Covid-19 in gravidanza
La gravidanza durante la pandemia può caricarsi di ansia e a volte angoscia per il timore di trasmettere il virus, se positive.
La salute della donna in stato di gravidanza ha un’importanza cruciale per il feto, ma non tutte le donne in dolce attesa, per i motivi più diversi, possono dirsi obiettivamente in salute. Tuttavia, adottando le necessarie precauzioni, è possibile portare a termine la gestazione. Dall’inizio dell’epidemia di COVID-19, causata dal coronavirus SARS-CoV-2, le donne che aspettano un bambino potrebbero vivere con il legittimo timore che questa nuova influenza possa avere conseguenze negative sulla propria salute e su quella del nascituro. La preoccupazione cioè di poter essere positive a COVID-19, anche in maniera asintomatica, e trasmettere la malattia al feto, con conseguenze negative sulla salute della creatura che portano in grembo. Una situazione che, a detta degli operatori sanitari, sta provocando molta ansia, se non angoscia, nelle future mamme.
Tre studi sui neonati
È del 26 marzo l’uscita contemporanea di una Letters sulla rivista Jama Pedatrics, e di altre due su Jama, in cui sono riportate, rispettivamente dallo Whuan Children’s Hospital e da due diversi ospedali dell’Università di Whuan, città primo focolaio dell’epidemia, tre diverse esperienze di gestanti affette da COVID-19.
Su Jama Pediatrics gli autori riferiscono di trentatré neonati nati tra gennaio e febbraio 2020 da madri positive al virus SARS-CoV-2: tre neonati sono risultati positivi al tampone al secondo e quarto giorno di vita, ma negativi al sesto o settimo. Le conclusioni a cui giungono gli autori sono la necessità dello screening per COVID-19 sulle donne in gravidanza, la quarantena per quelle che risultassero positive e uno stretto monitoraggio dei neonati a rischio di contrarre il virus. Questo, alla luce del risultato del tampone.
Su Jama, in una prima Letters viene descritta la casistica di sei mamme COVID-19 positive che hanno dato alla luce bambini negativi al tampone, eseguito alla nascita, ma con una presenza di immunoglobuline G (IgG) nel sangue. Due avevano anche le IgM nel sangue con valori superiori al normale. Nella seconda Letters si riporta un caso di una mamma positiva al nuovo coronavirus la cui bambina, nata a fine febbraio, è negativa al tampone ma con presenza di IgM e IgG nel sangue prelevato dopo due ore dalla nascita.
Questi dati, esigui perché si parla di un totale di 43 mamme e di tre bambini con tampone positivo al coronavirus SARS-CoV-2 e tre con IgM positive, sono tuttavia importanti perché tra i primi che provengono dal principale focolaio dell’epidemia COVID-19, prima che arrivasse in Italia. Prova ne è il fatto che il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) inglese, principale fonte di riferimento per gli operatori del settore, ha aggiornato le sue linee guida più volte nel corso dell’ultima settimana di marzo – quando è solito farlo ogni due anni – sulla base di queste prime informazioni.
“È uno scenario in continua evoluzione perché i dati sono scarsi, probabilmente non completi e, a volte, in contraddizione tra loro” racconta a OggiScienza Giuseppe Ricci, direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica all’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste. Infatti, si tratta di Letters, cioè resoconti, non di studi retrospettivi o osservazionali che prendano in considerazione migliaia di casi. “Inoltre, alcuni studi sono scritti in cinese e quello che noi leggiamo è un riassunto più che una traduzione integrale”, prosegue Ricci, “quindi, siamo in presenza di un limite. Ovvero non riusciamo capire se ci sono dei dati che non conosciamo, o conosciamo parzialmente”.
I risultati che arrivano dalla Cina sono pertanto da relativizzare poiché, vista questa serie di circostanze, non possono fornire un dato scientifico fondato, in grado quindi di rispondere con assoluta certezza ai timori delle donne in gravidanza, COVID-19 positive, sui rischi di trasmissione del virus al bambino. “Riguardo ai dati di Jama Pediatrics”, continua il primario del “Burlo Garofalo”, “va detto che in tre casi il tampone sul neonato è stato eseguito 36-48 ore dalla nascita, quindi non si può escludere che il virus sia stato contratto per altre vie, non necessariamente durante la gravidanza”.
