AMBIENTE

Xylella: un documentario rilancia le tesi “alternative”

Un recente docufilm, proiettato in giro per l’Italia, ridà visibilità alle teorie del complotto che aleggiano intorno all’epidemia degli olivi pugliesi

Secondo le stime dei ricercatori impegnati a contrastarla, sono ormai più di dieci anni che il batterio Xylella fastidiosa è giunto nel territorio pugliese, espandendosi in modo lento e incontrastato a partire dalla costa ionica salentina. Ed è dal 2013 che si è riusciti a dare il suo nome – quello di Xylella, appunto – all’agente patogeno causa dello spaventoso disseccamento dell’olivo, una specie che caratterizza il paesaggio pugliese e ne rappresenta anche una fondamentale risorsa economica. L’impatto di Xylella fastidiosa sugli oliveti salentini è stato devastante, come è immediatamente evidente a chiunque abbia modo di visitare le zone dove la batteriosi è in azione.

L’importanza della comunicazione

Nel contesto della vicenda Xylella, come in tutte quelle che coinvolgono dinamiche politiche, amministrative e giudiziarie e in cui l’elemento scientifico è solo uno dei tanti in uno scenario complesso, la questione della comunicazione ha fin da subito rappresentato un fattore critico. Comunicare la scienza non è mai semplice ed è particolarmente difficile quando ci si trova ad affrontare questioni in rapido divenire, che coinvolgono interessi e visioni contrapposte. Ma una comunicazione metodologicamente corretta è essenziale perché può contribuire a influenzare decisioni i cui effetti ricadono sull’intera comunità. Non sembra rispecchiare i canoni della corretta divulgazione un recente docufilm dal titolo Legno Vivo, frutto di un progetto indipendente finanziato anche con libere donazioni. Dopo la presentazione a Roma, vengono regolarmente organizzate delle proiezioni in Puglia e in altre regioni, animando un intenso dibattito che è di recente stato ripreso dalla stampa nazionale.

Le tesi del documentario

Le tesi sostenute non rappresentano una novità nel campo delle cosiddette “teorie alternative” alla “verità ufficiale” sul caso Xylella fastidiosa. Il nucleo di fondo è rappresentato dalla messa in dubbio dei dati scientifici emersi nel corso degli anni attraverso l’attività dei ricercatori che studiano l’epidemia. Secondo gli autori, il disseccamento rapido dell’olivo non sarebbe dovuto principalmente a Xylella fastidiosa, che sarebbe presente solo in una minoranza sparuta delle piante coinvolte. L’epidemia viene indicata con la denominazione, caduta in disuso in ambito scientifico, di CoDiRO (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo), che la fa apparire come un problema multifattoriale. La principale causa viene individuata nella gestione dell’agricoltura moderna, che avrebbe impoverito i terreni e messo in pericolo la salute delle persone e la sopravvivenza degli oliveti monumentali, attraverso l’uso massiccio di agrofarmaci potenzialmente molto pericolosi. All’origine di tutto ci sarebbe un torbido intreccio di interessi con motivazioni sostanzialmente economiche, che troverebbe un avallo nelle affermazioni degli scienziati, presentate come poco fondate.

Se, da una parte, la valutazione di interessi economici e politici nella vicenda Xylella esula completamente dai nostri scopi, è però facile notare come la presentazione della questione scientifica, che fornisce le basi alla tesi espressa, contenga alcuni equivoci di fondo. Per i singoli rilievi alle questioni tecniche, si può rimandare al botta e risposta di recente pubblicato su Terra e Vita. Al netto del tono e del lessico che possono non essere condivisi, i dati scientifici sembrano illustrati in modo corretto. Le ragioni che rendono Legno Vivo un docufilm che non fa buona comunicazione della scienza sono diverse.

