RUBRICHESTRANIMONDI

Le pandemie sullo schermo

Una carrellata di trasposizioni cinematografiche e televisive di epidemie in salsa fantascientifica per indagare l'immaginario legato ai virus

Da sempre i virus letali offrono uno strumento narrativo potente, impiegato in mille modi da autori di epoche diversissime. Almeno per averli incontrati durante il nostro percorso scolastico, ci dovremmo se non altro ricordare del Decamerone di Giovanni Boccaccio, una raccolta di novelle che dieci ragazzi e ragazze della Firenze bene si inventano per scacciare la noia dell’isolamento in campagna per sfuggire alla peste del 1348. O almeno del ruolo che gioca ne I Promessi Sposi la peste che ha colpito Milano nel 1630, con le autorità spagnole che, secondo Alessandro Manzoni, avevano un po’ preso sotto gamba l’emergenza. (Se volete farvi un’idea della questione da un punto di vista storico potete anche leggere il saggio, sempre di Manzoni, Storia della colonna infame che racconta il processo a due presunti untori, oppure potete vedere il film che nel 1973 Nelo Risi ne ha tratto).

In questi giorni di grande attenzione mediatica sul coronavirus che ha colpito anche l’Italia, seguita attentamente da Giancarlo Sturloni, siamo andati a ripescare cinque film che si occupano di epidemie. La scelta è apparentemente sterminata, soprattutto nell’ambito più fantasy, dove i virus possono essere usati come arma o metafora di una invasione invisibile, e per questo molto più spaventosa di un esercito in marcia. Ne sono esempi La quinta onda di J Blakeson (2013) e Maze Runner: La Rivelazione di Wes Ball (2018).

Virus seriali

Terreno ancora più fertile per le epidemie si trova nel mondo delle serie tv. Per esempio, c’è una bellissima miniserie prodotta da National Geographic che soddisfa chi è alla ricerca di ricostruzioni storiche accurate. The Hot Zone, uscita lo scorso anno, racconta l’epidemia di ebola che ha colpito l’Africa centrale nel 1989. Dalla grande offerta per il piccolo schermo,  abbiamo selezionato solamente alcune serie di qualità.

Valgono sicuramente la pena le quattro puntate di L’ombra dello scorpione, la miniserie tratta nel 1994 dall’omonimo romanzo di Stephen King e impreziosita dall’ottima prova attoriale di Gary Sinise: un virus del tipo dell’influenza, ma più potente, scappa al controllo di un laboratorio di ricerca americano e rischia di far estingue l’umanità. Ovviamente partendo da una piccola cittadina del Maine. Guillermo Del Toro, premio Oscar per La forma dell’acqua, ha prodotto oramai quattro stagioni di The Strain, uscita per FOX anche in Italia. Si tratta di una serie horror che comincia con un misterioso volo che atterra negli Stati Uniti con tutti i passeggeri uccisi da un virus letale che ha a che fare con il vampirismo.

Sul fronte cinematografico, prima di continuare, una piccola nota. Abbiamo, infatti, escluso i film storici, perché ce ne sono molti con protagonista la peste (a cominciare da Il settimo sigillo di Ingmar Bergman), ma Stranimondi rimane una rubrica di fantascienza. Altra scelta arbitraria, ma secondo noi necessaria, abbiamo limitato a una scelta i film di zombie. L’uso degli zombie come simbolo di un morbo letale è in effetti molto usata, soprattutto in ambito horror. Basti ricordare la serie di film di Resident EvilThe Walking Dead, giusto per rimanere sui prodotti di maggior successo.

Contagion (Steven Sodeberg, 2011)

Beth è di ritorno da un viaggio di lavoro a Hong Kong. Si sente male: jet lag? Sintomi dell’influenza? Ricoverata, muore abbastanza velocemente di un’infezione virale sconosciuta. Comincia così questo film corale, sorretto da un cast spettacolare (Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet e Bryan Cranston), con cui Steven Sodeberg mette in scena il panico che si diffonde tra la popolazione (comprese le teorie del complotto), le procedure dei CDC americani e della comunità scientifica internazionale. Nemmeno la rapidità della diffusione, con gli occhi di oggi, sembra essere un’esagerazione rispetto alla realtà. C’è dentro tutto: l’influenza che viene dall’Asia, il senso di impotenza, la sensazione di combattere un guerra con armi inadeguate. La paura sorda che rimane dopo la visione del film è probabilmente il miglior complimento che si possa fare al suo regista.

