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Il coronavirus di Wuhan allarma il mondo

Un nuovo virus emerso in Cina preoccupa le autorità sanitarie internazionali, ma l'incertezza sulle modalità di trasmissione non consente di prevedere quel che accadrà.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non ha ancora deciso se dichiarare l’emergenza internazionale per l’epidemia scoppiata a fine dicembre a Wuhan, una città di 11 milioni di persone nella provincia cinese di Hubei. Le incertezze sulla diffusione e sulla pericolosità del nuovo virus hanno indotto l’OMS alla cautela. Il provvedimento sembrava scontato dopo che lo scorso 20 gennaio il celebre pneumologo Zhong Nanshan aveva svelato che il virus può trasmettersi anche da persona a persona, rendendo più concreto il rischio di una pandemia. Nel frattempo il governo cinese ha aggiornato il bilancio provvisorio: 571 casi confermati e 17 vittime. Ecco tutto quel che bisogna conoscere per capire cosa sta succedendo.

Cosa sappiamo (e cosa non sappiamo) del virus

All’origine dell’epidemia c’è un virus mai circolato in precedenza tra gli esseri umani, indicato in via provvisoria con la sigla 2019-nCoV. Più nello specifico, si tratta di un coronavirus, un genere di virus a RNA che può causare sindromi respiratorie e polmoniti. I primi contagi si sono verificati al mercato del pesce di Wuhan, dove si vendono anche animali selvatici vivi.

L’ipotesi è che il virus sia stato trasmesso agli sfortunati avventori da un animale infetto, ma ancora non è noto a quale specie appartenga. Si ipotizza che il patogeno possa essere passato dai pipistrelli ai serpenti e dai serpenti a noi(*). La maggior parte delle malattie umane si sviluppa negli animali e diverse specie – dai polli ai suini, ma anche pipistrelli, zibetti e altre specie meno comuni – possono fungere da serbatoio biologico di patogeni pericolosi. Con una certa frequenza, i virus di origine animale riescono infatti a fare un salto di specie adattandosi al nostro organismo.

Oggi si conoscono sette coronavirus capaci di infettare gli esseri umani. Il più famoso è quello della SARS (Severe Acute Respiratory Sindrome), comparso in Cina nel 2003. La SARS ha infettato oltre 8.000 persone causando 774 decessi in una trentina di Paesi. Nel 2012 il coronavirus della MERS (Middle East Respiratory Syndrome) è invece circolato in Medio Oriente provocando circa 2.500 contagi e 858 vittime.

Gli esperti non sanno ancora prevedere come evolverà la nuova epidemia perché le informazioni disponibili sono insufficienti. Il fatto che il numero delle vittime sia relativamente basso rispetto a quello dei contagi, e che le prime persone decedute siano anziani già affetti da altre patologie, lascia sperare che il virus possa essere meno letale di quello della SARS e della MERS. Inoltre, per contrarre il virus sembra necessario un contatto stretto con un individuo infetto e questo riduce le probabilità di trasmissione. Tuttavia l’incertezza è ancora troppo elevata per azzardare quali saranno gli sviluppi.

Il virus ha già varcato i confini cinesi?

Nonostante si siano già registrati alcuni casi anche in Giappone, Thailandia, Corea del Sud e Stati Uniti, tutte le persone contagiate hanno contratto la malattia durante un soggiorno a Wuhan. Per il momento, dunque, il nuovo virus circola soltanto in Cina. Il governo di Pechino ha annunciato misure straordinarie per evitare un aumento dei contagi durante le festività del Capodanno cinese, che nei prossimi giorni spingerà milioni di persone a mettersi in viaggio. Il sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, ha invitato a tenersi alla larga dalla città, annullando tutte le iniziative previste per le festività di capodanno e sospendendo i trasporti pubblici. Da oggi la città è isolata.

Per limitare il rischio che i viaggiatori provenienti dalla Cina possano diffondere il virus in altri Paesi, molti aeroporti internazionali hanno intensificato i controlli. Nello scalo romano di Fiumicino, che offre un collegamento diretto con Wuhan, era stato predisposto uno scanner per misurare la temperatura corporea delle persone in arrivo, ma ora che i voli sono stati sospesi non servirà più. Nel frattempo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha alzato il livello di rischio da basso a moderato.

Ci sarà una pandemia?

L’OMS definisce pandemia (dal greco antico pan-demos, “tutto il popolo”) la diffusione di una malattia contagiosa in diverse aree geografiche del pianeta. Affinché ciò accada devono verificarsi due condizioni: la comparsa di un nuovo agente patogeno mai circolato prima fra gli esseri umani e dunque sconosciuto al sistema immunitario della maggior parte della popolazione; la capacità dell’agente infettivo di trasmettersi con facilità da persona a persona.

Per il coronavirus di Wuhan, la prima condizione è soddisfatta, mentre la seconda è ancora incerta, anche se, come anticipato, la trasmissione tra persone sembra essere sporadica. Tuttavia, poiché i virus mutano molto in fretta, non si può escludere che possa emergere un ceppo in grado di trasmettersi in modo più efficace e scatenare una pandemia, come ha ammesso anche la Commissione sanitaria nazionale cinese.

È importante notare che la definizione dell’OMS non fa riferimento alla gravità dell’epidemia, cioè al numero di vittime, ma solo alla diffusione del patogeno. L’esito di una pandemia può dunque risultare più o meno severo al variare del tasso di letalità dell’agente infettivo, definito come la percentuale di decessi rispetto ai contagi.

Come si prepara all’emergenza l’OMS?

