RICERCANDO ALL'ESTERO

Una biobanca di campioni Covid-19 per conoscere i meccanismi del virus

Per aiutare la ricerca sull’attuale coronavirus, è fondamentale che gli scienziati abbiano a disposizione campioni biologici da studiare. Per migliorare comprensione, diagnosi e terapia.

Le biobanche sono strutture dedicate alla raccolta, archiviazione, gestione e distribuzione di campioni biologici (es. sangue e urine) e dei relativi dati clinici, a scopo di ricerca di base ma anche per la diagnosi e terapia di alcune malattie. Le attività di ricerca richiedono spesso un gran numero di campioni per ottenere risultati significativi e le biobanche mettono a disposizione dei ricercatori tutta una serie di risorse per migliorare la comprensione dei meccanismi molecolari delle patologie.

Sebastian Fernando e Francesca La Carpia sono due ricercatori della Columbia University che cinque settimane fa hanno messo da parte i loro studi e si sono dedicati alla costruzione della prima biobanca COVID-19 nello Stato di New York. Abbiamo chiesto a entrambi di raccontarci cosa vuol dire creare una biobanca da zero e quali sono le principali applicazioni legate allo studio del virus SARS-CoV-2.


Nome: Sebastian Fernando // Francesca La Carpia
Età: 32 anni // 34 anni
Nato a: Telese (BN) // Tricarico (MT)
Vivo a: New York (Stati Uniti)
Formazione: laurea in scienze biologiche (Milano) // PhD in genetica molecolare (Roma)
Ricerca: Management e ricerca ai tempi del Coronavirus
Istituto: Department of Pathology and Cell Biology, Columbia University (NY, Stati Uniti)
Interessi: fotografia, cucina // viaggiare, l’arte in tutte le sue forme
Di New York mi piace: il senso di comunità // la cultura di NY è la cultura del mondo
Di New York non mi piace: Times Square // la mancanza di protezione sociale delle classi più deboli
Pensiero: It always seems impossible until it’s done. (Nelson Mandela) // Il tuo diploma in fallimento è una laurea per reagire. (Afterhours)


Come è nata la biobanca della Columbia University?

FLC- Tutto è iniziato perché il nostro capo, il professor Hod, è anche direttore del Center for Advanced Laboratory Medicine che si occupa, tra le altre cose, di tutta una serie di test clinici su pazienti positivi per il COVID-19. Terminati i test, i campioni in genere vengono eliminati. Da qui l’idea di cominciare a conservarli e creare così una biobanca che funga da risorsa centralizzata di campioni biologici, biomarker e dati sanitari di pazienti COVID-19 positivi per aiutare la ricerca biomedica sul virus SARS-CoV-2.

SF- Nelle prime settimane raccoglievamo principalmente il siero dei pazienti positivi e lo usavamo per validare i famosi test sierologici a risposta rapida. Lo scopo di questi test è verificare se il soggetto in questione ha o meno sviluppato una risposta anticorpale contro SARS-CoV-2; il loro vantaggio è l’estrema rapidità.

Purtroppo, i primissimi test usciti sul mercato avevano un problema di specificità, cioè non erano in grado di distinguere gli anticorpi contro SARS-CoV-2 da quelli contro altri tipi di virus, come rhinovirus, enterovirus o altri coronavirus. I test di seconda generazione si sono rivelati decisamente migliori da questo punto di vista ma, come abbiamo riscontrato, c’era la questione del titolo anticorpale, cioè era necessaria una concentrazione piuttosto elevata di anticorpi perché il test fosse in grado di rilevarla.

Adesso, assieme ad altri collaboratori, stiamo cercando di sviluppare noi stessi un test sierologico per COVID-19, applicabile su larga scala e basato sull’analisi ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay), molto più sensibile e specifica dei test rapidi. L’indagine sierologica è importante non solo da un punto di vista epidemiologico ma anche terapeutico: uno degli approcci di cura proposti prevede la somministrazione di plasma iperimmune a pazienti di terapia intensiva affetti da COVID-19. Perciò, se i pazienti guariti dal coronavirus hanno effettivamente sviluppato una risposta anticorpale e i test sono in grado di individuarli, allora potrebbero essere arruolati su base volontaria nella donazione di plasma.

Oltre al siero, che altri tipi di campioni conservate?

FLC- Abbiamo circa 5,4 mila campioni di plasma, 5,4 mila buffycoat (essenzialmente globuli bianchi e piastrine), 2 mila tamponi nasofaringei, 500 di urine, più di 100 feci, 81 di sangue da cordone ombelicale, 5 di fluido cerebrospinale. Oltre ovviamente ai più di 10 mila campioni di siero; a breve, inizieremo a raccogliere anche campioni di placenta e latte materno, dato che le mamme positive al COVID-19 non possono allattare perché in genere iniziano la terapia antivirale subito dopo il parto. L’idea di alcuni ricercatori è di vedere cosa succede al latte dal punto di vista farmacologico, se rimane qualche metabolita dei farmaci somministrati. Oppure si potrebbe verificare se nel latte materno sono presenti anticorpi secretori (IgA) contro il virus o tracce del virus stesso. Per alcuni studi sarebbe utile recuperare anche tamponi vaginali e rettali di queste mamme COVID-19 positive, perché ci sono evidenze che i loro figli nascono negativi e diventano positivi dopo 4 giorni. Si potrebbe scoprire se il contagio avviene durante il parto, con il passaggio attraverso il canale vaginale, o magari per via orofecale ed eventualmente suggerire un parto cesareo rispetto a quello naturale.

Tutti i campioni che conservate sono positivi per SARS-CoV-2?

SF- Quasi tutti. Molti campioni provengono da pazienti di terapia intensiva e operatori sanitari identificati come positivi dal tampone nasofaringeo ma alcuni ci arrivano direttamente dal pronto-soccorso, a prescindere dal coronavirus.

Quella della Columbia University è stata la prima biobanca COVID-19 dello Stato di New York. I campioni e i dati che abbiamo raccolto e conservato hanno contribuito ai primi studi epidemiologici sulla prevalenza e incidenza della malattia nella popolazione newyorkese e, soprattutto all’inizio, hanno fornito preziose informazioni sull’andamento della curva dei contagi. Adesso, tutto il materiale è a disposizione dei ricercatori per i loro progetti di studio su SARS-CoV-2.

In tre settimane abbiamo allestito spazi, strumentazioni e sistemi tecnico-informatici per lo stoccaggio dei campioni. Per ciascuna tipologia di materiale abbiamo messo a punto dei protocolli di raccolta e conservazione e stiamo creando delle adeguate procedure per la gestione della privacy dei vari pazienti.
Ci stiamo muovendo molto in fretta ma crediamo sia importante dare il nostro contributo alla pratica medica attuale e aiutare il più possibile chi ne ha bisogno.


Leggi anche: Come funzionano (e a cosa servono davvero) i test sierologici per la COVID-19

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia in copertina: Pixabay

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.