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Perché sul ghiaccio si scivola?

Può sembrare una domanda banale, eppure si tratta di un fenomeno poco studiato, che ha offerto risposte inaspettate agli scienziati: sembra che sulla superficie si formi uno strato di acqua più viscosa del normale, più sottile di quanto ci si aspetterebbe, che in qualche modo assomiglia alla granita.

Non sono molti i fisici e gli scienziati dei materiali, eppure tutti abbiamo sperimentato almeno una volta – qualcuno magari è stato pure recidivo – che il ghiaccio è scivoloso. È una verità lampante, non penso che a qualcuno verrebbe in mente di negarlo, tuttavia sembra essere un fenomeno davvero poco studiato. Questa proprietà del ghiaccio è stata generalmente attribuita alla formazione di un sottile strato di acqua allo stato liquido formatosi a causa dell’attrito: il suo spessore, però, è rimasto per lo più sconosciuto, mentre le sue proprietà – e addirittura la sua esistenza – sono state a lungo motivo di dibattito. Per di più, considerato che l’acqua è riconosciuta come un mediocre lubrificante, in che modo questo film liquido dovrebbe ridurre l’attrito e rendere il ghiaccio scivoloso?

Se ci soffermiamo un momento a pensare, in effetti il ghiaccio è l’unico solido scivoloso. Purtroppo la spiegazione non può essere solo nel cambiamento di stato – ad altri solidi non succede. Se prendiamo come esempio il raffreddamento del magma in rocce, sembra che queste ultime non si prestino molto al pattinaggio. E non basta che il materiale sia freddo: possiamo passeggiare quanto vogliamo sul cemento quando le temperature sono molto rigide, ma di sicuro non rischiamo di scivolare. Una vecchia teoria prevedeva che la pressione – causata dalla presenza del nostro peso sul ghiaccio – provocasse lo scioglimento di un sottile strato d’acqua, ma, come spiegato da Mischa Bonn, direttore del Molecular Spectroscopy Department al Max Planck Institute for Polymer Research in Germania, “La pressione dovrebbe essere così elevata, che non potrebbe essere raggiunta nemmeno mettendo un elefante sui tacchi alti”. Un’immagine suggestiva, ma che sicuramente poco si avvicina agli oggetti che normalmente vediamo scivolare su questa superficie così insidiosa. Secondo un’altra teoria, il calore generato dall’attrito quando ci si muove sul ghiaccio forma quello strato d’acqua. Eppure, come avrà imparato a sue spese chiunque abbia provato a stare fermo con i pattini per la prima volta, il ghiaccio non è scivoloso solo quando ci si muove…

Ascoltare le forze in gioco per capire la scivolosità

Per dare una risposta a un quesito rimasto irrisolto per così lungo tempo, i ricercatori del Laboratoire de physique dell’École normale supérieure, del Centre national de la recherche scientifique, dell’Università di Parigi e della Sorbona, in collaborazione con un gruppo del Laboratoire d’hydrodynamique, hanno sviluppato un dispositivo, dotato di un diapason – simile a quelli utilizzati in campo musicale – in grado di “ascoltare” le forze in gioco durante lo scivolamento sul ghiaccio con precisione straordinaria. Malgrado le dimensioni dello strumento non siano indifferenti (è grande alcuni centimetri) per misurare delle grandezze così piccole, è abbastanza sensibile da sondare il ghiaccio e analizzare le proprietà dell’attrito su una scala nanometrica. Grazie a questo congegno unico, gli scienziati sono stati in grado di dimostrare per la prima volta che l’attrito genera davvero un sottile film di acqua liquida.

Ma non si sono fermati qui: ne hanno anche misurato lo spessore, che è risultato compreso tra qualche centinaio di nanometri e un micron. Tanto per farsi un’idea delle dimensioni di cui stiamo parlando, il diametro medio di un capello è di 72 micron, quindi questo strato d’acqua è spesso anche meno di un centesimo di un capello. Si è trattato di una sorpresa, perché è molto meno di quanto si supponesse teoricamente. In più, non è nemmeno corretto dire che si tratta di semplice acqua: questo film è formato da un’acqua che è viscosa come l’olio, con proprietà viscoelastiche complesse. Questo comportamento inaspettato suggerisce come il ghiaccio superficiale non si trasformi completamente in acqua allo stato liquido, ma consista in uno stato misto simile a quello della granita, un misto di acqua gelata e ghiaccio tritato.

Il mistero dietro tutti i “tuffi” su ghiaccio della nostra vita, perciò, dovrebbe essere la natura viscosa di questo strato d’acqua. Questi risultati, pubblicati sulla rivista Physical Review X, mostrano come sia necessaria una revisione della descrizione teorica per l’attrito su ghiaccio: la presenza di proprietà inusuali nell’acqua di disgelo non erano mai state prese in considerazione finora. Ed è facile capire come questo non sia solo un problema teorico: capire meglio il funzionamento di questo fenomeno, oltre a dare un senso al nostro dolore post-caduta, può essere molto utile per raggiungere miglioramenti tecnici o modificare l’attrezzatura negli sport invernali, o per sviluppare pneumatici migliori in grado di evitare alle nostre auto di slittare.


Leggi anche: Perché è importante studiare il ghiaccio?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.