Virus letale (Wolfgang Petersen, 1995)

Altro cast stellare per un classico del genere epidemico: Dustin Hoffman, Rene Russo, Kevin Spacey, Donald Sutherland e Morgan Freeman. La storia parte dalla cattura in Zaire di un scimmia che trasmette all’uomo una malattia simile a ebola, ma ancora più potente. Il film, ambientato negli anni Sessanta, paga pegno a qualche stereotipo sul ruolo dell’esercito americano e non è esente da una certa dose di colonialismo di ritorno. Al netto di questo, la vicenda epidemiologica è piuttosto solida e la parte di thriller politico internazionale farà piacere anche agli amanti dei film a sfondo complottista (non diciamo niente per non rovinare la visione…).

Io sono leggenda (Francis Lawrence, 2007)

Un’arma contro il cancro, il virus del morbillo geneticamente modificato,  è sfuggita al controllo delle autorità americane. Robert Neville (Will Smith) è uno dei pochi sopravvissuti alla pandemia che sembra aver ucciso la maggior parte della specie umana, eccezion fatta per l’1% che è risultato immune alla malattia. Tratto da un romanzo del 1964 dello scrittore americano Richard Matheson (uno che ha lavorato tantissimo anche per il cinema), è la terza trasposizione sul grande schermo di questa storia post apocalittica, qui riproposta con tinte a tratti horror. Al netto delle differenze rispetto alla storia originale, il film regge soprattutto per la capacità di Smith di gigioneggiare (ci sono momenti anche comici) in un film in cui è per lungo tempo l’unico attore in scena, magari assieme al cane Samantha.

World War Z (Marc Foster, 2013)

World War Z entra nella cinquina come rappresentante di tutti i film in cui l’infezione porta all’invasione degli zombie. Qui il ruolo di salvare il mondo è in mano a Gerry Lane (Brad Pitt) che deve andare alla ricerca per conto del governo americano di un virologo che forse ha la risposta per fermare l’epidemia. Tonnellate di scene d’azione, cervello messo abbastanza in letargo, però divertimento assicurato attorno agli stilemi del genere: scene di massa con gli zombie che cercano di scalare il muro divisorio, un’esercito non molto portato a pensare e che preferisce agire, il buon senso lasciato per un altro momento. Ambientato in larga parte in Asia centrale e in Medio Oriente può anche essere visto come metafora della guerra al terrorismo e, in questo caso, il virus invisibile che infetta potrebbe essere una non tanto velata metafora di tutte le idee anti-americane.

L’esercito delle 12 scimmie (Terry Gilliam, 1995)

James Cole (Bruce Willis) è un detenuto che, nella Terra del 2035, viene selezionato per tornare indietro nel passato e indagare sul virus che ha eliminato il 99% dell’umanità. E possibilmente impedirlo. Nel suo viaggio nel 1995 Cole si trova ad aver a che fare con un gruppo di ecologisti estremisti – l’esercito del titolo – che ritiene che l’umanità sia un cancro del pianeta e, pertanto, vada eliminata. Essendo, però, un film di Terry Gilliam, ovvero di uno dei Monty Python, il gioco tra presente, passato e futuro crea dei cortocircuiti al limite del surreale. Un altro elemento fondamentale è la pazzia. Cole, infatti, si ritrova a un certo punto della storia in un manicomio, dove i tranquillanti somministrati in dosi massicce portano a confondere realtà e fantasia, sanità mentale e follia.

In tutto questo sovrapporsi cervellotico di frammenti, c’è lo spazio anche per una citazione esplicita di Ignaz Semmelweis, ovvero dello scienziato asburgico che per primo capì che lavarsi le mani era una pratica igienica indispensabile per contenere la diffusione delle malattie. Jeffrey Goines (Brad Pitt), un paziente della clinica, è infatti scettico sull’esistenza dei microbi: «Nel XVIII secolo non esistevano! Nessuno aveva nemmeno immaginato un cosa simile – nessuno sano di mente, almeno. Poi arriva questo dottore… Semmelweis, mi pare, che cerca di convincere la gente… […] che esistono queste piccole “cose cattive” invisibili che possono entrare nel tuo corpo e ti fanno ammalare!»


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it