Anticorpi trovati nel sangue dei neonati
Vi è poi la questione degli anticorpi rilevati nel sangue degli altri tre neonati, le immunoglobuline M e G: le IgM sono le nostre prime difese, che si sviluppano quando l’organismo entra in contatto con il virus. Queste sono anticorpi che cercano subito di contrastare ogni agente infettivo esterno, e poi di solito scompaiono in tempi abbastanza brevi. Le IgG sono gli anticorpi che compaiono in un secondo tempo, dopo le IgM, e in genere persistono per tutta la vita, garantendo per molte malattie infettive l’immunità permanente.
“Purtroppo, ancora non si sa se nel caso del COVID-19 le IgG consentano o no di evitare una nuova infezione dopo il primo contagio” sottolinea Giuseppe Ricci: “In tutti e tre i neonati sono state rilevate le IgM, che non passano al feto attraversando la placenta, al contrario delle IgG, perché hanno dimensioni maggiori. Quindi, quelle rilevate dovrebbero essere state prodotte dal feto a causa del passaggio del virus attraverso la placenta”. Tuttavia, prosegue, “il dosaggio delle IgM non è affidabile al 100%. Possono essere dei falsi positivi o aspecifiche e, soprattutto, non sappiamo se una placenta infetta o alterata possa consentire il passaggio delle IgM: in linea teorica è molto difficile, ma non è possibile escluderlo. Altro fatto è che questi tre neonati erano tutti negativi al tampone, che è l’unica prova di positività a COVID-19 e, inoltre, tutti e tre stavano bene”.
E questo crea un grosso dilemma: “In base alle conoscenze attuali non si può escludere la trasmissione del virus per via materna, attraverso la placenta, perché le analisi immunologiche indicherebbero che il contatto con il virus c’è stato, con i limiti suddetti. Tuttavia – precisa Ricci – tre soli casi sono troppo pochi per poter trarre una conclusione scientifica. Presto avremo degli studi italiani, o comunque europei, che, insieme a quelli cinesi, ci daranno delle risposte”.
OggiScienza ha avuto ulteriori chiarimenti da Francesco Maria Risso, direttore della Neonatologia nel medesimo IRCCS. Risso cita subito le dichiarazioni della Società italiana di Neonatologia, che sostiene come la letteratura internazionale, fino a questo momento, non supporti una trasmissione materno fetale del coronavirus SARS-CoV-2. “Noi medici dobbiamo lavorare supportati da studi scientifici solidi, ovvero basati su una casistica ampia. Ora siamo nel pieno di un’epidemia di una nuova malattia, che quindi poco conosciamo, e dobbiamo aggiornare le nostre conoscenze ogni qual volta escono degli studi, ma un singolo caso non è sufficiente per poter parlare di dati definitivi”.
Buone pratiche per le neomamme
Quello che Risso si sente di dire alle mamme, e future mamme, è che “anche fossero COVID-19 positive, non c’è ragione di allarmarsi rispetto alla possibile trasmissione al nascituro, all’allattamento e al contatto con il neonato”. Infatti, contrariamente alla “lezione cinese”, le società scientifiche italiane ed europee supportano, per le mamme COVID-19 positive, nelle condizioni di farlo, l’allattamento al seno e il contatto con il neonato, “adottando le norme igieniche del caso” precisa Risso “come l’uso della mascherina, il lavaggio frequente delle mani e una sistemazione della culla a distanza minima di due metri dalla testa della mamma. Personalmente, ritengo che l’opzione da privilegiare sia quella della gestione congiunta di madre e bambino, ai fini di facilitare l’interazione e l’avvio dell’allattamento”.
Inoltre, secondo Risso, “se c’è un insegnamento che possiamo trarre da questa epidemia è la non più derogabile adozione di quelle norme igienico-sanitarie a tutela dei professionisti medici e paramedici che dovrebbero essere messe in atto già in condizioni normali – e non solo di emergenza – perché non diventino essi stessi vettori di malattie”.
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