Il tono emotivo e le “tinte forti”

La narrazione fortemente emotiva, a tratti anche poetica (un elemento che può anche essere apprezzato in sé, come scelta artistica, che non discutiamo) appare finalizzata a far cogliere nessi causa-effetto arbitrari, come quello tra uso degli agrofarmaci e disseccamento degli olivi, e a presentare come inaffidabile l’attività degli scienziati. Lo spettatore è indotto, dall’impatto emotivo della narrazione, a “unire i puntini” o a dubitare dei nessi causali da tempo evidenziati dalla scienza, come quello tra batterio e disseccamento.

L’uso tendenzioso dei dati

C’è un costante uso tendenzioso dei dati del monitoraggio dell’infezione, adoperati per scopi diversi da quelli per cui sono stati raccolti. Il monitoraggio ha lo scopo di delimitare i confini del contagio e viene condotto, in alcune specifiche aree, solo a questo scopo. Adoperarne le risultanze per evidenziare quanti sarebbero gli olivi colpiti e per negare il collegamento Xylella-disseccamento non ha senso. In sede di serio dibattito scientifico, non risultano smentite sul fatto che gli olivi del Salento siano vittime proprio di questo batterio.

Il complottismo

I moduli comunicativi usati ricalcano quelli tipici delle “teorie del complotto”, partendo dal presupposto dell’esistenza di verità ufficiali che vengono calate dall’alto e di una minoranza di oppositori indipendenti che hanno il coraggio di andare contro loschi interessi e che rimangono inascoltati, con conseguente pericolo per la collettività. L’uso di questi stereotipi non ci meraviglia. Per ragioni che la biologia evoluzionistica spiega bene, la tendenza al complottismo è connaturata all’essere umano ed è per questo che la buona comunicazione della scienza dovrebbe evitare di cadere in questo errore, facendo, di fatto, giornalismo a tesi.

L’ingannevole principio di autorità

Il fitto elenco delle persone intervistate nel documentario e la citazione dei loro titoli accademici e delle relative competenze ha lo scopo di conferire autorevolezza alla tesi di fondo che viene sostenuta. A questo proposito, è importante ricordare come nella scienza il principio di autorità non abbia alcun valore. Sarebbe fin troppo facile evidenziare i passati errori di alcuni tra gli intervistati o sottolineare l’arbitrario accostamento di personaggi che sostengono posizioni diverse (in alcuni casi, a dispetto di quanto si vorrebbe far credere, anche del tutto allineate a quelle della comunità scientifica). Il rilievo più importante è il fatto che il dibattito scientifico è frutto di una comunità che si confronta su pubblicazioni che adoperano il metodo della peer review. Non è, inoltre, il singolo studio ma l’insieme dei dati raccolti dai vari studi a completare lentamente il quadro di un fenomeno esaminato. Chi volesse far sentire la propria voce discorde può farlo nei canali preposti e sottoporsi al giudizio dei colleghi. Il richiamo a una “verità scientifica imposta” non appare in alcun modo giustificato, ma è ricorrente nella narrazione di stampo antiscientifico. Tra gli esempi più recenti si può vedere quello del caso Stamina.

Le conseguenze della disinformazione

Conseguenza dello spazio crescente dato a questo tipo di narrazione è l’ulteriore ritardo nell’applicazione delle norme di contenimento e, in generale, delle raccomandazioni che la ricerca scientifica ha riconosciuto come strategie efficaci per convivere con l’infezione nelle aree in cui essa è stabilmente insediata. Difficile capire come questo possa essere presentato come modo per difendere gli oliveti. Sicuramente una verifica più accurata delle fonti da parte dei media che hanno fatto da acritica cassa di risonanza al documentario sarebbe stata una scelta più saggia.


Leggi anche: Xylella è in provincia di Bari. Quali strade per contenerla?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

Condividi su
Anna Rita Longo
Insegnante, dottoressa di ricerca e science writer. Membro del board di SWIM - Science Writers in Italy e socia effettiva del CICAP - Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze