ANIMALIATTUALITÀ

Gli animali e le città: cosa racconta di noi Covid-19

Molti articoli sui giornali di tutto il mondo parlano della fauna che, in questi giorni di chiusura, sta curiosando nelle nostre città. Non sono tutti veritieri ma dicono molto del nostro stile di vita, facendo riflettere anche sul futuro che vorremmo.

Curiosi cervi passeggiano per le strade deserte della città di Nara, nugoli di scimmie sciamano nelle piazze vuote della bella Lopburi in Tailandia, alla ricerca del cibo di cui i turisti le hanno lasciate prive. Gruppi di capre del kashmir trotterellano per le strade del Galles e i panda dello zoo di Hong Kong, liberi dall’ansia dei turisti guardoni, ritrovano, dopo anni, l’intimità perduta. Ce n’è per tutti i gusti. La ‘penna’ di giornalisti, dall’Italia alla Nuova Zelanda, si è scatenata alla domanda ‘come reagiranno gli animali alla nostra forzata clausura? Come cambierà il panorama delle nostre città’? Ma la seconda domanda che tutto questo scrivere fa sorgere è: cosa stanno raccontando di noi questi articoli? Qual è la nostra visione del mondo? Quali sono le paure e i desideri che emergono da numero e contenuto di questi articoli?

“L’aria è più pulita, le strade sono più tranquille, si sente di nuovo il canto degli uccelli”, sono parole di bucolico stupore quelle che aprono molti degli articoli che, fra fantasia, realtà e pareri degli esperti cercando di costruire lo scenario faunistico del prossimo futuro. Uno scenario così lo abbiamo vissuto solo al cinema, dove però il fruscio del popcorn ci rassicurava su dove stesse la realtà.

Se un cambiamento nel comportamento della fauna ci sarà, dicono molti esperti, sarà temporaneo e sottile, coinvolgendo per lo più animali ‘urbani’ legati alle attività umane soprattutto per esigenze alimentari, o quelli che ‘si annidano’ alla periferia delle grandi città e dei sobborghi e che ora si sentono incoraggiati a esplorare. Inoltre, l’improvviso indebolimento della discontinuità ecologica rappresentata da strade e traffico certamente inviterà qualcuno a un attraversamento prima impossibile. Il vero cambiamento, leggendo gli articoli, sembra in realtà quello avvenuto in noi, non un cambiamento improvviso, ma il risultato di un processo avvenuto nel tempo ma che ha trovato nello shock generato dal Covid-19 l’occasione perfetta per esprimersi.

Semplificando: c’è una gran voglia di natura, ma in realtà la questione è più complessa. Analizzando il contenuto degli articoli si possono individuare due filoni principali: uno che chiameremo ‘idillio’ e l’altro che chiameremo ‘Jurassic Park. Al primo appartengono gli articoli di tono bucolico, dove germani, capre, cervi e coyote sono rappresentati come prigionieri che, non più sotto il controllo del carceriere umano, evadono, entrando fin nella jungla urbana per respirare libertà e spazi finora preclusi. Il vocabolario è poetico, gli animali diventano ‘creature’ che ‘gironzolano e giocherellano’, i cervi di Nara diventano ‘simili a Bambi’ e le immagini, che spesso riportano il tweet o il post di chi con occhi lucidi ha assistito all’invasione da dietro una finestra, sono il ritratto commosso di spettatori che trovano ‘bello vedere qualcosa di nuovo’ o godono di questa nuova occasione per ‘avvistare wildlife’. Gli animali diventano simbolo di un’agognata salubrità ambientale e di una dimensione perduta, quella della natura, che torna timidamente nella nostra vita. Suggestioni positive ispirate da chi vede ciò che improvvisamente si rende conto di desiderare.

Al filone ‘Jurassic Park’ appartengono, invece, articoli che suggeriscono scenari più inquietanti, dove gli animali diventeranno ‘aggressivi’ o si comporteranno ‘in modo strano’. Orde di leopardi, nugoli di scimmie e schiere di coyote affamati saranno pronti a ‘reclamare’ gli spazi urbani e ribaltare l’ordine costituito. Uomini e orsi ‘entreranno in un contatto più vicino di quanto l’una o l’altra specie siano abituate a fare’ in incontri dal dubbio esito. Un ‘disfacimento sistemico’ in cui ‘i primati fermano il traffico per rovesciare i camion pieni di cibo e i gabbiani invadono le case e i negozi di alimentari, alla maniera di Hitchcock’. Niente di nuovo d’altra parte: locuste, schieramenti ammonitori di uccelli, sciami di ratti hanno da sempre accompagnano le narrazioni di realtà distopiche. Gli articoli ‘Jurassic Park’ fanno leva su elementi dell’esperienza narrativa comune: dalla Bibbia a di Jumanji, dalle saghe nordiche al Pianeta delle scimmie o, appunto, a Jurassic Park. Una narrativa peculiare grazie alla quale abbiamo già sviluppato uno specifico sistema di paure. Il linguaggio è allarmistico, con suggestioni angosciose, senza mai però diventare catastrofico.

Quello che colpisce, comunque, è la sensazione che esprimano tutti se non un desiderio, quantomeno una sorta di curiosa aspettativa o una sorta di strana nostalgia. Da dove arriva? Perché in un momento così drammatico, tutto il mondo improvvisamente si ferma a guardare la passeggiata urbana di un germano? Diversi studi hanno dimostrato che l’urbanizzazione, fra le altre cose, ha acuito solitudine, depressione e isolamento sociale vanificando il senso e la necessità di gruppo e comunità in favore dell’individualismo. “La necessità di appartenenza sociale si è tradotta in una crescente motivazione a stabilire relazioni che però si è manifestata in un contesto modernizzato, dove gli stili di vita erano più impersonali” scrive il professor Manfredo della Colorado State University, in uno studio pubblicato su Biological Conservation lo scorso gennaio e dedicato al ruolo dell’antropomorfismo nella conservazione.

La modernità e il conseguente allontanamento dalla realtà naturale, sostiene l’autore dello studio, hanno avuto fra le conseguenze, l’accentuarsi della tendenza ad antropomorfizzare gli animali come risposta all’accresciuta necessità di contatto, inclusione e relazione che il nuovo stile di vita ha generato. Se ci pensiamo, il ruolo che gli animali domestici hanno nelle nostre vite radicalmente cambiato nel tempo di una sola generazione. “Più una persona sperimenta la solitudine, più è probabile che si impegni in un pensiero antropomorfo relativo agli animali” sostiene l’autore. E la città è il luogo perfetto per essere soli: favorendo uno stile di vita che allontana dal contesto naturale, infatti, allenta relazioni di cui, però, avvertiamo ancora il senso. Proiettando noi stessi sugli animali rispondiamo ai nostri bisogni e per contro, diventando più simili a noi, gli animali si vedono riconoscere diritti, dignità e capacità di provare emozioni e dolore, a lungo negati. Una visione che, se da un lato perde di senso realistico, getta le basi per un rapporto più egualitario e rispettoso – entro i limiti della ragionevolezza – e meno utilitaristico con l’universo animale che potrebbe rivelarsi un prezioso contributo alla nuova visione di coesistenza fra uomini e fauna.

Per divertimento, ho provato ad analizzare le parole di dieci articoli sulla reazione della fauna al lockdown, usciti su giornali online locali e internazionali di diverse parti del mondo. Risultato? Animals, wildlife, will, human, people, new, world, forest, sono state le parole più utilizzate. Lasciandosi andare alla spontanea associazione fra queste parole, emerge intuitivamente il messaggio che questi articoli sembrano volerci consegnare: siamo pronti a un nuovo scenario in cui la bilancia dell’equilibrio fra noi e la natura si sposta di più verso il piatto verde. I valori stanno cambiando, come suggerisce lo studio di Manfredo effettuato su 43.949 cittadini nord Americani, ma assimilabile probabilmente ad analoghi contesti giudeo/cristiano/atei del Nord del mondo.

Forse questa analisi è viziata da un desiderio personale, ma di certo questi giorni hanno rallentato il tempo delle nostre vite, e questo ci ha dato l’opportunità di osservare con occhi nuovi la vitalità che anima nostre città. Accogliamo con curiosità e stupore le ‘facce’ nuove che si avventurano per le nostre strade, mentre la presenza di quelle già note trova ora un suo nuovo senso. Sapremo farne a meno quando tutto questo finirà?

Quali siano le conseguenze di questo lockdown, faremmo bene a tenere sempre a mente le parole di Jeff Goldblum in Jurassic Park e godercele, ora più che mai: “La vita non si imprigiona. La vita si libera. La vita… trova sempre una strada”.


Leggi anche: Wilderness, cowboys e cartelli della droga

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia anteprima: Pixabay

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Anna Sustersic
Mi occupo di comunicazione scientifica legata principalmente a temi di conservazione della natura e attualmente collaboro in Tanzania con PAMS Foundation sviluppando un progetto dedicato all’uso della comunicazione per la promozione della coesistenza fra uomo a fauna selvatica. Dopo il dottorato in Scienze ambientali, ho ho conseguito un master in comunicazione della scienza presso la SISSA di Trieste con una tesi sulla sensibilizzazione dei giovani alle tematiche scientifiche. Ho lavorato come educatore ambientale presso diverse aree protette. Successivamente mi sono interessata alla scrittura come mezzo per la divulgazione scientifica legata a temi naturalistici/conservazionistici. In quest’ambito sono stata collaboratrice e consulente presso musei scientifici, testate giornalistiche nazionali e internazionali, aree protette, case editrici scolastiche e Istituzioni trattando temi legati alla natura e alla sua tutela. Ho scritto diversi libri e guide per sensibilizzare e divulgare temi legati all’ambiente e la sua tutela: "L’anima Perduta delle Montagne" (Idea Montagna – 2019) e, con Filippo Zibordi, "Sulla Via dell’orso. Un racconto Trentino di uomini e natura" (Idea Montagna, 2016) e "Parco Adamello Brenta – Geopark" (PNAB – 2018).