SALUTE

I livelli di BPA nelle microplastiche sono molto sottostimati

Un metodo più accurato per misurare i livelli di BPA mostra che l'esposizione giornaliera è fino a 44 volte maggiore di quanto pensassimo.

Un articolo pubblicato su The Lancet Diabetes and Endocronology fornisce la prima evidenza scientifica che le misurazioni della presenza di sostanze tossiche in alcune microplastiche da parte delle agenzie regolatorie, inclusa la Food and Drug Administration americana, sono imperfette. I ricercatori della Washington State University hanno sviluppato un metodo più accurato per misurare i livelli di bisfenolo A (BPA), nell’uomo scoprendo che i livelli di esposizione sono fino a 44 volte superiori di quanto finora ritenuto. Lo studio è stato finanziato dal National Institutes of Health americano.

Questa molecola ad alta produzione (si stimano circa 9 milioni di tonnellate l’anno di BPA) viene utilizzata in un’ampia gamma di prodotti di consumo come plastica e resine, tutte sostanze a cui l’essere umano è esposto giornalmente. Diversi studi sperimentali ed epidemiologici hanno fornito negli ultimi anni prove convincenti di un nesso causale tra la crescente esposizione a queste sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino e l’aumento delle malattie non trasmissibili, compresi la maggior parte degli aspetti della sindrome metabolica. Studi condotti sugli animali hanno dimostrato il BPA può interferire con gli ormoni del corpo. In particolare, l’esposizione fetale al BPA è stata collegata a problemi di crescita, metabolismo, comportamento, fertilità e rischio di cancro.

BPA e rischi per la salute

Tuttavia, i rischi per la salute posti dal BPA emersi dagli studi sperimentali sono stati considerati come controversi dagli enti regolatori, perché i risultati più allarmanti non sono stati corroborati da tutti gli studi condotti sulla tossicità. Questa mancanza di conferma ha portato alla convocazione nel 2012 del consorzio che collega conoscenze accademiche e normative sulla tossicità del BPA (CLARITY-BP).
Questo studio è stato quindi progettato per determinare la base della discrepanza nei risultati su modelli animali. I dati di CLARITY forniscono prove di effetti avversi significativi alla dose minima esaminata (2,5 μg/kg al giorno), molto inferiore alla soglia solitamente considerata il limite giornaliero da non superare per effetti avversi (5000 μg/kg al giorno). Tuttavia – spiegano gli autori – basandosi sul presupposto che l’esposizione umana al BPA è trascurabile, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense non ha finora tenuto conto degli effetti avversi a basse dosi emersi dai dati di CLARITY e di molti altri studi.

Le conclusioni delle agenzie su come regolare il BPA potrebbero essere basate su misurazioni imprecise

“Questo studio solleva serie preoccupazioni sul fatto che siamo stati abbastanza attenti alla sicurezza di questa sostanza chimica”, ha dichiarato Patricia Hunt, professore della Washington State University e prima autrice del documento. “Ciò che ne consegue è che le conclusioni delle agenzie su come regolare il BPA potrebbero essere basate su misurazioni imprecise“.

In precedenza, la maggior parte degli studi doveva fare affidamento su un processo indiretto per misurare i metaboliti del BPA, usando una soluzione enzimatica ricavata da una lumaca per trasformare i metaboliti in BPA, che poteva a quel punto essere misurato. Il nuovo metodo sviluppato da Roy Gerona, docente all’Università della California, a San Francisco è in grado invece di misurare direttamente i metaboliti BPA stessi senza utilizzare la soluzione enzimatica.

In questo studio i ricercatori hanno quindi confrontato i due metodi, prima con l’urina sintetica addizionata di BPA e poi con 39 campioni umani. Hanno trovato livelli molto più alti di BPA usando il metodo diretto, fino a 44 volte la media riportata dal National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES).

Il team di ricerca sta conducendo ulteriori esperimenti sulla misurazione del BPA e anche su altri prodotti chimici che potrebbero essere stati misurati in questo modo: fenoli ambientali, parabeni, benzofenone, triclosano presenti in alcuni cosmetici e saponi , ma anche ftalati trovati in molti prodotti di consumo tra cui giocattoli, imballaggi alimentari e prodotti per la cura personale. “La nostra ipotesi ora è che se questo è vero per BPA, potrebbe essere vero per tutte le altre sostanze chimiche la cui esposizione è stata finora misurata solo indirettamente”.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.