I disturbi dell’alimentazione durante Covid-19
Quarantena con famiglia, coinquilini o partner, accesso continuo al cibo, stress e attività fisica limitata. Con il lockdown, per molte persone si sono esacerbati o sono ricomparsi anoressia, bulimia e binge eating.
Degli effetti che la pandemia avrebbe avuto sulla salute mentale si è parlato subito, dall’inizio dell’emergenza. Quando è diventato evidente che il graduale lockdown del paese e le quarantene avrebbero cambiato radicalmente la nostra quotidianità, dalle abitudini più banali come il caffè al bar la mattina fino agli affollati ritrovi come i concerti – che ora fatichiamo anche solo a immaginare – tutti ci siamo interrogati sul dopo. Nel frattempo, la situazione unica nel suo genere ha reso stressanti attività come fare la spesa, trasformato gli smartphone da cruciale strumento di contatto con gli amici a fonte di nausea a giorni alterni, modificato l’idea di ciò che è “normale” o considerato tale per ognuno di noi.
Finora i numeri del Covid-19 ci hanno parlato di nuovi casi, di tamponi effettuati, di decessi. Sono invece ancora in buona parte invisibili (o stime) gli impatti sulla salute mentale: disturbi ricomparsi o esacerbatisi per lo stress del lockdown e il mancato accesso ai servizi di supporto abituali, abuso di alcol o sostanze stupefacenti come forma di automedicazione, comportamenti a rischio di diventare dipendenza come il gioco d’azzardo o ancora, disturbi alimentari come anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder).
In Italia la mappatura dei servizi con Manual
È per rispondere concretamente a questi ultimi che l’Istituto Superiore di Sanità ha lanciato il progetto Manual, MAppatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della NUtrizione e dell’Alimentazion. L’obiettivo: mappare tutti i servizi dedicati ai disturbi alimentari presenti sul territorio nazionale. Come scrive l’ISS, “la paura di un contagio si associa spesso alla sensazione di non avere il controllo della situazione che, per le persone con un disturbo dell’alimentazione, conduce a un ulteriore aumento delle restrizioni alimentari (o di altri comportamenti estremi di controllo del peso) o, all’opposto a un aumento degli episodi di alimentazione incontrollata”.
Al contempo, “le persone sottopeso che soffrono di un disturbo dell’alimentazione sono esposte a maggior rischio di complicanze mediche, a un maggior rischio di infezione, a un maggior rischio di avere un decorso grave”. Altro aspetto da non sottovalutare con una pandemia in corso.
La mancanza di controllo sulla situazione è una sensazione che ha decisamente pervaso l’intero lockdown e che per molti, in questa incerta fase 2, non è ancora svanita. Per chi ha un disturbo dell’alimentazione l’isolamento forzato del lockdown ha portato con sé un pesante carico di elementi da affrontare. Ad esempio l’impossibilità di fare attività fisica liberamente, dunque la paura di prendere peso affrontabile solo con limitazioni o meccanismi di controllo come vomito indotto e lassativi. Oppure la condivisione “forzata” dei pasti con familiari, coinquilini, partner e la conseguente pressione socio-emotiva. O ancora l’accumulo di cibo in casa per ridurre al minimo indispensabile le uscite per fare la spesa, quando normalmente si cerca di limitarlo in modo da non rischiare abbuffate.
Prima del lockdown, la semplice possibilità di aprire la porta e allontanarsi dal frigorifero e dal bagno di casa poteva essere un enorme aiuto nella gestione dei comportamenti. Poi non più, ed è iniziata una situazione che è stata – e in parte resta – terreno fertile per pensieri intrusivi: “non devo andare a lavorare/ non devo andare a lezione, posso concentrarmi sul perdere peso”. “Nessuno mi vede, dunque nessuno si accorgerà se non mangio, mangio poco o prendo lassativi dopo ogni pasto. Posso usare questo periodo per perdere peso”.
Dalla normalità alla pandemia alla nuova normalità
In condizioni di vita normali, per chi ha un disturbo dell’alimentazione, il controllo del cibo così come l’aspetto fisico e il peso possono diventare un’ossessione, un’attività che ruba molto tempo alla quotidianità e rischia di portare alla depressione. Conseguenza che, come il disturbo stesso, può essersi estremizzata in due mesi trascorsi a stretto contatto con sé stessi, senza sfoghi, senza routine calmanti che per tanti possono fare la differenza, senza (o con ridotto) accesso ai servizi di salute mentale per chi ne usufruiva.
L’Emily Program, affiliato con l’Università del Minnesota e tra i programmi statunitensi più noti nel trattamento dei disturbi alimentari, già a inizio marzo dava nel suo blog alcuni consigli pratici utili. Restano pienamente validi anche in questo post-emergenza, una fase 2 nella quale molti continueranno a limitare i contatti sociali e a fare la spesa in modo che duri più giorni per ridurre ogni possibile occasione di contagio (mentre per tanti altri è scattata una vera e propria sindrome della capanna, che rende complicato tornare anche gradualmente verso la normalità). Ne riportiamo alcuni:
- se sei in difficoltà e i pensieri legati al cibo sono frequenti e problematici, ammettilo e parlane con qualcuno; riconoscerli e legittimarli è un primo passo importante
- il fatto che ci sia una pandemia in corso non rende meno importanti i problemi di salute di ciascuno di noi
- pianifica la tua giornata, imposta sveglie e timer per i pasti e sii cert* di avere attività specifiche da svolgere subito prima e subito dopo
- se vivi da sol*, organizzati con familiari e/o amici per mangiare insieme in collegamento Skype/Zoom/videochiamata Whatsapp
- se avere troppo cibo in casa ti mette a disagio, valuta di conservarlo in luoghi meno accessibili: in cantina, nell’auto, in qualsiasi posto risulti meno a portata di mano
La nuova fase
Comprendere e trattare i disturbi legati all’alimentazione non è semplice, dalla diagnosi – che spesso arriva quando la condizione è ormai grave e molto evidente – fino all’attenzione per gli aspetti di disagio psicologici e psichiatrici alla base. Terapie, percorsi per ristabilire abitudini alimentari corrette e un sano equilibrio per la persona. Può essere complesso anche solo definire lo specifico disordine alimentare che si ha di fronte: alcune persone adottano comportamenti bulimici, come l’ingestione di quantità di cibo importanti in poco tempo seguita da vomito autoindotto, perché non riescono a mantenere sotto controllo il peso con i comportamenti tipici dell’anoressia. Per questo motivo, secondo l’American Psychiatric Association un paziente anoressico su due avrà anche sintomi bulimici.
Quello delle conseguenze per la salute mentale è un iceberg del quale finora abbiamo visto solo la punta, ma che va affrontato investendo sulla prevenzione. Soprattutto per quei disturbi il cui impatto è sempre più pesante ed evidente: secondo i dati di ANAD, National Association of Anorexia Nervosa and Associated Disorders, negli Stati Uniti almeno 30 milioni di persone di ogni età e genere hanno un disturbo dell’alimentazione e ogni 62 minuti una persona ne muore. Hanno il tasso di mortalità più alto tra le patologie mentali.Speriamo quindi che la mappatura dei servizi destinati al trattamento dei disordini alimentari in Italia arrivi presto.
Anche perché, come ha scritto a inizio maggio su World Psychiatry Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’OMS, “è chiaro che i sistemi di salute mentale di tutti i paesi dovranno essere rinforzati per poter fare fronte all’impatto di Covid-19”.
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