L’OMS è l’agenzia di riferimento delle Nazioni Unite per la gestione del rischio pandemico. Sovraintende la rete di sorveglianza globale che monitora l’emergere e la diffusione degli agenti patogeni pericolosi, rende disponibili informazioni aggiornate sull’evoluzione delle epidemie e coordina gli interventi per limitare la diffusione del contagio. Sebbene la gestione dell’emergenza spetti ai singoli Stati, l’OMS mantiene un ruolo strategico nel pianificare le misure di prevenzione e e offre assistenza alle nazioni colpite.

Lo scorso marzo l’OMS ha reso pubblico il nuovo piano strategico per la gestione delle epidemie influenzali, chiamato Global Influenza Strategy 2019-2030 e basato su due obiettivi: rafforzare le capacità di sorveglianza e di intervento di ogni Stato, assicurando l’efficacia dei programmi nazionali di gestione del rischio al fine di contribuire alla sicurezza globale; sviluppare strumenti più efficaci contro le malattie infettive, inclusi nuovi vaccini, antivirali e trattamenti sanitari accessibili anche ai Paesi con meno risorse.

Nel presentare la nuova strategia, il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha speso parole quanto mai attuali: «La minaccia di una pandemia influenzale è sempre presente e il rischio è reale. La questione non è se avremo un’altra pandemia, ma quando. Dobbiamo essere vigili e preparati: il costo di un’epidemia grave supera di gran lunga quello della prevenzione».

Cosa possiamo fare per proteggerci?

Poiché il virus non è presente in Italia, al momento il Ministero della Salute si limita a sconsigliare i viaggi nelle regioni cinesi colpite dall’epidemia. Se entro due settimane dal rientro da una trasferta in Cina dovessero manifestarsi i sintomi tipici della malattia (febbre, tosse, difficoltà respiratorie), occorre avvisare subito il medico. Al momento non sono disponibili trattamenti specifici contro il nuovo virus, mentre lo sviluppo di un vaccino richiederà mesi.

Nelle aree colpite dal virus, le autorità sanitarie cinesi hanno diffuso una serie di raccomandazioni: non recarsi nei mercati che vendono alimenti freschi, lavarsi spesso le mani con il sapone, evitare contatti con persone che presentano i sintomi della malattia, cuocere bene la carne e lavare accuratamente frutta e verdura. Si tratta di precauzioni piuttosto generiche perché le esatte modalità con cui si trasmette il virus sono ancora sconosciute.

Perché emergono sempre nuovi virus?

Gli ultimi decenni sono stati segnati dall’emergere di nuovi ceppi virali – dall’HIV alla SARS, dall’ebola all’influenza aviaria – in grado di superare barriere geografiche un tempo insormontabili e trasformarsi rapidamente in minacce internazionali. Può apparire un paradosso, ma la modernità e la globalizzazione offrono nuove opportunità di diffusione agli agenti patogeni: megalopoli sovraffollate che si estendono anche in zone un tempo remote, aumentando le probabilità di entrare in contatto con virus sconosciuti; maggiore facilità di spostamento per merci e persone, che consentono una più rapida diffusione delle epidemie; allevamenti intensivi di animali che fungono da incubatori per nuovi virus e mercati affollati dove gli avventori possono entrare in contatto con animali infetti; un ambiente più favorevole per gli insetti e altri vettori animali creato dal riscaldamento globale. Gli agenti infettivi mutano incessantemente adattandosi a un ambiente che noi stessi contribuiamo a modificare, perciò non sorprende che la lista dei patogeni in grado di scatenare una pandemia debba essere continuamente aggiornata.

Il governo cinese nasconde le informazioni?

Dopo l’esperienza negativa vissuta nel 2003 con la SARS, quando il governo cinese ritardò le informazioni sull’epidemia per paura delle ripercussioni economiche, la pressione internazionale ha indotto le autorità di Pechino ad assicurare la massima collaborazione. Il governo cinese ha inoltre minacciato punizioni severe per i funzionari che dovessero nascondere informazioni sull’epidemia. Finora l’OMS ha lodato la collaborazione offerta dal governo cinese e le misure prese per contenere il contagio.

La trasparenza delle informazioni è ritenuta fondamentale nella gestione dei rischi e costituisce un caposaldo anche nelle strategie dell’OMS, che incoraggia la massima condivisione delle conoscenze. Come riportano le linee guida per la comunicazione delle emergenze pandemiche, l’OMS considera la comunicazione uno strumento essenziale per limitare il diffondersi di una pandemia e, in definitiva, per salvare vite umane.

Ma per essere realmente efficace, la comunicazione deve essere tempestiva, fornendo informazioni anche quando le conoscenze disponibili sono ancora incerte o incomplete, poiché ritardare l’allarme e rinviare gli interventi può aggravare le conseguenze; dialogica, cioè aperta all’ascolto, per conoscere rispondere ai bisogni informativi del pubblico; e appunto trasparente, per mantenere quel rapporto di fiducia necessario affinché l’OMS possa svolgere il ruolo di guida credibile nell’emergenza. L’epidemia in corso metterà alla prova una volta di più questi principi fondamentali.

(*) Frase aggiunta dopo la pubblicazione dell’articolo


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Giancarlo Sturloni
Sono un giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio. Svolgo attività di comunicazione, formazione e consulenza in campo sanitario e ambientale. Sono co-fondatore del collettivo NatCom - Communicating nature, science & environment di Trento. Insegno Comunicazione del rischio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, all’Università degli Studi di Udine e all'Università degli Studi dell'Insubria. Sono autore di diversi libri tra cui "La comunicazione del rischio per la salute e per l'ambiente" (Mondadori Università, 2018) e "Il pianeta tossico" (Piano B, 2014). Con Daniela Minerva ha curato il volume "Di cosa parliamo quando parliamo di medicina" (Codice, 2007).