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SV2A, la proteina sinaptica deficitaria nella schizofrenia

I pazienti schizofrenici hanno connessioni sinaptiche alterate: in particolare, minori livelli di espressione di questa glicoproteina.

Perdita di contatto con la realtà, deliri, allucinazioni, deficit cognitivi (soprattutto legati alle capacità di pianificazione e di problem solving), ridotte manifestazioni emotivo-affettive, linguaggio e comportamenti disorganizzati che portano spesso alla compromissione della vita sociale, con ripercussioni sulle relazioni personali e sulla sfera lavorativa. Questi i principali tratti sintomatici della schizofrenia, un disturbo con una prevalenza mondiale stimata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità intorno all’1% e che, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia affligge circa 245.000 persone.

Diversi dati in letteratura indicano una forte componente genetica (predisposizione) accoppiata a una ambientale nel determinare l’insorgere della schizofrenia, ma la sua eziopatogenesi non è ancora del tutto chiara. È in questo importante filone d’indagine che si inserisce uno studio del London Institute of Medical Sciences pubblicato sulla rivista Nature Communications, che ha dimostrato un’alterata connessione sinaptica nei pazienti affetti da schizofrenia. In particolare, in questi pazienti si osservano minori livelli di espressione di una proteina, ubicata a livello delle sinapsi e chiamata SV2A (synaptic vesicle glycoprotein 2A), soprattutto nelle aree frontali della corteccia cerebrale, che sono quelle coinvolte nelle attività di pianificazione.

Già dai primi anni ’80 si è fatta largo l’ipotesi che la schizofrenia fosse causata da disfunzioni a livello delle sinapsi. Tuttavia, i ricercatori erano in grado di studiare queste alterazioni solo indirettamente, ad esempio in modelli cellulari, animali o attraverso analisi post-mortem.

Trovare la densità delle terminazioni sinaptiche utilizzando l’imaging cerebrale dal vivo

Attraverso questa tipologia di studi SV2A era già stata identificata come un buon marcatore della densità delle terminazioni sinaptiche (e quindi del livello generale di connessione delle cellule nervose in una porzione definita della corteccia cerebrale). Ora, grazie ai più recenti sviluppi nel campo delle tecniche di imaging cerebrale, è stato possibile studiarne la distribuzione dal vivo: il gruppo di ricerca che ha effettuato lo studio si è infatti avvalso della tomografia ad emissione di positroni (PET), una tecnica di medicina nucleare in grado di definire in maniera precisa, sicura e non invasiva funzionalità e metabolismo di tessuti e organi.

Il funzionamento della PET si basa sull’iniezione di un tracciante, un radiofarmaco formato dall’unione di una molecola metabolicamente attiva (che si lega quindi selettivamente a un bersaglio molecolare presente nel tessuto/organo di interesse) con un radioisotopo a vita breve (che, decadendo, emette un positrone percepito come segnale dallo scanner della PET).

Lo sviluppo di questi traccianti, soprattutto per quanto riguarda la molecola metabolicamente attiva (quella che si connette, come una chiave, all’elemento che si vuole analizzare) non è per niente banale, e richiede anni di sviluppo: “Il nostro laboratorio, afferente al Medical Research Council, è uno dei pochi posti al mondo in cui è disponibile questo nuovo tracciante – spiega infatti il Professor Oliver Howes, che ha guidato la ricerca- il che ci ha permesso di identificare per la prima volta livelli inferiori di questa proteina sinaptica in pazienti affetti da schizofrenia [18 in totale, i cui dati sono stati comparati con quelli di altrettanti volontari sani]. Questo suggerirebbe che la perdita di sinapsi possa rappresentare un substrato eziopatogenico per lo sviluppo di questo disturbo psichiatrico”.

I pazienti che sono stati sottoposti alle analisi PET erano tutti in cura con farmaci antipsicotici, per cui era fondamentale, per il gruppo di ricerca, escludere che tali medicinali potessero essere la causa della ridotta concentrazione di SV2A e di sinapsi. Per questo è stato fatto uno studio complementare su modelli animali (ratti), a cui per 28 giorni sono stati somministrati due farmaci antipsicotici molto diffusi (aloperidolo e olanzapina), senza tuttavia riscontrare alcuna variazione significativa nei livelli di SV2A. Le attuali strategie terapeutiche a disposizione sono un altro punto molto delicato per la schizofrenia: “i trattamenti attualmente utilizzati mirano solo a un aspetto della patologia, i sintomi psicotici; ma molti sintomi cognitivi debilitanti, come la perdita delle abilità di pianificazione e di quelle mnemoniche, spesso causano disabilità a lungo termine ben maggiori – continua Howes- ad oggi, non esiste un trattamento per questi sintomi, ma crediamo che la perdita delle sinapsi possa rappresentarne la causa”.

Ecco allora che studi come questo, in grado di fare luce su come la straordinaria, complicatissima ed efficiente rete di connessioni presente nel nostro cervello venga alterata, sono cruciali nell’identificazione di nuovi bersagli terapeutici (come la stessa SV2A) in grado di ristabilire la funzionalità sinaptica: “il nostro prossimo obiettivo è infatti quello di ripetere questo tipo di analisi in pazienti più giovani, in modo da vedere come i livelli sinaptici cambiano nelle diverse fasi che caratterizzano la malattia, se sono presenti dall’inizio o al contrario si sviluppano gradualmente nel tempo”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.