dal momento che non vi sono stati contatti tra le due popolazioni. Un’altra mutazione avvenuta in epoca remota è la coda arrotolata sul dorso, caratteristica dei cani tipo spitz e comparsa probabilmente diecimila anni fa».

Ma le prime selezioni da parte dell’essere umano non miravano tanto a fissare queste caratteristiche morfologiche, quanto quelle comportamentali, così da rendere il cane un buon ausiliario per la caccia, per la difesa del territorio o degli allevamenti. «È stato soprattutto negli ultimi duecento anni che alcune selezioni sono avvenute su basi prettamente estetiche, sebbene vi siano esempi anche più lontani nel tempo, come nel caso dei pechinesi imperiali, selezionati in Cina circa 4.000 anni fa e arrivati in Occidente a metà dell’Ottocento», spiega la veterinaria. E si pone qui il primo fronte del maltrattamento genetico.

Gli standard di razza e la bellezza che fa male

Nati in epoca vittoriana, gli standard di razza rappresentano una descrizione delle caratteristiche che una razza deve possedere, e quindi da privilegiare nella selezione. Chi non li hai mai letti resterà stupito dal loro livello di dettaglio: lo standard precisa l’aspetto che il cane dovrebbe avere dalla forma e colore del tartufo (il naso) fino addirittura a volte all’espressione degli occhi, dalle unghie all’angolatura delle ginocchia. Per alcune razze, però, le fattezze richieste possono essere la causa di diversi problemi veterinari.

«Per alcuni cani, a essere preferito è l’ipertipo. Ad esempio, se la mutazione originale che portava alla condizione di bassettismo accorcia l’arto del 50 per cento, oggi la zampa può essere nettamente inferiore al 30 per cento. Il problema è che più ci si allontana dalla morfologia originale, più si rischia d’incorrere in vari tipi di problemi», spiega Gallicchio. «Questo perché la modifica delle dimensioni corporee non avviene in scala: gli organismi aumentano o diminuiscono le proprie dimensioni in modo variabile a seconda dei vari tratti corporei, per cui alcuni si riducono di più e altri di meno. È il caso del femore, l’osso più grande dello scheletro: quando si riduce in modo importante la taglia, anche l’osso di riduce, ma meno delle arterie che lo devono nutrire; quindi ci sono cani nani con un femore sproporzionato rispetto all’albero vascolare, e che non è sufficientemente nutrito, soprattutto durante la crescita».

Un altro esempio di queste incongruenze è la dimensione dell’occhio. Nel cane, il globo oculare è un segmento ontogenetico rigido, ossia ha sempre lo stesso diametro indipendentemente dalle dimensioni dell’animale. In un cranio brachicefalo, quindi, gli occhi risultano forzatamente prominenti e soggetti a traumi. Ancora più gravi e inquietanti sono le sproporzioni tra scatola cranica e cervello. «Riducendo la taglia in modo esagerato, il cervello risulta troppo grande per lo scheletro osseo che lo contiene e subisce una pressione dolorosa e pericolosa per l’animale», spiega Gallicchio.

Un problema portato all’attenzione pubblica dal documentario della BBC “Pedigree dogs exposed” uscito nel 2008, è quello della siringomielia: il cervelletto non ha sufficiente spazio nel cranio e finisce schiacciato nel forame magno (il foro che mette in comunicazione la cavità cranica con il canale vertebrale). «In questa condizione si crea un disturbo del drenaggio del liquor, che aumenta la pressione endocranica rischiando di creare gravi danni cerebrali e, dal punto di vista sintomatologico, determinare feroci mal di testa al cane», spiega Gallicchio. «Il documentario della BBC ha reso noto al grande pubblico quanto questo problema sia diffuso tra i cavalier king, ma in realtà è comune a molte razze brachicefale».

Non solo estetica

Oltre alla forte spinta selettiva positiva per tratti voluti dallo standard, esiste una sfera significativa del maltrattamento genetico dovuta all’eccesso di consanguineità. I due aspetti non sono necessariamente dissociati, perché l’accoppiamento tra consanguinei è un metodo molto efficace per moltiplicare il patrimonio genetico di un cane particolarmente abile per un determinato compito oppure con caratteristiche estetiche particolarmente ricercate. Questa dimensione del maltrattamento genetico può quindi riguardare sia i cani da esposizione sia i cani da lavoro. Lo stesso Kennel Club britannico ricorda che alti livelli di consanguineità possono portare non solo alla selezione di forme recessive patologiche (ad esempio alcune oculopatie), ma anche alla cosiddetta inbreeding depression.

Quest’ultima si definisce come un generale peggioramento delle condizioni di salute del cane che può determinare un aumento di mortalità dei cuccioli, minori dimensioni della cucciolata, minor fertilità e accorciamento della vita. I golden retriever, ad esempio, sono una razza nata da un pugno d’individui (come molte altre, in effetti) nella seconda metà dell’Ottocento, quando i retriever erano prevalentemente neri o color fegato. Uno studio del 2019, condotto nell’ambito di uno degli approfondimenti più completi su questi cani, il Golden Retrever Lifetime Study, ha dimostrato una diminuzione nella dimensione della cucciolata nei golden retriever con reincroci stretti.

Ritornare al benessere del cane

Il maltrattamento genetico coinvolge purtroppo molte razze, e anche quelle con problemi di salute ormai noti restano estremamente popolari. Nel 2018, ad esempio, il bouledogue francese è diventato la razza più popolare in Gran Bretagna, nonostante il gran numero di problemi veterinari che può sviluppare: come altre razze condrodistrofiche, presenta la calcificazione precoce dei dischi che lo predispone all’ernia e la brachicefalia crea problemi alle vie aeree superiori, rendendo all’animale difficile respirare a sufficienza.

Come uscirne, allora? Come portare il benessere e la salute del cane al centro dell’attenzione? «I primi a muoversi sono stati i Paesi scandinavi e la Gran Bretagna, quest’ultima soprattutto in seguito alle reazioni indignate suscitate dalla presentazione del documentario “Pedigree dogs exposed”», spiega Gallicchio. «Le diverse razze sono state suddivise in categorie a rischio alto, medio, basso o inesistente. Le razze giudicate ad alto rischio, ad esempio perché lo standard ne prevede caratteristiche estreme, devono essere giudicate con particolare attenzione durante le esposizioni. Per creare autocoscienza nei giudici, viene loro inviato un promemoria sui problemi della razza che sta per essere esaminata, e si chiede di compilare un documento che fornisca un quadro d’osservazione generale sulle condizioni del cane osservato nel ring. Inoltre, la premiazione di una fattezza estrema dev’essere giustificata e, a parità di condizioni fra soggetti in competizione, non può più essere premiato il cane più estremo (il più grande, o il più piccolo, o quello con la testa più tonda o le orecchie più lunghe), per queste sole caratteristiche».

Il monitoraggio sui giudici è condotto dalla commissione scientifica dei kennel club, insieme alla commissione standard; le regole possono essere visionate dalla FCI e alla fine sono trasmesse attraverso vari canali a giudici, allevatori e appassionati.

E nel frattempo, gli standard sono cambiati. Per alcune razze, laddove lo standard voleva “il più (grande/piccolo/lungo/corto…) possibile”, ora si legge “molto – o piuttosto o nella giusta misura – (grande/piccolo/lungo/corto…)”. «Lo standard del bouledogue francese recitava “tra i difetti lievi vi è il tartufo con narici strette; tra i gravi, il tartufo con macchie senza pigmento, e tra i difetti da squalifica il tartufo di colore diverso dal nero”. Ora lo standard è cambiato: le narici completamente chiuse e difficoltà respiratorie sono considerate da squalifica», spiega la veterinaria.

La genetica come alleata

Inoltre, molti Paesi, tra cui Germania e Svizzera, hanno vietato gli accoppiamenti tra consanguinei di primo e secondo grado. La Gran Bretagna ha aderito al divieto nel 2009, salvo necessità specifiche, ad esempio nel caso la popolazione di razza sia diventata troppo piccola.

«Un’altra misura introdotta prevede di mettere in riproduzione solo individui che hanno superato dei test genetici e clinici. Questo vale anche da noi per alcune razze, sebbene non sia obbligatorio: il cane può avere il pedigree anche senza essere stato sottoposto al test, ma solo chi vi è stato sottoposto ed è stato dichiarato sano può essere catalogato come “riproduttore selezionato“», spiega Gallicchio.

Questa strategia ha però dei limiti, perché rischia di creare nuovi colli di bottiglia che riducono la popolazione di razza. «Un test genetico per una malattia recessiva, come quello per la cistinuria nel terranova, dovrebbe consentire di non escludere alcun esemplare, dato che per evitare la nascita di cuccioli malati è sufficiente non siano fatti incrociare due individui portatori sani (e, ovviamente, due malati). Invece, si rischia che per la riproduzione selezionata siano accettati solo soggetti omozigoti sani (come è capitato in alcuni Paesi). Questo ha fatto sì che venissero esclusi moltissimi individui, e la popolazione ne è risultata impoverita. E l’erosione genetica è deleteria per la razza, perché l’unica possibilità per contrastarla è l’incrocio con una razza simile o, nei rari casi in cui è possibile, con la popolazione aborigena, come avvenuto negli Stati Uniti con il basenji».

«Dal mio punto di vista, le razze rappresentano un bacino prezioso di cani che hanno caratteristiche di prevedibilità morfologica e comportamentale e sono parte della nostra storia», conclude Gallicchio. «Ma dobbiamo imparare a capire quando esageriamo, quando stiamo facendo un errore di valutazione su caratteristiche chiaramente svantaggiose ma che abbiamo imparato ad amare o accettare, e dunque non riusciamo a riconoscere come tali».


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Fotografia: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.