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Gli incendi in Australia mostrano che la nostra casa è in fiamme

Soltanto le piogge potranno domare le fiamme, ma alla siccità potrebbero seguire le alluvioni: sul destino del continente australiano incombe la minaccia dei cambiamenti climatici.

Gli incendi che stanno devastando il sudest dell’Australia hanno già mandato in fumo più di 8 milioni di ettari di suolo – circa dieci volte la superficie bruciata nel 2019 in Amazzonia – provocando un’emergenza senza precedenti che rischia di avere ripercussioni durature. Nei giorni scorsi le piogge hanno concesso una tregua ai soccorritori, stremati dal corpo a corpo quotidiano con fiamme alte fino a 70 metri, ma purtroppo è previsto un ulteriore aumento delle temperature. Il periodo più caldo dell’estate australiana è infatti atteso tra gennaio e febbraio, quando si hanno le ondate di calore più intense. E gli esperti temono che, alla fine, la superficie complessiva divorata dai roghi potrebbe addirittura raddoppiare.

Aspettando la pioggia

Con ogni probabilità gli incendi potranno essere domati soltanto con l’arrivo delle piogge intense di fine estate, ma è difficile sapere quando accadrà. I cambiamenti climatici hanno scompigliato le carte e rendono sempre più complicato il compito di fare previsioni. «Siamo in un territorio sconosciuto», ha dichiarato Gladys Berejiklian, premier del Nuovo Galles del Sud, dove gli incendi minacciano anche cittadine che in precedenza non erano mai state colpite dal fuoco.

Secondo l’Ufficio Meteorologico dello stato di Victoria, del resto, gli incendi sono così estesi che possono persino influenzare il tempo atmosferico, scatenando temporali che, anziché domare gli incendi, finiscono per innescarne altri per effetto dei fulmini.

Come se non bastasse, quando finalmente arriveranno le piogge, potrebbero portare nuovi guai. Molto spesso, infatti, lunghi periodi di siccità su scala continentale sono seguiti da precipitazioni torrenziali e inondazioni. È accaduto già nel 2009, quando a un periodo prolungato di siccità seguirono due anni di piogge eccezionali. Nel prossimo futuro il rischio idrogeologico sarà inoltre amplificato dall’assenza di copertura vegetale sui terreni colpiti dagli incendi, che lasciano il suolo spoglio e privo di un’importante protezione dalle alluvioni e dall’erosione.

L’alternanza esasperata di siccità e inondazioni, violenti incendi e alluvioni, è del resto il marchio di fabbrica dei cambiamenti climatici. Seppure in modo tragicomico, la spada di Damocle che pende sull’Australia è stata ben esemplificata dal primo ministro Scott Morrison, quando nel discorso di Capodanno ha affermato che «nonostante la siccità, gli incendi e le inondazioni, l’Australia resta un Paese meraviglioso, il miglior Paese dove far crescere i bambini».

La tempesta perfetta

Nel clima arido del continente australiano gli incendi estivi sono ricorrenti e hanno un ruolo importante nel regolare gli equilibri ecosistemici del bush. Ma secondo tutti gli esperti, la violenza del fenomeno che gli australiani stanno subendo si può spiegare soltanto come effetto del riscaldamento globale.

Sebbene le fiamme siano innescate dai fulmini o dall’azione umana (in modo involontario o doloso), sono le particolari condizione climatiche di questa stagione eccezionalmente arida a far sì che ogni principio di incendio possa trasformarsi in un rogo indomabile. Una siccità prolungata che perdura ormai da tre anni, temperature record che nel 2019 hanno fatto schizzare i termometri fino a 49°C, distese di piante secche a fare da combustibile e venti forti che possono spingere le fiamme più veloci di quanto riesca a correre un essere umano, sono gli ingredienti per una tempesta perfetta.

A loro volta, tuttavia, queste condizioni sfavorevoli sono il risultato di una concatenazione di fenomeni più complessi (ne abbiamo parlato qui) ma sempre riconducibili ai cambiamenti climatici. L’aumento della temperatura, anzitutto, che nel 2019 in Australia è stato di 1,5°C rispetto al periodo 1961-1990. Quindi l’intensificazione del cosiddetto Dipolo positivo dell’Oceano Indiano (IOD), un fenomeno che induce una differenza delle temperature superficiali del mare tra le metà orientali e occidentali dell’oceano, portando aria più umida sulle coste orientali dell’Africa e aria più secca sulle coste dell’Australia. E ancora: l’alterazione dei venti occidentali del Southern Annular Mode, responsabile della diminuzione delle piogge invernali sul continente australiano. Infine, un anomalo riscaldamento nella stratosfera che si è innescato alla fine di agosto sopra l’Antartide, spingendo altra aria calda e secca sull’Australia.

Del resto, già nel 2017, il gruppo intergovernativo di esperti sul clima delle Nazioni Unite (IPCC) aveva stabilito che il riscaldamento globale avrebbe aumentato l’intensità e la frequenza degli incendi in Australia. Una conclusione ribadita più volte e riportata anche nel report Climate Change and Land pubblicato dall’IPCC lo scorso agosto.

L’emergenza climatica è già qui

Secondo diversi osservatori, il rischio è stato sottovalutato anche per l’inerzia del governo conservatore guidato dal premier Scott Morrison. In un corsivo sul New York Times, lo scrittore australiano Richard Flanagan ha accusato Morrison di avere a cuore più gli interessi dell’industria dei combustibili fossili che la sicurezza della nazione. L’Australia è il principale esportatore mondiale di gas e carbone, che giocano un ruolo rilevante nell’economia nazionale. Il Paese si trova così nella paradossale condizione di essere tra le nazioni più vulnerabili alla crisi climatica e, al tempo stesso, tra quelle che più cercano di ostacolare gli accordi sulla riduzione delle emissioni.

Nel frattempo, il fumo degli incendi ha sorvolato l’oceano e raggiunto le coste occidentali dell’America latina. Già a Capodanno la CNN aveva documentato che, dopo un viaggio di oltre 2.000 chilometri, le ceneri si erano depositate sui ghiacciai della Nuova Zelanda, tingendoli di un inquietante color caramello. Secondo il primo ministro neozelandese Helen Clark, il colore più scuro aumenterà l’assorbimento del calore facendo fondere il ghiaccio più in fretta. Ma gli incendi australiani rischiano di aggravare anche la crisi climatica globale: secondo la NASA, sono già state emesse più di 300 milioni di tonnellate di CO2, un quantitativo pari alle emissioni australiane nel 2018.

 

Ma le immagini apocalittiche dell’Australia – una nazione ricca e organizzata messa in ginocchio dagli impatti devastanti del riscaldamento globale – sono diventate anche un simbolo di quel che attende il mondo intero se la crisi climatica non sarà affrontata, incarnazione perfetta di quella «casa in fiamme» assunta a metafora dai movimenti per il clima. Come ha scritto sul Guardian il celebre climatologo Michael E. Mann: «Agli australiani basta svegliarsi la mattina, accendere la televisione, leggere il giornale o guardare fuori dalla finestra per vedere ciò che a molti è ormai ovvio: i cambiamenti climatici sono già qui. L’Australia vive un’emergenza climatica. Sta letteralmente bruciando».


Leggi anche: Nei mari sempre più caldi, gli scenari peggiori sono già realtà

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: State Government Of Victoria Handout/EPA

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Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).