SALUTE

Covid-19: i servizi per la salute mentale durante l’emergenza

Nelle ultime settimane le cliniche psichiatriche e i dipartimenti di salute mentale si sono trovati a gestire un grande aumento di richieste.

La Società Italiana di Psichiatria parla di 300.000 nuovi pazienti che potrebbero sviluppare disturbi psichici dovuti all’ansia post-traumatica per i lutti, le perdite, il danno economico e l’incertezza per il futuro. Secondo Mario Maj, direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Università Vanvitelli di Napoli, si tratta di una nuova emergenza che dovrà essere considerata nella gestione della “fase 2” della pandemia. I professionisti della salute mentale saranno chiamati a intervenire con tutti gli strumenti a disposizione, per prevenire e ridurre il disagio, ma anche promuovere la resilienza.

Un nuovo carico di lavoro per i servizi per la salute mentale, che da subito hanno dovuto adattarsi ai cambiamenti, senza aver ricevuto indicazioni precise. Nelle settimane successive all’inizio dell’epidemia il lavoro negli ospedali è cambiato, come racconta su JAMA Psychiatry Giovanni de Girolamo, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria Epidemiologica e Valutativa presso l’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia. Interi reparti, inclusi quelli di psichiatria, sono stati riorganizzati per ospitare pazienti COVID, e psichiatri e infermieri sono spesso stati trasferiti in queste sezioni.

I cambiamenti più importanti ci sono stati nei centri diurni e nei centri residenziali. I primi sono stati temporaneamente chiusi, con i pazienti obbligati a trascorrere molto tempo a casa, senza interazioni sociali. I malati ospitati nei centri residenziali, che normalmente possono entrare e uscire liberamente, sono invece stati costretti a un ricovero più rigido, simile a quello che avviene in ospedale per i casi gravi.

Gestire i pazienti psichiatrici contagiati

Molte le difficoltà legate anche alla gestione dei pazienti psichiatrici contagiati dal virus, una categoria più suscettibile alle infezioni e a rischio di sviluppare forme più gravi della COVID-19. Negli ospedali, isolare questi malati per due settimane in una stanza singola è stato particolarmente difficile. I pazienti psichiatrici hanno bisogno di un’assistenza specialistica maggiore rispetto agli altri malati cronici. Questo è vero soprattutto per i pazienti che non sono collaborativi, come nel caso dei trattamenti sanitari obbligatori (TSO): in un reparto COVID ordinario, se non sono assistiti in modo adeguato e senza discriminazioni, possono mettere a rischio la loro salute e quella degli altri. Purtroppo, come avvenuto per le residenze per anziani, anche nelle cliniche psichiatriche non sono mancati casi di focolai.

In questi mesi il personale che si occupa di servizi di emergenza, tra cui i TSO, si è trovato a gestire difficoltà simili a quelle vissute dal personale del pronto soccorso. Questi operatori intervengono in ambienti non protetti per assistere persone che sono in stato di agitazione, e spesso in situazioni difficili dovute all’abuso di alcol e di sostanze stupefacenti, che portano ad aggressioni e contatti fisici ravvicinati. Le indicazioni del Ministero della Salute, come chiesto anche dalla Società Italiana di Psichiatria, hanno riconosciuto la necessità di utilizzare il massimo livello possibile di dispositivi di protezione individuali.

La maggior parte delle attività ordinarie negli ambulatori e le visite domiciliari è stata sospesa e sostituita da strumenti di telemedicina. L’andamento clinico dei pazienti è stato monitorato attraverso chiamate, videochiamate e altri strumenti digitali. Andrea Fagiolini e i colleghi dell’università di Siena spiegano come, nel loro dipartimento, più del 90% dei pazienti degli ambulatori siano stati dirottati su visite in telemedicina. Nella maggior parte dei casi è stato utilizzato il mezzo di comunicazione più semplice, il telefono, che ha permesso di raggiungere anche i pazienti più anziani. Per i pazienti disponibili sono state utilizzate videochiamate su WhatsApp o FaceTime. In altre momenti ci sarebbero stati problemi di privacy e di protezione dei dati, aggiungono i medici, ma in questo caso le questioni in gioco erano più grandi.

Aumento diffuso di disturbi legati alla salute mentale

Nel corso dell’epidemia i professionisti della salute mentale hanno osservato un aumento dei disturbi soprattutto in alcune categorie a rischio: i detenuti, i pazienti ricoverati in centri di recupero per tossicodipendenti, i genitori di bambini e ragazzi con disturbo da deficit di attenzione o disabilità intellettive, i parenti dei pazienti morti dopo aver contratto il virus, gli operatori sanitari. Tra questi ultimi, sottolinea Mario Maj, si sono registrati casi di burnout, con grave esaurimento fisico e mentale, sentimenti di  colpa, inadeguatezza e fallimento.

I più esposti sono medici, infermieri e altre figure sanitarie con un passato di disturbi psichiatrici o di abuso di sostanze. “Dobbiamo individuare l’infermiere che consumava alcol prima della pandemia e ora beve una bottiglia ogni sera per sopportare la situazione, oppure il dottore che era depresso e ha reagito cercando di socializzare ma ora è in isolamento”, scrive sul British Medical Journal Jessica A Gold, del dipartimento di psichiatria della Washington University in St. Louis.

L’editoriale della ricercatrice accompagna una meta-analisi pubblicata nei giorni scorsi che ha preso in considerazione 59 studi su varie epidemie, inclusi 8 studi sulla COVID-19. L’indagine ha evidenziato gli interventi più efficaci per mitigare lo stress psicologico degli operatori sanitari: insieme a una comunicazione chiara, all’accesso ai dispositivi di protezione personale e all’adeguato riposo, il supporto psicologico si è rivelato uno dei metodi più validi nel ridurre il numero di casi.

In Italia i professionisti della salute mentale hanno dato il loro contributo attraverso attività di ascolto e supporto psicologico. Per capire quali strumenti sono stati più utili, uno studio guidato da Raffaella Rumiati della SISSA di Trieste coinvolge medici, infermieri e professionisti della salute mentale attraverso tre questionari (disponibili qui). L’indagine servirà per raccogliere informazioni sui bisogni espressi dagli operatori, gli interventi psicologici offerti e i mezzi a disposizione.


Leggi anche: Il disagio psicologico dei medici di base durante la pandemia

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.